UZBEKISTAN: Niente rock, siamo uzbeki

di Massimiliano Ferraro


“Il rock e il rap sono esempi di musica satanica creata dalle forze del male per deviare le menti dei giovani uzbeki”. Incredibile ma vero, non si tratta di un’affermazione estrapolata dai deliri di qualche sedicente santone residente dalle parti di Tashkent, ma è ciò che ha recentemente affermato un documentario trasmesso dalla televisione di stato dell’Uzbekistan, lanciando una campagna di moralizzazione contro la musica contemporanea.
Nel più popoloso stato dell’Asia centrale, il rock e il rap non sono che le ultime vittime illustri messe all’indice dal regime nel tentativo di frenare la doppia minaccia di russificazione e occidentalizzazione che incombe ormai sul paese.

Il problema del governo uzbeko sono soprattutto i giovani, sempre più simili ai loro coetanei russi. In tempi dove da più parti viene paventata la possibilità che il virus rivoluzionario magrebino possa contagiare le vetuste autocrazie centroasiatiche, la predisposizione delle nuove generazioni alle varie forme di modernità comincia quindi a preoccupare non poco il regime di Islom Karimov, il quale fin dall’indipendenza dell’Uzbekistan dall’Urss ha cercato di imporre i costumi locali alla popolazione come forma di tutela per il suo potere.

Sempre più spesso i media filogovernativi provano a condizionare il comportamento della gente, suggerendo stili di vita distanti dagli eccessi di Oriente e Occidente. “Purtroppo, abbiamo osservato delle ragazze indossare gonne con l’orlo sopra il ginocchio oppure mostrare l’ombelico senza vergognarsi”, ha denunciato il quotidiano Halq Sozi, “questo stile non è solo è estraneo alle nostre tradizioni secolari ma è anche direttamente nocivo per la salute delle donne”. Un altro giornale, l’Uzbekistan Ovozi, si è invece scagliato contro la cultura di massa: “più pericolosa del terrorismo”, in quanto non influenza la vita delle persone solo in una determinata zona ma “punta a cancellarne l’identità e i valori”. Allo stesso modo, per il documentario della tv uzbeka, anche la musica contemporanea avrebbe come fine ultimo quello di portare i ragazzi di Tashkent e di Samarcanda ad emigrare, soggiogandoli al degrado morale tipico di europei e americani.

 

Gulnara Karimova, in arte GooGooSha

Verrebbe da domandarsi se tutto questo astio verso certi ritmi non sia stato in qualche modo condizionato dalla storia di Gulnara Karimova, figlia del presidente uzbeko e secondo i file di Wikileaks “donna più odiata di tutto l’Uzbekistan”, che si diletta ad esibirsi con il nome d’arte di GooGooSha in singolari concerti occidentalizzanti. Dai risultati, visibili su Youtube, è innegabile che nel suo caso la cultura straniera abbia senza dubbio avuto degli effetti devastanti.
Piuttosto curiosa è infine la ricostruzione fatta dal documentario sulle origini del rock e del rap. Il primo sarebbe stato inventato dagli africani per i loro riti tribali, il secondo dai detenuti: “Ecco perché i cantanti rap portano i pantaloni larghi e lunghi”.
Una considerazione da cui si potrebbe dedurre che la fama di Eminem sia arrivata anche in Uzbekistan.

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