CALCIO: Il derby di Mostar, identità in conflitto

Est contro Ovest, Armata Rossa contro Ultras, origini operaie contro araldi nobili, stella rossa contro šahovnica. Domani allo stadio Vrapčići andrà in scena il derby di Mostar tra Velež e Zrinjski: una partita che è divenuta epitome dei conflitti di identità che, a venti anni dalla fine della guerra, continuano a pervadere il capoluogo dell’Erzegovina e le sue divisioni etniche e politiche. A livello di classifica, la gara non sembrerebbe invece avere molto da dire: i Plemići («nobili») dello Zrinjski sono secondi a -1 dalla capolista Sloboda Tuzla, mentre i Rođeni («nativi») del Velež languono al penultimo posto in graduatoria.

Sembrerebbe quindi pronosticabile una vittoria dello Zrinjski, che deve confermarsi dopo un periodo non positivissimo per non perdere il passo della capolista e tenere a distanza il terzetto di inseguitrici (FK Sarajevo, Široki Brijeg e Radnik Bijeljina, tutte e tre a -2 dalla squadra di Mostar ovest). Nelle ultime cinque gare di campionato lo Zrinjski ha guadagnato solo sette punti, portando a casa due sconfitte contro squadre del fondo classifica (Borac Banja Luka e Vitez). Non vanno meglio le cose in casa Velež, penultimo a +1 dal fanalino di coda Drina Zvornik, squadra contro cui è maturata l’unica vittoria stagionale in dodici gare. In Kup BiH entrambe le squadre sono state eliminate al primo turno, ovvero ai sedicesimi di finale. Se però lo Zrinjski ha chinato la testa ai rigori contro il FK Sarajevo, i Rođeni sono capitolati di fronte allo Sloboda Novi Grad, squadra che – nella seconda divisione del campionato bosniaco – sembra destinata alla lotta per evitare la retrocessione che ad ambire a una promozione.

Identità storiche e attività sospese

Quello di Mostar è quindi soprattutto un derby di identità che mette le proprie radici nelle origini delle due squadre, fondate rispettivamente nel 1905 (Zrinjski) e nel 1922 (Velež). L’appartenenza dell’HŠK Zrinjski è chiara fin dal suo nome completo: Hrvatski Športski Klub, club sportivo croato. La squadra rappresenta infatti la popolazione croata di Mostar ovest, maggioritaria, e porta il nome dei principi Zrinski, una famiglia nobile croata nota soprattutto per le imprese del viceré Nikola Šubić Zrinski, eroe nazionale sia in Croazia sia in Ungheria, morto nel 1556 difendendo l’Impero Asburgico dalle truppe ottomane di Solimano il Magnifico durante l’assedio di Szigetvár. Un’origine molto diversa da quella del Velež, nato nel 1922 come squadra operaia e multi-etnica e presto associata al partito comunista locale e identificata con la stella rossa sul petto.

Nonostante le lontane origini della storia di entrambe le compagini, il derby di Mostar ha uno storico molto breve, influenzato dalla storia, che ha portato alla sospensione delle attività delle due squadre e poi alla divisione del campionato bosniaco in tre leghe distinte: da una parte i club croati d’Erzegovina, da un’altra le società bosgnacche, da un’altra ancora i serbo-bosniaci della Srpska. La prima sospensione risale alla repressione del dissenso politico operata da Aleksandar Karađorđević del 1929 in occasione della cosiddetta “dittatura del 6 gennaio“: le attività del Velež rimasero in stallo fino al 1936, con diversi associati del club incarcerati o scomparsi dalla circolazione.

Quando invece durante la Seconda Guerra Mondiale nazisti e fascisti instaurarono lo Stato Croato Indipendente nelle mani di Ante Pavelić, lo Zrinjski disputò la lega dello stato retto dagli ustascia, facendosi bandiera del nazionalismo croato. Una scelta che sarebbe stata stigmatizzata dalla classe dirigente socialista nel dopoguerra, portando alla decisione di sciogliere il club e distruggerne gli archivi. Nel frattempo il Velež risorgeva dalle ceneri, dopo aver di nuovo sospeso le proprie attività sotto il regime ustascia: diversi membri del club trovarono la morte durante la guerra, alcuni nei campi di concentramento, altri combattendo a fianco dei partigiani di Tito. Il club stesso fu vittima della repressione nel 1940, dopo che una partita contro lo Crna Gora di Podgorica si trasformò in una manifestazione contro il regime. Anche nel caso dei Rođeni, l’intera storia del club andò persa: gli archivi e i trofei vennero nascosti da Mesak Ćumurija, un membro del club, e seppelliti. Dove, non si sarebbe mai saputo: arrestato durante la guerra, Ćumurija morì a Sarajevo, portando il segreto con sé nella tomba.

La Jugoslavia socialista rappresentò il momento più alto della storia del Velež, che vinse nella sua storia due Coppe del Maresciallo Tito, nel 1981 (3-2 sullo Željezničar Sarajevo) e nel 1986 (3-1 sulla Dinamo Zagabria), capitolando due volte in finale contro le due grandi di Belgrado (1958 e 1989) ed eliminando Spartak Mosca, Rapid Vienna e Derby County nella Coppa UEFA 1974/75, prima di essere fermato ai quarti dagli olandesi del Twente. Sono gli anni in cui, con la stella rossa sul petto, fanno i loro primi passi sul campo giocatori come il portiere Ivan Ćurković e l’attaccante Vahid Halilhodžić: avrebbero fatto bella mostra di sé nei campionati francesi degli anni ’70 e ’80 prima di intraprendere rispettivamente la carriera dirigenziale (il primo, giunto ai vertici del calcio serbo) e da allenatore (il secondo, CT dell’Algeria all’ultimo Mondiale, attualmente sulla panchina del Giappone).

Nel 1972, in occasione del cinquantenario dell’esistenza del club, fu proprio il Maresciallo Tito a spendere parole di miele nei confronti della squadra: «Compagni, siete sulla giusta strada, non solo da ieri, ma dalla vostra origine. E ciò che più conta, siete rimasti politicamente uniti. Voglio che il futuro porti fratellanza e unità, qualcosa che è necessario diventi man mano più forte e sia consolidato. Voglio in particolar modo che voi, la giovane generazione che segue lo sport, diveniate i primi soldati di coloro che saranno di guardia contro ogni assalto nazionalista. […] Questa è la nostra via socialista». Un proclama che richiama gli ideali titoisti della bratstvo i jedinstvo («fratellanza e unità»), ma anche una profezia, se letta col senno di poi, agghiacciante.

Linee di divisione, perdite di identità: Zrinjski e Velež oggi

Sono passati vent’anni da quel discorso quando le granate croate colpiscono a morte lo Stari Most, il ponte sulla Narenta che dà il nome alla città di Mostar. Un avvenimento tra i più forti iconograficamente di tutto il conflitto jugoslavo, e che simboleggia con forza le linee di divisione che passano per Mostar e per tutta l’Erzegovina. Ed è in questo contesto che torna a esistere lo Zrinjski, non a caso rifondato a Međugorje, capitale spirituale della rinascita del nazionalismo croato in Erzegovina, e da subito impegnato nell’istituzione del campionato di calcio dell’Erzeg-Bosnia. Da sempre espressione di una posizione nazionalistica forte, non è raro che la curva dei Plemići, gemellata con la Torcida spalatina dell’Hajduk, intoni cori che inneggiano ad Ante Pavelić. In una città divisa e che non sa trovare un accordo sulla legge elettorale per paura che la componente etnica croata, demograficamente maggioritaria, possa prendere il sopravvento, lo Zrinjski sta vivendo gli anni migliori della propria storia: tre scudetti e un titolo di coppa all’attivo, per la squadra che una decina di anni fa ebbe in prestito dalla Dinamo Zagabria un giovanissimo Luka Modrić.

Più complicato stabilire l’identità attuale del Velež: club di vocazione multi-etnica e schierata a sinistra, portato per natura alla nostalgia per la Jugoslavia di Tito (il cui volto appare ancora spesso negli striscioni della curva) in cui la squadra visse i suoi anni d’oro, i Rođeni si sono trovati loro malgrado a rappresentare, a causa della netta divisione sociale ed etnica di Mostar e della fuga di quasi tutti i serbi durante la guerra, la metà bosgnacca della città. Una perdita di identità che è stata accentuata dalla perdita del Bijeli Brijeg, lo stadio degli anni d’oro, “ereditato” dallo Zrinjski in quanto collocato nella parte occidentale della città. Intervistato da FourFourTwo, il giornalista Saša Ibrulj ha spiegato: «Ai più anziani piace dire come nulla sia più uguale a prima, e ho paura di dover dire che hanno ragione. Non direi, comunque, che l’identita del Velež è completamente persa […]. Il Velež è tuttora il club più vicino al movimento di sinistra, che ha quasi cessato di esistere in Bosnia-Erzegovina, ed è uno dei pochi club che si identificano con il movimento anti-fascista. […] È un fatto che la città sia divisa e che il Velež esista e funzioni nella parte dominata dai bosgnacchi […], ma non considero il Velež un club esclusivamente bosgnacco».

Tra il senso di dislocamento dovuto alla perdita del Bijeli Brijeg e i cori che tuttora inneggiano al Maresciallo («Noi siamo con Tito, e Tito è con noi»), tra le polemiche per l’eliminazione dallo stemma della stella rossa (poi reintegrata) e il disagio di trovarsi a rappresentare con un ethos multietnico una sola fazione della città, tra un passato da provinciale gloriosa e un presente di saliscendi tra prima e seconda divisione del campionato bosniaco, il Velež sembra oggi essere una squadra che vive nella nostalgia di un passato che non esiste più, nel tentativo disperato di ritrovare il proprio posto nel mondo.

Foto: FK Velež Mostar (Facebook)

Chi è Damiano Benzoni

Giornalista pubblicista, è caporedattore della pagina sportiva di East Journal. Gestisce Dinamo Babel, blog su temi di sport e politica, e partecipa al progetto di informazione sportiva Collettivo Zaire74. Ha collaborato con Il Giorno, Avvenire, Kosovo 2.0, When Saturday Comes, Radio 24, Radio Flash Torino e Futbolgrad. Laureato in Scienze Politiche con una tesi sulla democratizzazione romena, ha studiato tra Milano, Roma e Bucarest. Nato nel 1985 in provincia di Como, dove risiede, parla inglese e romeno. Ex rugbista.

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