SERBIA: Domenica si vota. Verso un risultato scontato?

Da BELGRADO – Nella giornata di domenica 24 aprile si terranno le elezioni in Serbia per il rinnovo del parlamento. Si tratta di elezioni anticipate, indette lo scorso gennaio dal primo ministro Aleksandar Vučić. Le elezioni parlamentari avverranno in concomitanza con quelle locali e quelle per il rinnovo del governo della Vojvodina.

Il motivo per cui il primo ministro aveva deciso di indire le elezioni era di confermare il mandato governativo e il suo programma di riforme, così come di mantenere inalterato l’obiettivo di entrare a far parte dell’Unione Europea.
Tuttavia, il vero motivo sembra essere piuttosto la volontà del governo di approfittare della scarsa organizzazione della frammentata opposizione per consolidare il proprio ruolo di comando e di fatto allungare il mandato. Infatti, il partito di governo, il Partito Progressista Serbo (SNS), vuole sfruttare la popolarità di cui gode al momento per cogliere impreparata l’opposizione e proporsi dunque come unica alternativa per governare il paese.

Coalizioni e alleanze

Se da un lato sembra scontato che il SNS ed Aleksandar Vučić riusciranno a confermare il proprio dominio, dall’altro lato sarà interessante vedere se i socialisti (SPS) riusciranno a mantenere il secondo posto tra le preferenze degli elettori.
Al momento, non esistono anticipazioni su eventuali coalizioni di governo, che verranno formate in seguito al voto. Tuttavia sembra verosimile che, in caso di maggioranza di voti, possa essere rinnovata la coalizione di governo tra SNS e SPS, anche se non è da escludere che possa essere ridimensionata l’influenza dei socialisti di Dačić nella formazione di governo.

Per quanto riguarda l’opposizione, questa è più divisa che mai. Innanzitutto tra nazionalisti e partiti filo-europei.
Tra i primi troviamo il Partito Radicale Serbo di Vojislav Šešelj, che le previsioni danno sopra l’8% e che difficilmente entrerà nella coalizione di governo, anche se non dovrà sorprendere un eventuale colpo di scena, considerata l’alleanza con i socialisti di Milošević degli anni ’90.
Dall’altro lato, il blocco filo-europeo e democratico sembra privo di alleanze strategiche. Il Partito Democratico di Bojan Pajtic correrà da solo e le previsioni lo attestano intorno al 6%; mentre il partito dell’ex presidente della repubblica Boris Tadić, Partito Socialdemocratico Serbo (SDS), si affida alla coalizione con i liberali di Čedomir Jovanović (LDP) e la Lega dei Socialdemocratici di Vojvodina (LSV), le cui preferenze si aggirano intorno al 7%. Un’altra coalizione di destra che sembra possa superare lo sbarramento del 5% è quella che vede insieme il Partito Democratico Serbo e il movimento Dveri. Infine, il movimento “Dosta je bilo” dell’ex ministro delle finanze Saša Radulović sembra poter superare a sua volta lo sbarramento.

Una campagna elettorale sterile e a senso unico

La campagna elettorale che sta accompagnando queste elezioni è caratterizzata da due elementi.
Innanzitutto, la pochezza di idee, come dimostrato dagli stessi slogan di partito, poco innovativi e centrati più sulla figura dei leader di partito, nel chiaro tentativo di spodestare Aleksandar Vučić.
Infatti, sia il blocco di governo, che i partiti all’opposizione non sembrano proporre niente di innovativo. Per quanto riguarda il governo, persistono gli obiettivi politici che proiettano la Serbia verso l’UE; l’implementazione degli accordi col Fondo Monetario Internazionale per la privatizzazione di alcune aziende chiave; così come la continuazione dei piani di incentivo agli investimenti stranieri. Dall’altro lato, i partiti all’opposizione sembrano ancorati ai propri vecchi ideali, ma senza offrire nulla di nuovo. La divisione tra nazionalisti e filo-europei si fonda prevalentemente sulle diverse visioni di politica estera, per la quale i primi vorrebbero rafforzare la partnership con la Russia, mentre i secondi spingono per l‘integrazione nell’Unione Europea.

Il secondo elemento che caratterizza questa campagna elettorale è l’assoluta predominanza del primo ministro Aleksandar Vučić. Questi non solo gode dell’appoggio della maggior parte dei media, tabloid e televisioni in primis, che sono abilissimi nell’infangare l’opposizione e proporre il premier come unica opzione; ma anche di un maggior spazio per manifesti, banchetti con materiale propagandistico, inserzioni pubblicitarie e affissioni al limite del legale. Per quest’ultima fattispecie è giusto menzionare l’episodio della città di Bor, dove gli operai di una fabbrica locale protestavano contro l’affissione di uno striscione sulle recinzioni della loro fabbrica, e che sono stati arrogantemente zittiti dal capo del SNS cittadino, nonché direttore del colosso industriale RTB, Blagoje Spaskoski.

Cosa aspettarsi

In conclusione, sembra utopistico aspettarsi un cambiamento di carattere politico, economico o sociale. Molto dipenderà dall’affluenza, che dovrebbe essere superiore rispetto alle ultime elezioni (53%, la più bassa dagli anni ’90) e dal voto degli indecisi, che sono stimati intorno al milione, dato significativo della credibilità della classe politica serba.

I cambiamenti più significativi, in tutta probabilità, riguarderanno l’assetto di governo, che vedrà delle modifiche nelle nomine dei singoli ministeri, ma per il resto la Serbia sta diventando un paese che ruota attorno ad un unico partito.

Chi è Giorgio Fruscione

Giorgio Fruscione è Research Fellow e publications editor presso ISPI. Ha collaborato con EastWest, Balkan Insight, Il Venerdì di Repubblica, Domani, il Tascabile occupandosi di Balcani, dove ha vissuto per anni lavorando come giornalista freelance. È tra gli autori di “Capire i Balcani occidentali” (Bottega Errante Editore, 2021) e ha firmato due studi, “Pandemic in the Balkans” e “The Balkans. Old, new instabilities”, pubblicati per ISPI. È presidente dell’Associazione Most-East Journal.

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