Gravidanza surrogata, guardiamola da est

Il tema della cosiddetta maternità surrogata o, più brutalmente “utero in affitto“, ha riempito i giornali e i dibattiti televisivi del nostro paese che, così abituato a guardarsi l’ombelico, ha dimenticato che oltre ai suoi confini c’è una cosa chiamata “mondo“. La parte di mondo di cui ci occupiamo su queste colonne è l’Europa centro-orientale, e da questo punto di vista proviamo ad affrontare la questione.

Comprare la povertà

Uno dei nodi del dibattito è che la maternità surrogata sia dovuta a una povertà di partenza della donna. Non stupisce infatti che parte delle cliniche che offrono questo servizio si trovi in Russia, Ucraina, Bielorussia ma anche India e Bangladesh. Il ricco occidente sfrutta la miseria delle donne dell’est costrette dalla loro situazione economica a ricorrere a tale pratica. Da un punto di vista ideologico si potrebbe persino affermare che sia una forma di sfruttamento capitalistico del ricco nei confronti del povero (tale punto di vista è stato fatto proprio da alcuni movimenti femministi).

Ma le donne che vengono dall’Ucraina, dalla Romania e dalla Moldavia a pulire le case della borghesia italica, o ad accudire i malati e i vecchi – le cosiddette “badanti” – non sono a loro volta “comprate”? Non compriamo cioè la loro povertà, che le obbliga a lasciare il loro paese, i figli, i mariti, per vendere a noi il loro tempo, i loro anni migliori, la loro vita? Se è la povertà che non vogliamo comprare, allora si dovrebbe vietare di assumere badanti che provengano da paesi poveri. Ci si chiede se certa borghesia femminista abbia presente che la donna delle pulizie che tiene in casa è espressione di una povertà di partenza non dissimile da quella che, altrove, decide di vendere la propria maternità: sono entrambe il risultato delle disuguaglianze economiche.

La donna non è un mezzo

Nessun essere umano può essere ridotto a mezzo. Ecco un secondo nodo della questione. E su questo non ci piove. Ci si chiede allora perché non vietare anche la prostituzione che è, nella gran parte dei casi, sfruttamento di persone ridotte a mezzo. Non è un segreto che gran parte delle donne che si prostituiscono provenga dall’est Europa, preda di reti criminali. Ma nel caso della prostituzione la soluzione è stata individuata, in molti paesi europei, nella legalizzazione. La legalizzazione consente, da un lato, di combattere la criminalità organizzata e la tratta delle donne; e garantisce, dall’altro, maggiori tutele alla donna che sceglie, a quel punto liberamente, di prostituirsi.

La necessità della legalizzazione

La legalizzazione della maternità surrogata eviterebbe lo sfruttamento. Nei paesi dove è consentita, quali Regno Unito, Svezia, Grecia, Finlandia, Stati Uniti, Canada, sono in vigore regole molto rigide. In alcuni casi la maternità surrogata è vietata a quelle donne che non possano garantire un certo livello di ricchezza, proprio per evitare che sia la povertà la ragione della loro scelta. Inoltre è offerta alla donna la libertà di scegliere se proseguire la gravidanza in caso di malformazione del feto o di complicazioni dello stato di salute, ed è garantita l’assistenza medica, psicologica, legale e assicurativa. Inoltre è vietata la scelta dei caratteri genetici del nascituro, non è cioè possibile decidere se averlo biondo con gli occhi azzurri o moro con gli occhi verdi.kumar_indiasurrogacy_rtr3ffeb

Al contrario nelle cliniche private dell’Ucraina e della Russia è possibile costruirsi il figlio in provetta, predeterminando le caratteristiche fisiche del nascituro. Dove questa pratica non è legale, infine, ogni garanzia e tutela della donna e del nascituro vengono meno. Ed è ovvio che questa pratica avvenga anche dove non è legale. Se vogliamo evitare lo sfruttamento delle donne ucraine, russe, bielorusse ma anche moldave, romene, che portano avanti maternità surrogate in condizioni svantaggiate o illegali, senza tutela alcuna, e se vogliamo evitare che si producano figli “in provetta”, allora occorre impegnarsi per la promozione di leggi internazionali comuni che tutelino e regolino la gravidanza per procura.

La lotta al patriarcato

La posizione delle femministe francesi – e italiane – è esattamente opposta. Esse chiedono l’abolizione delle leggi a tutela della maternità surrogata come se, togliendo le leggi, si possa evitare la pratica. Quelle leggi servono a evitare lo sfruttamento di una pratica che avrebbe comunque luogo e sarebbe, in quel caso, preda del “mercato” e delle reti criminali. La ragione per cui le femministe francesi e italiane chiedono l’abolizione è la lotta al patriarcato. La maternità surrogata sarebbe cioè una forma di sfruttamento della donna da parte della società patriarcale, così incentrata sulla famiglia da pretenderne una anche quando natura non lo consente. La famiglia sarebbe quindi espressione di una società arcaica, un luogo autoritario nel quale viene repressa la libertà individuale. Tale rivendicazione si basa sul diritto da parte dell’individuo di scegliere in merito alla propria vita senza essere soggetto all’autorità della famiglia. Un diritto di cui le donne sono state sovente private in passato e, in alcuni casi, ancora oggi.

Quindi in nome della libertà della donna dal patriarcato, le femministe pretendono che alle donne sia vietata la possibilità di scegliere come gestire il proprio corpo.

Alcune femministe

lutero-c3a8-tuo-e-te-lo-gestisco-ioDire “le femministe” è sbagliato, poiché il movimento femminista è ampio e variegato. L’appello a vietare la maternità surrogata (ma sarebbe meglio dire la “gravidanza” surrogata, poiché la maternità non si esaurisce con il parto, né dipende da esso) viene dal gruppo denominato “Se non ora quando, espressione di una borghesia sinistrorsa, conservatrice, sovente ideologica, e connotata da una certa vecchiezza anagrafica e ideale.

Donne più giovani e consapevoli delle necessità di una società aperta e democratica, come Michela Murgia, hanno espresso il proprio dissenso rispetto alle posizioni del gruppo senza per questo rinunciare a definirsi femministe. Qui un articolo di Chiara Lalli sul “paternalismo” di Se non ora quando.

La battaglia, qui, non è quella contro il femminismo, ma contro una mentalità da struzzo che crede, sotterrando il problema, che questo non esista più. Una mentalità condivisa da uomini e donne. Le questioni etiche c’entrano poco, lasciamo stare la religione, in fondo anche Abramo ricorse alla gravidanza per procura. Dal punto di vista etico anche la guerra è una gran brutta cosa, ma smettere di aiutare le popolazioni bombardate non serve a evitare che le bombe cadano.Si può sognare un mondo senza gravidanza surrogata, se si vuole, ma essa già esiste e va regolata e tutelata affinché non diventi preda dell’abuso e dell’illegalità.

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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