TURCICA: Il mondo turco tra stagnazione e declino

A metà del XVI secolo la civiltà turca aveva incontestabilmente raggiunto il suo massimo splendore. Le dinastie turche governavano su gran parte dell’Europa centro-orientale e del Medio Oriente, sulla Persia, sull’India e su quasi tutta l’Asia centrale. Eppure già allora cominciavano a palesarsi le prime crepe.

Nelle terre settentrionali, l’Orda d’Oro non si riprese mai del tutto dalle distruzioni di Tamerlano e si divise in tanti principati più piccoli, progressivamente fagocitati dalla nascente potenza russa. La distruzione dei principati tatari poteva essere considerata conclusa alla fine del XVI secolo. Sopravvisse soltanto il khanato di Crimea, retto dalla dinastia dei Giray, che offrendosi come vassallo dell’impero ottomano poté continuare per altri due secoli ad essere una delle principali potenze dell’Europa orientale. Una volta occupata tutta la regione del Volga e degli Urali, nel XVII secolo i russi si lanciarono alla conquista della Siberia, dove vivevano molte popolazioni turche (nomadi e in gran parte ancora pagane) che avevano conservato quasi inalterata l’antica cultura dei loro antenati. Le disavventure di questo universo turco settentrionale – marginale rispetto a una civiltà che ormai gravitava verso l’Europa mediterranea e l’Asia meridionale – passavano però decisamente in secondo piano rispetto ai grandi successi degli ottomani e degli altri imperi di origine turca. Nessuno avrebbe mai pensato che i turchi potessero andare incontro a un periodo di crisi.

Alla fine del ‘500 l’impero ottomano era infatti ancora la prima potenza mondiale, ma c’erano già alcuni segnali di un’inversione di tendenza. Dopo Solimano il Magnifico non ci furono altri sovrani del prestigio e del carisma dei primi ottomani. Il potere effettivo cominciò a sfuggire dalla mani del sultano in favore del sadrazam (gran visir) e degli altri notabili di corte. In un primo momento questa situazione non aveva ancora conseguenze sulla conduzione generale dello stato, grazie all’azione di grandi statisti come il bosniaco Sokollu Mehmet Pascià. All’inizio del ‘600 la costante intromissione in politica da parte dei familiari del sultano, delle donne dell’harem e dei cortigiani di palazzo aveva però creato un situazione di grave instabilità che minacciava la salute dell’impero. Siccome il potere del sultano si rivelava troppo debole per riportare l’ordine al vertice dello stato,  a metà del XVII secolo l’iniziativa fu presa dalla famiglia albanese dei Köprülü, che avrebbe egemonizzato le principali cariche politiche per il successivo trentennio. I Köprülü rinsaldarono le istituzioni dell’impero, ma furono d’altra parte troppo conservatori per capire appieno l’importanza delle innovazioni provenienti dall’Occidente. Il prezzo da pagare fu un isolamento culturale e scientifico che ebbe effetti drammatici. Il progetto dei Köprülü di ristabilire pienamente il prestigio dell’impero andò in frantumi sotto le mura di Vienna il 12 settembre 1683. Nel 1699 gli ottomani firmarono il primo trattato di pace a loro totalmente sfavorevole. Queste sconfitte rappresentarono il primo importante arretramento degli ottomani, palesando l’arretratezza e l’inferiorità tecnologica del loro impero.

Nonostante tutto, il bilancio delle vicissitudini ottomane appare quasi positivo se paragonato a quello dei loro rivali safavidi. Dopo la morte di Abbas (1605) il loro impero conobbe una rapida decadenza in ogni ambito, finché i rivali uzbeki e afghani arrivarono a minacciarne la stessa esistenza. A salvare l’Iran fu Nadir Şah, un turcomanno proveniente dalla tribù degli Afşar. Dopo aver cacciato gli invasori e restaurato il potere centrale, nel 1736 destituì l’ultimo esponente dei safavidi e si nominò Scià di Persia. Nadir fu l’ultimo grande conquistatore turco. Il suo regno fu caratterizzato da una serie impressionante di campagne militari condotte contro quasi tutti gli stati confinanti e coronate da sfavillanti successi. Genio militare assoluto, può essere visto come l’ultimo erede di Attila o il primo antesignano di Napoleone. Nadir Şah fu però anche un uomo dissoluto e violento, capace di atteggiamenti tanto bizzarri da far dubitare della sua salute mentale. Narcisista ed egocentrico, era ossessionato dalle figure di Gengis Khan e Tamerlano, di cui si considerava erede. Voleva imitare i suoi idoli in tutto, comprese le modalità e le proporzioni dei massacri e delle devastazioni. Ma quella che era la normalità per i nomadi del Medioevo era una follia sanguinaria agli occhi degli uomini del XVIII secolo. Stanche delle atrocità del loro signore, le sue guardie del corpo lo uccisero a tradimento nel 1747. L’Iran sopravvisse così al crollo della dinastia safavide, ma non tornò mai all’antico splendore. Nel secolo seguente l’Iran fu retto dalla dinastia dei Qajar, anch’essa di origine turca ma dalla cultura quasi totalmente iranizzata. Il loro regno coincise con un lungo periodo di decadenza.

Alla generale decadenza degli stati turchi tra XVII e XVIII secolo non si sottrasse nemmeno l’impero moghul delle Indie. L’ultimo imperatore di grande importanza fu Aurangzeb, che fu per altro in gran parte responsabile della rovina della dinastia. Musulmano fanatico, nel 1658 prese il potere sterminando orribilmente i fratelli assieme a tutta la loro discendenza. Vietò a corte ogni forma di musica e di arte, che disprezzava perché peccaminose, e prese l’abitudine di vestirsi di lana o cotone grezzo e mangiare nella terracotta. Mise fine alla tradizione di tolleranza religiosa della sua famiglia, tentando di imporre l’Islam a tutti i sudditi dell’impero. La sua vita fu una lunga guerra santa per schiacciare gli “infedeli” ovunque potessero opporvisi. Aurangzeb era in effetti un condottiero di talento, e ottenne buoni risultati da un punto di vista militare. Al termine del suo lungo regno (1707) l’India era però un paese stremato da decenni di guerre e violenze, e la convivenza etnica e religiosa su cui si era basata la civiltà dei moghul sembrava un lontano ricordo. L’impero andò dunque incontro a una rapidissima decadenza, dividendosi progressivamente in una serie di piccoli principati che furono facile preda per i colonizzatori britannici nel XIX secolo.

Chi è Carlo Pallard

Carlo Pallard è uno storico del pensiero politico. Nato a Torino il 30 aprile del 1988, nel 2014 ha ottenuto la laurea magistrale in storia presso l'Università della città natale. Le sue principali aree di interesse sono la Turchia, l'Europa orientale e l'Asia centrale. Nell’anno accademico 2016-2017 è stato titolare della borsa di studio «Manon Michels Einaudi» presso la Fondazione Luigi Einaudi di Torino. Attualmente è dottorando di ricerca in Mutamento Sociale e Politico presso l'Università degli Studi di Torino. Oltre all’italiano, conosce l’inglese e il turco.

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