UCRAINA: Il tacito compromesso tra Mosca e Washington

A un anno esatto dalla loro firma, gli accordi di Minsk che dovevano regolare la crisi ucraina e permettere una graduale reintegrazione dei territori occupati, sembrano giunti definitivamente in un vicolo cieco. Nonostante una netta impennata di scaramucce e scontri armati lungo la linea di demarcazione nelle ultime settimane, testimoniata dai sempre più preoccupati report giornalieri dell’OSCE, numerosi esperti parlano con insistenza di un tacito compromesso tra Mosca e Washington sul futuro del Donbass.

I pronostici di Mosca

Nei corridoi del Cremlino, con la Russia impegnata in un serrato dialogo con Washington su più questioni, si vocifera con crescente insistenza che lo status del Donbass è destinato a rimanere congelato almeno per il prossimo decennio. A confermarlo ci sarebbero diversi indizi. Nelle ultime settimane si sono svolti, in effetti, alcuni importanti incontri al di fuori del formato di Minsk. A metà gennaio il nuovo rappresentante russo nel gruppo di contatto, Boris Gryzlov, è volato in gran segreto a Kiev incontrando prima Kuchma e poi Poroshenko. Secondo il quotidiano Zerkalo Nedeli, Gryzlov sarebbe stato incaricato di aprire una nuova finestra di dialogo con Kiev direttamente da Putin. Il messaggio portato al presidente ucraino rimane segreto, ma il cambio di strategia di Mosca appare evidente. La fresca nomina di un personaggio di primo piano come Gryzlov, andato a sostituire burocrati di secondo livello, ne è un esempio.

I nuovi sviluppi sono riassunti nel report mensile del “Centro della congiuntura politica” (qui il pdf), uno dei think tank più vicini al Cremlino. A differenza di qualche mese fa, quando il congelamento dello status quo era considerato solo come uno dei possibili sviluppi, a partire da gennaio il direttore del Centro ed ex consigliere dell’amministrazione presidenziale, Aleksey Chesnakov (molto vicino a Surkov), ha iniziato a parlare con maggiore insistenza di questa possibilità, valutandola come la più probabile tra le diverse opzioni sul tavolo.

Un compromesso con il nemico?

Voci più insistenti riguardano, però, un tacito compromesso che si starebbe lentamente formulando su più tavoli negoziali, nonostante le numerose difficoltà, tra Mosca e Washington. Anche se le posizioni rimangono tutt’altro che vicine, l’incontro tra il rappresentante del Dipartimento di Stato Viktoria Nuland e Vladislav Surkov, tenutosi a Kaliningrad a gennaio, rappresenta uno dei nodi della difficile trama che starebbero tessendo le due cancellerie. Molto vicino all’amministrazione presidenziale, già teorizzatore del concetto di “democrazia sovrana” e ora il principale incaricato del Cremlino per trovare una soluzione (auspicata anche dalle numerose difficoltà di carattere economico) al rompicapo ucraino, Surkov continua a muoversi tra le linee, cercando opportunità di dialogo tra Kiev e Washington. Le dichiarazioni di John Kerry durante l’incontro con il collega russo Sergey Lavrov, che ha sottolineato la possibilità di abrogare una parte delle sanzioni in caso di una non meglio precisata ottemperanza russa al protocollo di Minsk, hanno suscitato numerose speculazioni. Abbassare i toni senza cedere di un passo sembra, però, l’obiettivo principale del dialogo, con un occhio al Medio Oriente e l’altro alle imminenti elezioni americane.

Fallimento del formato di Minsk

Nato dall’urgente necessità di porre rimedio all’escalation militare che rischiava di finire fuori controllo, il protocollo di Minsk e il formato del tavolo negoziale che comprende Parigi, Berlino, Mosca e Kiev si è dimostrato quasi subito inadatto a regolare la più grave crisi politico-militare dell’ultimo decennio. Il fallimento di Minsk, che con lo scadere del 2015 è finito anche in un limbo legale, è quindi in parte il fallimento della strategia europea. Alle prese con le numerose contraddizioni interne e con una serie di crisi politiche che hanno intaccato l’unità stessa del continente, l’Unione si è dimostrata incapace nel doppio (seppur difficilissimo) compito di dialogare con Mosca e di promuovere un genuino e coerente percorso di riforme a Kiev. A un anno di distanza nessuno dei punti del protocollo è stato realizzato, mentre in Ucraina continua a imperversare una crisi politica che negli ultimi mesi ha paralizzato l’esecutivo. Le prospettive di vedere importanti sviluppi nel 2016 si assottigliano con l’avvicinarsi delle inderogabili scadenze elettorali a Washington, ma anche a Parigi e Berlino. L’Ucraina è già passata in secondo piano e il congelamento dello status quo in attesa dei tempi migliori appare come l’unica strada veramente percorribile.

Chi è Oleksiy Bondarenko

Nato a Kiev nel 1987. Laureato in Scienze Internazionali e Diplomatiche presso l'Università di Bologna (sede di Forlì), si interessa di Ucraina, Russia, Asia Centrale e dello spazio post-sovietico più in generale. Attualmente sta svolgendo un dottorato di ricerca in politiche comparate presso la University of Kent (UK) dove svolge anche il ruolo di Assistant lecturer. Il focus della sua ricerca è l’interazione tra federalismo e regionalismo in Russia. Per East Journal si occupa di Ucraina e Russia. Collabora anche con Osservatorio Balcani e Caucaso.

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