KOSOVO: Verso la fine dei visti Schengen. Ma i serbi del Kosovo tremano

Si avvicina la fine definitiva del tanto vituperato regime di visti Schengen per i cittadini del Kosovo provvisti di un passaporto biometrico. Questa rappresenta una seconda notizia positiva per Pristina, dopo l’ok dell’UEFA all’adesione della federazione calcistica kosovara, nonostante gli interrogativi. Mercoledì 4 maggio la Commissione europea ha confermato che raccomanderà al Consiglio UE e al Parlamento europeo di includere il Kosovo nella lista di paesi esclusi dal requisito di visto per periodi di residenza fino a 3 mesi nell’area Schengen, poiché il governo di Pristina ha completato tutti i requisiti richiesti, come scritto nel Quarto Rapporto dell’esecutivo europeo sul tema.

Il commissario UE agli affari interni Dimitris Avramopoulos ha affermato “so quanto sia importante il regime visa-free per i cittadini del Kosovo, e sono molto soddisfatto dai progressi raggiunti.” La liberalizzazione dei visti, ha continuato Avramopoulos, faciliterà i contatti tra le persone e rafforzerà l’economia e i legami culturali tra il Kosovo e l’UE.

L’evento è stato salutato anche dalla visita di Federica Mogherini a Pristina. L’alto rappresentante UE per la politica estera ha ricordato l’importanza del passo, “specialmente per il 70% dei kosovari che hanno meno di trent’anni, e si sentono al 100% europei.” Per la prima volta da mesi, inoltre, l’opposizione ha partecipato ai lavori parlamentari senza fare ostruzione o lanciare lacrimogeni.

La Commissione si raccomanda in ogni caso che, prima dell’adozione del provvedimento da parte di Parlamento e Consiglio UE, il Kosovo ratifichi l’accordo di demarcazione dei confini con il Montenegro e rafforzi il proprio track record nella lotta alla corruzione e al crimine organizzato. Le autorità di Pristina dovranno inoltre prevedere meccanismi efficaci per prevenire gli abusi del sistema visa-free, anche attraverso campagne di informazione sui diritti e doveri di chi si sposta verso l’UE. Il riferimento qui è al rischio di una nuova impennata delle richieste d’asilo infondate in Germania, come nel 2014, financo da parte del fratello del premier Isa Mustafa – qualcosa che Berlino, e la Commissione, vorrebbero ben evitare di rivedere.

Il Kosovo è l’ultimo paese balcanico ad ottenere la liberalizzazione dei visti Schengen, con 6 anni di ritardo sugli altri paesi della regione. Una notevole fonte di frustrazione per gli 1,8 milioni di abitanti dell’ex provincia serba, dichiaratasi indipendente nel 2008. Pristina aveva iniziato il dialogo con Bruxelles sul tema nel 2012, ma i progressi erano andati a rilento e solo pochi mesi fa, nel suo terzo rapporto, la Commissione europea aveva indicato otto priorità che le autorità kosovare avrebbero dovuto dimostrare prima dell’attesa liberalizzazione. Nel frattempo, l’UE ha deciso di introdurre la liberalizzazione dei visti anche per i cittadini di Moldavia (2014) e di Ucraina e Georgia (2015). Con la prossima liberalizzazione dei visti anche per la Turchia, su cui deciderà a giugno il Consiglio UE, gli ultimi cittadini europei ad avere bisogno di un visto Schengen restano i cittadini di Russia, Bielorussia, Armenia ed Azerbaijan.

Il dilemma dei serbi del Kosovo: è il tempo di chiedere un passaporto?

Autore: Sergey Kondrashov, CC BY-SA 3.0
Autore: Sergey Kondrashov, CC BY-SA 3.0

Se la liberalizzazione dei visti Schengen è stata accolta euforicamente dalla maggioranza della popolazione kosovara, chi non ha festeggiato sono i quasi 100.000 serbi che vivono nei quattro comuni del nord del Kosovo, timorosi di dover presto richiedere un passaporto alle autorità di Pristina per potersi muovere in Europa. Nonostante la Serbia abbia ottenuto la liberalizzazione dei visti già nel 2009, infatti, i serbi del Kosovo possiedono uno speciale passaporto serbo che ancora necessita di un visto per poter essere accettato in Europa.

“Ci vogliono obbligare a prendere la doppia cittadinanza e i passaporti kosovari”, ha dichiarato Tatjana Lazarevic, insegnante di inglese a Mitrovica nord, ad Euractiv. “Ci sentiremo come gli ultimi dei mohicani”.

L’ufficio governativo serbo per il Kosovo ha annunciato che richiederà a Bruxelles che la liberalizzazione dei visti includa anche i serbi del Kosovo, a prescindere dai loro documenti, ma per Pristina essa si applica solo ai portatori dei nuovi passaporti biometrici kosovari. E anche il Commissario Avramopoulos, di passaggio a Pristina, ha confermato: “Solo i passaporti del Kosovo sono riconosciuti. E’ molto, molto chiaro”. I serbi del Kosovo, se vorranno viaggiare in Europa, dovranno presto decidere se prendere un passaporto standard serbo, o richiedere un passaporto kosovaro.

Secondo gli accordi di Bruxelles del 2013, il Kosovo avrebbe dovuto estendere la propria giurisdizione anche ai quattro comuni serbi del nord, in cambio della creazione di una Comunità/Associazione delle municipalità a maggioranza serba del Kosovo (ZSO). Tre anni dopo, l’accordo ancora fatica ad essere applicato, ed è stato sospeso per incostituzionalità dalla stessa Corte costituzionale kosovara, ma le autorità serbe continuano a chiederne la messa in atto al più presto.

Serbia e Kosovo continuano il dialogo per la normalizzazione delle relazioni, mediato dall’UE. Ad aprile i gruppi di lavoro tecnici hanno raggiunto un accordo sul trasporto delle sostanze pericolose e sul passaggio dei rappresentanti ufficiali in visita attraverso i punti di frontiera, mentre continua il negoziato sul riconoscimento delle carte d’identità. Ma, come mostra il reportage della giornalista Jeta Xharra per Pristina Insight, per i normali cittadini kosovari attraversare le frontiere della Serbia e degli altri paesi della regione che non riconoscono il Kosovo resta pieno di incognite. Esiste persino un sistema di visti tra Bosnia-Erzegovina e Kosovo, paesi che non si riconoscono a vicenda. Un’assurdità, quando grazie al dialogo tra Belgrado e Pristina oggi i kosovari possono tranquillamente recarsi perfino a Belgrado, burocrazia permettendo.

Foto: @artanmurati, twitter

Chi è Andrea Zambelli

Andrea Zambelli è uno pseudonimo collettivo usato da vari membri della redazione di East Journal.

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