REGNO UNITO: Corbyn vince le primarie laburiste. Bandiera rossa la trionferà?

La sinistra europea riscopre il rosso. Forse è solo una di quelle mode che tornano, una faccenda di vintage, un rigurgito del Novecento in questo nuovo secolo in crisi. Forse è il vezzo della rivolta per le gioventù intellettuali che aspirano al proprio posto nel mondo, un rimpianto per l’appartenenza borghese che spettava di diritto e che invece ci si vede scippare dai decerebrati figliocci delle fabbrichette di papà. Forse è il desiderio di rivendicare i valori della solidarietà e dell’uguaglianza, così, in modo anche utopico e acritico, un bisogno di fantasia al potere di fronte al brutale cinismo del neo-classicismo economico. Forse ad Hampstead non è già più estate e all’Highgate cemetery non risorgono i morti. Ma per le strade di Londra c’è un vecchio che canta “We’ll keep the red flag flying here”. Bandiera rossa sempre volerà.

Si chiama Jeremy Corbyn, è un vecchio con la barba che trasmette sicurezza e follia. Non saggezza. La saggezza non è mai stata rossa. E’ un indisciplinato membro del partito laburista, eletto nel distretto di Islington, non lontano da quell’Hampstead Health dove Karl Marx consumava i suoi déjeuners sur l’erbe. E’ uno che è sempre stato vicino al mondo delle Unions, i sindacati inglesi, e si definisce un socialist. Ora, socialist nel Regno Unito ha un’accezione particolarmente radicale: se nel resto del continente indica quei partiti che hanno superato la lezione del marxismo, al di là della Manica significa essere nipotini di Carlo, di Treviri, non d’Inghilterra.

I socialists in Inghilterra si trovano a parlare di politica in vecchi e polverosi pub, dove la birra costa solo un paio di sterline e la tappezzeria è lì dai tempi della regina Vittoria. Li riconosci dalla coppola patchwork e dall’eleganza rustica del gentleman di campagna. Le scarpe sportive di qualche sottomarca cinese sono l’unica concessione ai tempi e al pessimo gusto in fatto di abbigliamento tipico della loro nazione. Di fronte al camino acceso anche d’estate organizzano la rivoluzione. E lo fanno da almeno cinquant’anni, ogni giovedì sera.

Uno di questi è diventato leader del partito laburista. Corbyn ha vinto anche perché è così, un vecchio pacato rivoluzionario che detesta apertamente le misure di austerità europee, i salotti di Bruxelles e le torri argentate della BCE a Francoforte. Il suo programma prevede la nazionalizzazione di poste, sanità, ferrovie, aziende energetiche in un paese dove tutto è stato privatizzato in nome dello “Stato leggero”. Corbyn lo vuole pesante, lo Stato, pesantissimo ma capace di gestire “la cosa pubblica”. La res publica che in Gran Bretagna è di casa come da noi il ketchup sugli spaghetti.

Ecco perché l’elezione di Corbyn è, a dir poco, sorprendente. Ci si attendeva il solito ragazzotto con la faccia pulita, “the boy“, espressione del New Labour che da Tony Blair in poi hanno portato i laburisti al governo. E invece no. Gli elettori laburisti hanno scelto questo vecchietto con la coppola, uno che non è uguale a tutti i politici in doppiopetto, che non parla troppo di problemi concreti ma si dilunga sui grandi principi. Saprà calarli nella realtà?

Corbyn sarà il candidato laburista alle prossime elezioni e il partito torna con lui alle origini, quelle del lavoro, dei ceti meno abbienti, della giustizia sociale. I lib-lab di questa parte d’Europa saranno già in preda all’orrore nel vedere quel rosso stinto, a loro tanto caro, riaccendersi improvvisamente. E i “blairiani” della penisola, che con vent’anni di ritardo avevano finalmente trovato il loro “the boy“, grideranno al crucifige insieme ai Tories d’oltremanica. L’elezione di Corbyn fa pensare che forse il problema della penisola sono proprio quei vent’anni di ritardo. Noi con “the boy” e loro col cappellaio matto. E se i giovani rottamatori europei rischiassero di essere mandati in pensione dai vecchietti arzilli?

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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Un commento

  1. maria fioravanti

    Più che un vecchietto arzillo lo chiamerei un saggio senex!

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