POLONIA: Il campo da gioco di Dio

EDITORIALE: I funerali di Lech Kaczynski sono in corso mentre la Polonia si stringe nel lutto. Una nuvola nera di ceneri corre nei cieli d’Europa, le delegazioni di molti Paesi restano a casa.  La basilica Mariacki di Cracovia accoglie così un funerale che quasi sembra privato, questione di pochi intimi: il popolo polacco e il feretro del Presidente. E nel cordoglio di una nazione martoriata dalla Storia, vengono alla mente le parole di Norman Davies, docente ad Oxford e autore di diversi libri sull’Europa orientale: la Polonia è il campo da gioco di Dio.

La vicenda del Tupolev precipitato a Smolensk che ha decapitato il Paese, uccidendo oltre al Presidente anche il capo di stato maggiore di esercito, areonautica e marina, tredici ministri, il vice ministro degli esteri, il vice presidente della Camera e il Presidente della Banca Centrale, ha fatto molto discutere. Tra chi parla apertamente di complotto ordito dai russi, chi si sbraccia nel difendere la casualità dell’incidente e gli scettici, certamente resta drammatica e simbolica la coincidenza. Anzi, le coincidenze storiche che questo incidente porta alla mente.

A bordo dell’aereo presidenziale di fabbricazione russa, i più alti rappresentanti della Polonia stavano recandosi a commemorare i settant’anni dall’eccidio di Katyn dove, nella foresta non lontano da Smolensk, 22 mila ufficiali polacchi furono trucidati nell’aprile 1940 dalla polizia segreta (Nkvd) di Stalin, L’obiettivo era liquidare l’élite di quello Stato che Molotov, il braccio destro di Stalin, aveva sdegnosamente classificato come “misera creazione del Trattato di Versailles”. Ecco la prima simbolica e agghiacciante coincidenza: come allora Katyn diventa luogo in cui la nazione trova tragico destino, risvegliando memorie lacerate al punto che Lech Walesa ha parlato di “secondo disastro di Katyn”, tracciando una parabola forse impropria fra il massacro staliniano e l’incidente aereo di ieri.

Altra coincidenza è che la morte di Lech Kaczynski avviene proprio all’avvio dei lavori del North Stream, quel gasdotto sottomarino che connetterà Vyborg, presso Pietroburgo. a Greifswald, nel Meclemburgo, collegando direttamente il gas russo alla Germania e scavalcando le repubbliche baltiche e la Polonia. A Varsavia l’hanno ribattezzato “gasdotto Molotov-Ribbentrop”. Eppure, proprio a margine della commemorazione ufficiale di Katyn, i primi ministri russo e polacco, Vladimir Putin e Donald Tusk, hanno siglato un accordo energetico valido fino al 2037. Una commemorazione ufficiale cui Kaczynski non è stato invitato a causa dei suoi cattivi rapporti col Cremlino.

Infine aveva ragione James M. Cain quando scrisse: “Il postino suona sempre due volte”. Sull’aereo precipitato infatti ha perso la vita anche il novantunenne Ryszard Kaczorowski, ultimo presidente del governo in esilio a Parigi e poi a Londra, che durante la seconda guerra mondiale tenne accesa la fiaccola dell’indipendenza. Quel governo della Seconda Repubblica cui Stalin impedì nel 1945 il ritorno nella Varsavia “liberata”, ma che per molti polacchi, nei decenni del comunismo, rimase l’unico esecutivo legittimo. Tanto che dopo aver vinto le elezioni presidenziali nel 1990, Walesa rifiutò di ricevere le insegne del potere dal generale Jaruzelski, convocando in sua vece lo stesso Kaczorowski. Il quale dichiarava contemporaneamente disciolto il “governo di Londra”, quasi che la Repubblica satellite di Mosca, quella dei Gomulka e dei Gierek, non fosse mai esistita.

Solo negli ultimi tempi i sempre tesi rapporti tra Varsavia e Mosca hanno conosciuto qualche miglioramento grazie alla mediazione del premier Tusk, inviso a Kaczynski. Erano infatti i simboli di due polonie: il premier di una Polonia europeista, dialogante e attenta a non rimanere isolata nel grande gioco delle strategie energetiche. Il presidente era invece il campione di una Polonia reazionaria, orgogliosamente martire e profondamente russofoba. E va detto che quest’ultima è quella più rispondente all’opinione pubblica. Un’opinione pubblica che si troverà a maggio a scegliere il nuovo Presidente scegliendo così quale delle due polonie portare avanti.

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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