RESISTENZE: Lidija Šuput, impiegata di banca jugoslava

Nata nel 1921 a Arandjelovac, non ancora ventenne svolge a Belgrado a servizio di staffetta tra gruppi di resistenti; in seguito passa alla clandestinità. Viene arrestata dalla polizia speciale il 19 febbraio 1943 e inviata al campo di concentramento di Banijca dove viene torturata e condannata a morte. Ma Lidija è incinta e l’esecuzione – secondo la legge – non può avere luogo finché non avrà partorito.  Dopo aver trascorso un breve periodo ai lavori forzati a Banatski Brestovac, viene trasferita nuovamente a Banijca, dove il 18 aprile dà alla luce una bambina, Vesna. Viene fucilata il 4 settembre 1944. 

19.XII.1943

Banatski Brestovac

Cara mamma,

poiché ritengo che questa sia l’ultima lettera, e dato che voi stessa mi avete mandato la carta, ho la possibilità di scrivervi alcune parole. In primo luogo, mi sento abbastanza bene, grazie agli enormi sforzi che fate per mandarmi questi ottimi (anche troppo) pacchetti, non soffro la fame…

Per quanto riguarda il bambino, mi dispiace, ma credo di essere l’unica che possa dargli un nome, maschio o femmina che sarà. In ogni caso non c’è neppure da pensare a un nome di famiglia, tanto nel caso che, quando sarà il momento, io sia viva, quanto nel caso che sia morta. Permetterei soltanto a Velo di interferire in questa faccenda, ma se egli fosse qui lascerebbe fare a me.

Per quel che mi riguarda personalmente, sarei felicissima se fosse una bambina. In questo caso si chiamerebbe sicuramente Vesna, se invece sarà un maschietto, per ora il nome che più mi piace è Zoran. Cosa finirò col decidere non lo so ancora, perché non mi sono ancora abituata all’idea che possa essere un maschio. Penso che Velo sbufferebbe con tutte le sue forze se leggesse queste righe, perché, santo cielo, si tratta anche della sua virilità, eppure. Se anche fosse una bambina, non sarebbe indizio di debolezza, dato che al giorno d’oggi una donna non rappresenta affatto un essere debole. Sia come sia, sarà un «Kjokavo», andrà bene comunque e gli vorremo bene.

Vedo che vi disperate per causa mia e che mi consigliate di confidare in Dio. Sì, cara mamma, fin dal primo giorno e dal primo momento io confido con tutte le mie forze in Dio, ma in quel Dio in cui io e Velo crediamo sinceramente e con tutto il nostro essere, dato che egli soltanto può aiutarci, soltanto egli può trarmi fuori dalla sventura nella quale mi ha trascinato gente perversa. Voi continuate a confidare anche nella nobiltà degli uomini, ma dieci lunghi mesi mi hanno dimostrato, e voi stessa dovete riconoscerlo, che di uomini nobili ce ne sono pochi, e che, a quanto pare, non abbiamo la fortuna di averli vicino a noi, poiché, se così non fosse, già da tempo sarei a casa, e forse sarei pure felice.

Se in questi giorni ce ne andremo di qui, inviatemi la maglietta celeste e la cuffia, ed ancora un paio di quelle calze di Kolja, perché le prime me le sono sempre messe per dormire e sono tutte rotte, e con le calze di lana lunghe si dorme male, dato che graffiano. Sono riuscita a farmi restituire la mia grande coperta di piume, così che adesso dispongo di due piumini grandi e di uno piccolo. Per me è sufficiente, e non dovete mandarmene più, poiché questo mi servirà come materasso. Potete inviarmi di tanto in tanto del sapone da bucato e l’«Odol» per i denti, nonché biancheria, fazzoletti e tutto quello che avete…

Per quel che riguarda le cibarie non desidero niente di particolare. Mi piacciono molto le vostre popule ed anche il pasticcio tra foglie di cavolo d’oggi era ottimo. Per il vitto non mi lamento, dato che ricevo tutto quello che desidero grazie ai pacchetti, ed anche questo piccolo furfantello non lascia niente a nessuno, è lui che ha mangiato l’alva, è lui che mangia le macedonie e le conserve di frutta, ma, purtroppo, gli piacciono soltanto cose molto dolci, altrimenti, per le focacce di guerra, è indifferente. Perché non mi aete fatto sapere come vi siete procurata l’alva, oppure chi l’ha mandata? A proposito, non so neppure se avete ricevuto l’orologio e il cucchiaio di Velo dall’ospedale, dal momento che non me ne scrivete niente.

E così, sotto ogni aspetto, sono più esauriente di voi e penso di avere scritto tutto quello che disideravo. Ah, questo ancora, non mandate sigarette, poiché in effetti non mi arrivano. Prima Velo ne ha inviate a centinaia, ma per tutto il tempo non ne ho avute più di 20.

Vi ringrazio di tutto e mi dispiace moltissimo al pensiero di tutte le preoccupazioni materiali che avete a causa mia e di tutte le vostre tribolazioni spirituali. Tanti cari saluti a Kjoka ed a tutti coloro che mi amano e che io amo, a voi tutti di casa manda un bacio

la vostra Lida

Chi è Edoardo Corradi

Nato a Genova, è dottorando di ricerca in Scienza Politica all'Università degli Studi di Genova. Si interessa di Balcani occidentali, di cui ha scritto per numerosi giornali e riviste accademiche.

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