CINEMA: Free Zone a Belgrado – una piattaforma per parlare di diritti umani

Nel 2014 il festival internazionale indipendente sui diritti umani Slobodna Zona (zona libera) festeggiava il suo decimo anniversario. L’edizione di quest’anno aprirà le porte dal 5 al 10 novembre con proiezioni di 26 tra film e documentari a Belgrado, Novi Sad e Niš.

Il dietro le quinte di questo progetto nato nel 2005, ma con radici già nel 1989, lo racconta direttamente Branka Pavlovic, direttore artistico del festival dal 2009. Grazie ai fondatori Katarina Zivanovic e Marko Popovic, oggi sotto l’ombrello di Free Zone un team ristretto supportato da un numero sempre crescente di volontari, porta avanti attività che si estendono oltre i sei giorni del programma. Attraverso una serie di iniziative dedicate alla produzione cinematografica contemporanea socialmente impegnata, si affrontano questioni socio-politiche attuali in Serbia e nel mondo.

“Non è solo il film in sé, ma soprattutto l’impatto creato nelle persone” così Branka ribadisce lo scopo principale di Free Zone: stimolare un dibattito chiaro, accessibile e comunicativo su tematiche legate ai diritti umani in generale. La credenza di fondo è che l’esperienza di un buon film abbia una durata più lunga del tempo di proiezione, e che possa dare accesso a percezioni alternative e differenziate della realtà.

Belgrado, 1989. La Jugoslavia esiste ancora e sulla frequenza 92 MHz una piccola radio indipendente inizia le sue trasmissioni. Un gruppo di studenti sta dietro al progetto B92, successivamente anche canale televisivo. Sotto Milošević la radio diventa un baluardo della democrazia, dell’informazione libera e della contestazione. Oggi ha cambiato pelle, ma il festival Slobodna Zona è figlio proprio di questo spirito e di quello ottimista del 2000 legato all’elezione di Zoran Djindjic a primo ministro, simbolo del cambiamento. Nonostante il suo assassinio nel 2003 e il ridimensionamento dell’entusiasmo generale, la scena artistica ha continuato sulla stessa rotta.

Il festival presenta prospettive che prendono le distanze dalle tendenze dominanti di semplificazione mediatica. Non c’è una rigida suddivisione per categorie, in quanto una pellicola viene scelta in base a rilevanza di contenuto e valore artistico, né tanto meno una giuria esterna. Il pubblico vota quali film verranno trasmessi in tutto il paese nei mesi seguenti.

Tra i temi caldi di quest’anno, approfonditi nelle Late Night Conversations assieme ad esperti di settore come la giornalista Olja Beckovic, spiccano migrazione, guerra in Afghanistan, ruolo della donna ed omosessualità. Il documentario “Tell spring not to come this year” di Saeed Taji Farouky e Michael McEvoy aprirà il primo incontro, seguito da “Gayby Baby” di Maya Newell, “Those Who Feel the Fire Burning” di Morgan Knibbe e “Actress” di Robert Greene.

Un programma educativo, il Free Zone Junior, ruota immancabilmente attorno al progetto. Oltre a proiezioni speciali per le scuole durante il festival – se ne contano oltre 186 coinvolte in tutta la Serbia, da qualche anno viene utilizzata una pubblicazione ad hoc (libro e DVD) nell’ambito dell’educazione civica, e si organizzano workshop per insegnanti. Inoltre, a intervalli regolari si tengono film camp per ragazzi tra i 15-18 anni con lo scopo di introdurli a questo mondo. L’obiettivo è di rendere gli incontri sempre più frequenti e di estenderli a livello regionale, come quello del 2011 in cui sono stati coinvolti anche Bosnia-Erzegovina, Montenegro, Croazia e Macedonia.

Il festival è cresciuto negli anni e nell’ambito del Human Rights Film Network ha collaborato con altri partner internazionali, come il festival austriaco This Human World, la London International Film School o il kosovaro Doku Fest. Alla conseguente domanda se il festival sia un luogo dove poter affrontare anche i fantasmi delle guerre nei Balcani e promuovere un processo di normalizzazione a livello di società civile, Branka risponde che “se ne deve parlare” e racconta la sua esperienza con edizioni passate. Tra i documentari che hanno riscosso maggior interesse nel pubblico menziona “Reunion – Ten Years After the War” di Jon Haukeland sul rapporto tra serbi e albanesi prima e dopo l’indipendenza del Kosovo, e “Letter to dad” di Srdjan Keca, una lettura autobiografica del passato della sua famiglia, così come un racconto corale sui traumi della guerra.

“Un film deve porre domande e ispirare” conclude Branka, perché la differenza la fanno i cittadini, sia dietro la macchina da presa che di fronte ad uno schermo.

Foto: Cerimonia di apertura della 10ma edizione del Free Zone Belgrade, 2014

Chi è Francesca La Vigna

Dopo la laurea in Cooperazione e Sviluppo presso La Sapienza di Roma emigra a Berlino nel 2009. Si occupa per anni di progettazione in ambito culturale e di formazione, e scopre il fascino dell'Europa centro-orientale. Da sempre appassionata di arte, si rimette sui libri e nel 2017 ottiene un master in Management della Cultura dall'Università Viadrina di Francoforte (Oder). Per East Journal scrive di argomenti culturali a tutto tondo.

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