E’ morta Vera Schiavazzi, maestra di giornalismo

Ricordo che una volta, guardando un documentario su RaiStoria, riconobbi Vera Schiavazzi, giovanissima, che stava seduta dietro un tavolo con altre ragazze sue coetanee. Avrà avuto poco più di vent’anni, militava nei collettivi femministi che avevano trovato espressione, a metà anni Settanta, nella Casa delle Donne. Un posto di accoglienza e incontro dove le donne si confrontavano sull’autodeterminazione rispetto al proprio corpo e alla maternità, sui temi della salute, della violenza sulle donne, del lavoro. Le telecamere della Rai erano andate a vedere cosa fosse questa Casa che si trovava – e si trova ancora – nel quartiere di Vanchiglia, a Torino. Era lei, trent’anni di meno ma con il suo inconfondibile modo di parlare, e spiegava al vecchio giornalista come quel posto servisse anche a prendersi cura di sé, esprimere la propria creatività, trovare ascolto e supporto per i propri problemi, contare sulla solidarietà di altre donne. 

Non so quando Vera Schiavazzi abbia deciso di diventare giornalista, non so nemmeno il perché, ma quel giorno compresi meglio quel che già sapevo, che il giornalismo non si fa come un qualunque mestiere, che richiede impegno ideale e politico, senza mai abdicare all’onestà e alla ricerca della verità. Questa è la lezione più importante che sento di avere appreso da Vera che è stata, per due anni, la mia direttrice. Non presso un giornale – di più, presso la Scuola di Giornalismo di Torino. E’ colpa o merito suo se oggi faccio il giornalista, se esiste questo giornale, se voi lo leggete, se sgomito per qualche collaborazione mal pagata, se credo con ogni forza nella necessità di questo mestiere e nel suo valore civile e sociale.

Quella Scuola è una sua creatura, lei, giornalista di Repubblica, decise – non le chiesi mai perché – di imbarcarsi in questa avventura, affrontando difficoltà e ostacoli che noi allievi potevamo solo intuire. In una città così profondamente segnata dalla presenza di un grande giornale, la Scuola si prefiggeva di essere fucina per giornalisti indipendenti e preparati, sottraendo alle redazioni il controllo dell’accesso alla professione. Una sfida che ha saputo affrontare e vincere grazie alla tenacia e alla nitida visione del futuro di questo nostro mestiere. Non a caso il giornale su cui ci faceva fare esperienza si chiamava – e si chiama – Futura, al femminile.

L’ultima volta che vidi Vera fu durante incontro pubblico, ci parlò della necessità di superare l’esperienza delle Scuole poiché erano maturi i tempi per cui il giornalismo entrasse nelle università, rendendo finalmente pienamente democratico l’accesso a questo mestiere. Ci lascia in eredità un lavoro da finire, quello di portare il giornalismo a più alti livelli di indipendenza e professionalità, impegnandoci nello sviluppo democratico della professione, sottraendola alla mercificazione e all’asservimento.

Vera Schiavazzi è mancata nella notte, aveva 55 anni. Ci uniamo al cordoglio della famiglia e dei suoi cari. Ciao Vera, grazie di tutto.

 

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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Un commento

  1. ho letto solo ora l’articolo su VERA SCHIAVAZZI e ti ringrazio per il sentito ricordo di una gran bella persona.
    Sì, ci vorrebbero molte/i più giornaliste/i come lei e come tu auspichi. Tutte noi siamo “affamate” di notizie “vere” e non vogliamo più sentire certi “tromboni” che non sanno parlarci nè alla mente nè al cuore.

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