Elezioni in Iran, il voto più importante degli ultimi decenni

IRAN: Le elezioni più importanti degli ultimi decenni

Per lo spicchio occidentale del mondo, l’Iran è una miniera di affari e investimenti succulenti. Lo è da qualche mese, più precisamente da luglio. L’inchiostro dell’accordo sul nucleare non era ancora secco che aziende di tutto il globo già sgomitavano in questa nuova corsa all’oro. Ma per gli iraniani quell’accordo ha (anche) un altro significato e molte più sfumature: è la fine di un mondo. Ed è per questo che le elezioni in Iran del 26 febbraio sono estremamente importanti. Questa tornata elettorale nomina la classe politica che è chiamata a scegliere quale direzione dare al paese nel prossimo decennio.

Per cosa votano gli iraniani

Il voto del 26 riguarda due istituzioni cardine del sistema politico dell’Iran. Si tratta dell’elezione dei 290 rappresentanti del Majlis, il parlamento iraniano, e del rinnovo dell’Assemblea degli Esperti. Il primo è l’organo legislativo, mentre il secondo ha il compito, fra le altre cose, di scegliere il successore di Khamenei per il ruolo più importante dell’architettura istituzionale dell’Iran rivoluzionario, la Guida Suprema. Non si vota invece per la presidenza, che resterà in carica per altri due anni. Dall’esito del voto dipenderanno quindi in larga parte gli spazi di manovra del presidente Rohani nella seconda metà del suo mandato.

Gli equilibri in parlamento

Sono più di 6.200 i candidati per un seggio in parlamento. Particolarmente combattuto è il distretto della capitale Teheran, dove 1.000 contendenti sono in lizza per appena 30 posti. Ma la vera battaglia elettorale è iniziata ben prima del voto. Il Consiglio dei Guardiani ha bocciato un numero incredibilmente alto di candidati, condizionando a priori l’esito delle elezioni in Iran. In pratica ha svolto uno dei suoi compiti più densi di conseguenze in maniera davvero zelante. Il motivo è semplice: l’Assemblea oggi è dominata a larga maggioranza da esponenti conservatori che vogliono ostacolare gli avversari che fanno capo all’ex presidente Rafsanjani, tra i quali figura anche Rohani. Se la maggioranza finisse a questi ultimi, che spesso vengono catalogati con l’etichetta di riformisti, Rohani avrebbe vita più semplice per i prossimi due anni. Così la “scrematura” qualche frutto l’ha dato: molti candidati sono stati poi riammessi, altri no. Tra i bocciati anche il nipote di Khomeini.

Con lo sguardo alle presidenziali del 2018

D’altronde la posta in palio nei prossimi anni è davvero alta. Le sanzioni internazionali sono state sollevate e l’Iran sta ritornando sulla scena economica globale molto rapidamente. Mentre le multinazionali del comparto energetico volano a Teheran per accaparrarsi la fetta migliore della torta – l’Iran ha sconfinate riserve di gas e petrolio, la principale preoccupazione dell’Arabia Saudita e di altri rentier states mediorientali – Rohani stringe accordi e firma contratti miliardari sia a est che con gli Stati europei. Dall’accordo sul nucleare è passato troppo poco tempo, i suoi frutti ancora non si vedono nell’economia quotidiana. Per questo per Rohani è essenziale poter governare con le mani libere nei prossimi due anni e arrivare alle prossime presidenziali  con più risultati possibili.

La prossima Guida Suprema

Così i “riformisti” hanno messo da parte le differenze e partecipano al voto compatti, con capofila l’influente Mohammad Reza Aref. Quali sono le previsioni per le elezioni in Iran? Secondo Hossein Bastani di BBC Persian, se a Teheran meno della metà di chi votò per Rohani nel 2013 mettesse oggi la croce sugli esponenti riformisti, tre delle più autorevoli figure conservatrici  – Ahmad Jannati, Mohammad Yazdi e Mohammad Taghi Mesbah-Yazdi – resterebbero fuori dai giochi. In ogni caso, l’equilibrio che si verrà a creare nella nuova Assemblea degli Esperti sarà probabilmente decisivo. Khamenei oggi ha 76 anni e l’organo rimane in carica per 8 anni. Saranno forse questi nuovi eletti a scegliere la prossima Guida Suprema. Una scelta che influenzerà molti altri aspetti – tutt’altro che secondari – della vita del paese, l’altalena tra apertura e repressione: dalla situazione delle minoranze all’atteggiamento verso dissidenti e avversari politici, dalla redistribuzione della ricchezza prodotta alle crescenti disuguaglianze sociali.

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Chi è Lorenzo Marinone

Giornalista, è stato analista Medio Oriente e Nord Africa al Centro Studi Internazionali. Master in Peacekeeping and Security Studies a RomaTre. Per East Journal scrive di movimenti politici di estrema destra.

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