di Matteo Zola
Il 22 febbraio scorso Behgjet Pacolli, facoltoso imprenditore dal torbido passato e leader del partito Alleanza per un nuovo Kosovo (Akr), è stato eletto dal parlamento di Pristina primo presidente della Repubblica da dopo l’indipendenza. Ora una decisione della Corte suprema lo costringe alle dimissioni. L’elezione sarebbe avvenuta secondo una procedura in aperta violazione del dettame costituzionale (art. 86), come da sentenza formalizzata il 30 marzo scorso dalla suprema Corte di Pristina, che ha così azzerato la nomina di Pacolli. Una decisione “che presenta elementi di ambiguità, ma che va rispettata da tutte le parti in causa. La sua vera mancanza è un’altra, cioè non fornire risposte alla domanda cosa fare ora?“, osserva l’ambasciatore italiano Giffoni. “La logica – prosegue – suggerisce di ripetere l’elezione del presidente della Repubblica alle stesse condizioni di partenza, di ricominciare da zero”.
Insomma, da un punto di vista costituzionale, la questione è risolta: bisogna premere il tasto reset, tornare indietro al 22 febbraio scorso e ripetere il voto parlamentare. Ma oggi come allora, allerta Giffoni, “resta intatto problema politico“, che ha portato al pasticcio procedurale del mese scorso. Quando le opposizioni lasciarono l’aula contestando la candidatura alla massima carica dello stato del leader di un partito – l’Akr di Pacolli, appunto – che pesa solo l’8% del consenso nazionale: ne è conseguita l’assenza del numero legale che ha poi portato al colpo di spugna della Corte costituzionale. Eppure, il partito di maggioranza relativa in Kosovo – il Pdk, del premier Hashim Thaci- non aveva altra scelta, poiché governa grazie al fragile accordo di coalizione con Pacolli. Il il quale, in cambio, ha preteso proprio la Presidenza della repubblica.
Pacolli, dal canto suo, ha dichiarato “Rispetto la decisione dell’Alta Corte e lascio il mio incarico”, ma è difficile pensare che il partito di Pacolli appoggi ancora il governo in carica senza la poltrona da presidente che gli era stata data a questo scopo.”E’ difficile pensare che Pacolli abbassi il prezzo del suo appoggio al governo” rileva sul campo il diplomatico italiano. “Serve un accordo serio di responsabilità e serve in fretta”, allerta il diplomatico. La Costituzione, almeno in questo ambito, parla chiaro: se fallisce l’elezione del presidente della Repubblica, il parlamento deve essere sciolto. Uno “scenario che il paese non può reggere” non ha dubbi Michael Giffoni, ambasciatore d’Italia a Pristina. Votare ogni quattro mesi è un esercizio eccessivo anche per le prove tecniche di democrazia balcaniche.
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