CALCIO: Slaven is a Hammer. Bilić, da Spalato alla resurrezione del West Ham

Slaven Bilić è arrivato a Upton Park nel luglio del 2015 con un compito preciso: far dimenticare la mediocrità di Sam Allardyce ai tifosi Hammers, ai quali erano rimaste indigeste le scialbe salvezze degli anni precedenti. Un gioco noioso, basato sul lancio diretto a Sakho o Carroll, che aveva garantito poco più che la salvezza e creato malumori generalizzati. Per la stagione 2015/16 c’era bisogno di qualcosa di diverso, qualcosa che potesse accompagnare l’ultima stagione del West Ham al Boleyn, prima del discusso trasferimento a Stratford, allo stadio olimpico nuovo di zecca. La scelta della dirigenza è ricaduta sul tecnico di Spalato, in quel momento allenatore del Beşiktaş.

Al suo approdo in Inghilterra, Bilić sembrava dover dimostrare di essere un allenatore in grado di gestire le complessità e le pressioni di un campionato competitivo quanto la Premier. Le esperienze precedenti al West Ham di Slaven Bilić raccontavano la storia di un ottimo ex calciatore, difensore grintoso e combattivo, passato alla panchina con ottimi risultati ma anche con qualche passaggio a vuoto. La figura di Bilić è anche quella di un appassionato di musica e politica, in grado di affrontare discorsi e ragionare su tematiche che vanno al di là dell’ambito sportivo. Bilić si è definito più volte socialista, prendendo parte a discussioni su politica e attualità in diverse occasioni. È molto nota, allo stesso modo, la sua passione per la musica rock e per la chitarra. Una figura, comunque, difficilmente incasellabile in una categoria: quando la sua Croazia sconfisse l’Inghilterra nell’ultima gara del girone dell’Europeo 2008 disse di aver dato la carica ai propri giocatori facendo loro ascoltare musica di estrema destra.

I risultati ottenuti con la nazionale croata sono sicuramente il fiore all’occhiello della carriera da allenatore di Bilić. Il campionato Europeo del 2008 è stata la consacrazione della squadra croata come potenza a livello Europeo e il quarto di finale con la Turchia è una di quelle partite che fanno la storia sportiva di un paese. Perdere ai rigori dopo aver subito il gol del pareggio al minuto 122 è un shock difficile da tollerare. La Croazia di Bilić era la squadra che esprimeva il miglior calcio, ed era indicata dagli osservatori come la favorita dell’intero torneo. Il corso degli eventi ha preso, tuttavia, una piega diversa, e quella sconfitta ha contribuito a definire la figura di Bilić come allenatore capace di utilizzare al meglio il materiale a disposizione, dando un ottimo gioco alle proprie squadre, ma incapace di imprimere la mentalità vincente. Questa tendenza è stata poi riconfermata anche sulla panchina del Beşiktaş, dove per due anni Bilić ha dato battaglia ai rivali del Fenerbahçe e del Galatasaray per la conquista del titolo, senza mai riuscire a spuntarla in nessuna delle competizioni né in uno dei derby con i rivali storici di Istanbul.

Le premesse non erano quindi delle migliori, e la stagione al West Ham non è iniziata in modo esaltante: i risultati di Bilić in maglia claret and blue non sono arrivati immediatamente. Il biglietto da visita è stata la cocente mancata qualificazione dell’Europa League per mano dell’Astra Giurgiu, attualmente in testa al campionato romeno, ma praticamente sconosciuta a livello internazionale. La delusione europea e qualche passaggio a vuoto in amichevole sembravano aver richiamato nell’East London i soliti spettri di un’altra stagione anonima.

La prima di Premier all’Emirates sembrava il primo passaggio di una via crucis annunciata. Il 2-0 inflitto a domicilio ai ragazzi di Wenger arrivava inaspettato e faceva esplodere un ambiente che attendeva una scossa da troppo tempo. Le seguenti sconfitte interne con Leicester, di cui ancora non si conosceva la dimensione che avrebbe raggiunto in seguito, e Bournemouth sembravano ridimensionare drasticamente le ambizioni degli Irons. Tuttavia le successive 3 vittorie consecutive ad Anfield, con il Newcastle in casa e all’Ethiad spazzavano via i dubbi e le perplessità sul gioco del nuovo mister, ritenuto l’artefice unico dell’ottimo avvio. Nel primo mese e mezzo di Premier League, infatti, il West Ham aveva battuto in trasferta Arsenal, Liverpool e Man City, impresa riuscita soltanto all’Everton nel 1995/96, al Man United nel 2004/04 e al Chelsea la stagione successiva.

La classifica attuale fa sognare i tifosi, dato che dopo poco più che un girone il West Ham è quinto in classifica, pronto a giocarsi l’accesso all’Europa con gli odiati rivali del Tottenham e con un Manchester United in crisi di identità. Il gioco di Bilić infiamma i sogni di gloria. La maggior parte dei punti in classifica sono stati guadagnati in trasferta, con risultati ottenuti grazie a prestazioni intelligenti e autoritarie. Scegliere di sfruttare le ripartenze o imporre il proprio gioco a seconda dell’avversario è indice di grandissimo acume tattico; Bilić è stato maestro in questo. Abbandonare il mono-schema del manager che lo aveva preceduto per esaltare le doti di un buon collettivo privo di campioni assoluti, ma in grado di valorizzare le individualità di Payet, unico calciatore in rosa in grado di fare la differenza da solo.

Sabato Bilić riceverà la visita del Manchester City, deciso a scendere nella capitale per vendicare la sconfitta interna di Settembre ma soprattutto per prendersi i punti necessari ad avvicinare la vetta della classifica. A Bilić l’arduo compito di individuare le contromisure necessarie e fare lo sgambetto alla squadrone del Nord.

Chi è Matteo Marchello

Nato a Lecce, vive a Londra. Scrive di calcio per Trappoladelfuorigioco.it ed East Journal.

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