RUSSIA: Rifiuti tossici, la Chernobyl chimica che minaccia anche la Finlandia

Disponendo geograficamente di vasti territori pianeggianti, disabitati e dal clima prettamente rigido, la Russia ha trovato come alternativa più immediata, semplice ed economica stoccare i rifiuti, sia urbani che industriali (e pericolosi), in discariche pressoché a cielo aperto. Sono oltre 30 miliardi di tonnellate (dati Rostech) i rifiuti disseminati per il territorio della Federazione in terreni in genere in mano a privati riconvertiti ad hoc allo stoccaggio indifferenziato.

La reciproca dipendenza tra municipalità e proprietari delle discariche ha creato un’aura poco chiara e “pulita” attorno al sistema, dove entrano corruzione, multe irrisorie, falsificazioni di dati e rilevazioni. Il tutto comporta un danno non tanto alle tasche dei contribuenti (le tasse sulle immondizie in Russia sono molto basse), quanto alla salute loro, dell’ambiente e delle città. In questi giorni, a Pietroburgo, si parla di una “Černobyl’ chimica” che minaccia i cittadini non solo russi, ma anche finlandesi.

La minaccia ambientale di Pietroburgo

A trenta km dalla metropoli si trova infatti una grande discarica per rifiuti industriali, Krasnyj Bor, su cui già nel 2010 Greenpeace aveva richiamato l’attenzione, e che tre anni fa Medvedev aveva promesso di smantellare quanto prima. L’inatteso rialzo delle temperature di questi giorni sta accelerando la catastrofe ambientale che gli ecologisti avevano previsto per questa primavera.

I residui tossici della discarica infatti, con lo sciogliersi del ghiaccio, si stanno lentamente riversando nelle falde acquifere dell’oblast’ pietroburghese e minacciano di raggiungere il fiume Neva ed il Baltico. La vicina Finlandia non ha esitato a farsi sentire a riguardo, ricevendo però in risposta affermazioni principalmente vaghe sull’infondatezza di una tale minaccia.

Gli ecologisti e attivisti russi e finlandesi da tempo ormai tentano di richiamare l’attenzione su questo ed altri siti altamente inquinanti e pericolosi, ma non sono stati ascoltati, e in alcuni casi sono stati anche ostacolati (come nel caso del ricercatore finlandese Seppo Knuutila nel 2012, fermato dalle autorità russe ed a cui è stato confiscato il computer alla frontiera). In una lettera aperta le organizzazioni verdi pietroburghesi hanno affermato che “una tale negligenza verso la sicurezza dei cittadini del proprio paese non si registra da nessuna parte al mondo”.

Nello specifico, la discarica di Krasnyj Bor, attiva dagli anni ’70, accoglieva in media ogni anno circa 25.000 tonnellate di rifiuti da 450 aziende diverse, ma dallo scorso anno, in seguito ad una sentenza, ufficialmente non può più ricevere rifiuti da stoccare. La dirigenza del sito è cambiata continuamente, collezionando negli anni anche procedimenti penali e debiti. Non potendo più stoccare nuovi rifiuti, la discarica si trova ora priva di nuove entrate, e quindi sostanzialmente incapace di ripagare gli importi dovuti e di mettere in sicurezza l’area (per la quale si stimano necessari 60 miliardi di rubli).

Sarebbe necessario un pronto intervento da parte delle autorità, alle quali i colleghi finlandesi hanno anche proposto di collaborare; al momento però, per quanto il graduale riscaldamento climatico dell’area renda la catastrofe ambientale sempre più irreparabile e vicina, ancora nulla è stato deciso. Dopotutto, le autorità che si vorrebbero vedere intervenire in questo caso, sono le stesse che da anni promettono a parole lo smantellamento dell’area.

Inquinamento ambientale, ma non solo: le contraffazioni alimentari

In tutt’altro settore, si è parlato in questi giorni di un’altra quasi-intossicazione, o meglio falsificazione alimentare. Infatti, oltre all’inquinamento generale delle falde acquifere russe in seguito allo stoccaggio selvaggio dei rifiuti, e a quello dell’aria, diventata irrespirabile nelle grandi città industriali, l’alimentare, su cui il governo ha spinto nel corso dello scorso anno in seguito all’embargo dalle merci estere, ha messo sul mercato diversi prodotti contraffatti, in alcuni casi (il 6% dei latticini, equivalente a 333 aziende, ad esempio) in violazione alle norme igienico-sanitarie russe ed ai parametri fisico-chimici richiesti (dati Rospotrebnadzor, ente per la tutela dei consumatori).

In particolare, nonostante gli aumenti di fondi proclamati dal governo in favore della crescita del settore alimentare, e dei latticini nello specifico, le rilevazioni hanno scoperto una moltitudine di prodotti finiti sul mercato, falsificati sostituendo al latte e suoi derivati l’olio di palma. Ed in questo senso si spiegano i dati economici che vedono in aumento esponenziale le importazioni di questo prodotto nel 2015.

Chi è Martina Napolitano

Dottoressa di ricerca in Slavistica presso l'Università di Udine, è direttrice editoriale di East Journal e scrive principalmente di Russia.

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