POLONIA ELEZIONI: Korwin-Mikke, l'estremista di destra che collaborò con Walesa

Alle prossime elezioni presidenziali polacche è dato al 6%, non molto in termini di voto ma abbastanza per un personaggio che negli ultimi anni è al centro della scena politica per le sue posizioni estremiste. Si chiama Janusz Korwin-Mikke, è un politico polacco di lungo corso, candidato di un partito che porta il suo nome, la “Koalicja Odnowy Rzeczypospolitej Wolność i Nadzieja” cioè KORWiN, appunto. E basterebbe questo per delineare la personalità di questo signore dall’aria ottocentesca di cui in Italia si è molto parlato a seguito dell’alleanza, in sede europea, con il Movimento Cinque Stelle. Di lui si sono lette le dichiarazioni più controverse, quelle che fanno notizia, ma non un solo rigo sulla sua carriera politica. Proviamo a colmare il vuoto.

L’alleato di Wałęsa 

Janusz Korwin-Mikke appartiene all’area ultra-nazionalista polacca. Non un moderato, certo. Ma furono questi estremisti a impegnarsi nella lotta al comunismo durante gli anni del regime. L’errore, semmai, è stato ritenerli interlocutori validi dopo la caduta del Muro da parte di coloro che, ignorando la reale essenza di questi personaggi, ne ha fatto simboli ed eroi. Sorprenderà alcuni, ma non i più smaliziati, sapere che Janusz Korwin-Mikke fu uno dei collaboratori più stretti di Lech Wałęsa, il leader di Solidarność, il sindacato polacco che lottò aspramente e coraggiosamente contro il regime comunista, consegnando la Polonia (e, indirettamente, l’est Europa) alla transizione democratica.

Wałęsa è oggi noto per le sue posizioni radicali nell’ambito dei diritti civili e delle minoranze, e il santino costruito intorno a lui negli anni dello sgretolamento dell’impero sovietico mal si concilia con le dichiarazioni di un uomo intollerante, fondamentalista cattolico, accecato dal nazionalismo e dall’anti-comunismo. Le sue, tuttavia, non sono le traveggole di un vecchio leone in pieno rimbambimento ma le idee di sempre. E non ci si deve sorprendere: per combattere la dittatura c’era bisogno di spiriti votati al sacrificio, e solo gli animi più radicali possono in certe imprese. Ecco perché le dichiarazioni di Lech Wałęsa sono coerenti con quelle di Janusz Korwin-Mikke che, in Solidarność, ricoprì il ruolo di consigliere dello stessoWałęsa.

La prigionia e le idee

Una carica meritata, visto che per Solidarność il nostro Janusz Korwin-Mikke è anche finito nelle galere del regime. Correva l’anno 1982 e l’imposizione della legge marziale fece finire in prigione gli oppositori politici. Una destino ineluttabile per uno che già nel 1965, all’età di 23 anni, fu arrestato per le sue idee anticomuniste. Il suo impegno contro il regime gli costò l’interdizione all’università (si laureerà poi da esterno, in filosofia). Nel 1968 subirà una seconda detenzione per aver partecipato alle proteste studentesche. Quella di Korwin-Mikke era la lotta contro l’oppressore politico interno, il Partito comunista polacco, ma anche contro il suo padrino russo. L’antirussismo è un elemento caratterizzante del nazionalismo polacco, in certa misura anche comprensibile, dopo tanti secoli di sventure made in Moscow, ma senz’altro pregiudiziale e irrazionale. E anche l’antisemitismo è un elemento proprio di quei nazionalisti à la Solidarność, poiché il cattolicesimo radicale porta con sé germi di antisemitismo (chi scelse Barabba?) in una società, come quella polacca, in cui il pregiudizio verso gli ebrei è antico quanto la loro permanenza nel paese.

L’antisemitismo e il nazionalismo di  Janusz Korwin-Mikke sono dunque un tipico prodotto della destra polacca, una delle più estreme d’Europa, forgiatasi nella lotta al comunismo ma profondamente anti-democratica. Korwin-Mikke, all’indomani della caduta del regime, fondò un periodico in cui cominciò a esprimere le proprie idee in merito a ebrei, donne, democrazia: le donne sono influenzate dallo sperma maschile e non possono avere diritto di voto; Hitler non era al corrente dell’eliminazione degli ebrei; la democrazia è la più stupida forma di governo mai concepita (Korwin-Mikke si è sempre professato monarchico). Idee portate avanti anche con l’impegno politico: candidatosi per quattro volte alla poltrona di presidente della repubblica, ottenendo sempre il 2% circa dei voti, fonderà nel 2011 il Congresso della nuova destra con il quale otterrà il 7,15% dei consensi alle elezioni europee del 2014. Quella di Korwin-Mikke è un’estrema destra “vecchio stile”, seria, decisa, con precisi riferimenti culturali e poco conta l’attuale marginalità politica: l’estrema destra non ha fretta. E il suo leader, baffo da filosofo, lo sa bene.

Un tram chiamato Bruxelles

Staccato il biglietto per Bruxelles, il partito di Korwin-Mikke si vedrà rifiutare l’alleanza dal Front National di Marine Le Pen che giudica il polacco “troppo estremista”. Ma in Europa c’è una “nuova destra” che, abbandonati i simboli tradizionali, usa la cosmesi come arma mostrandosi bella anche per coloro che un’estrema destra tradizionale non la voterebbero mai. Il gruppo “Europa della libertà e della democrazia diretta” (Efdd) costituito nel parlamento europeo dal Movimento Cinque Stelle e dal Partito per l’Indipendenza del Regno Unito (Ukip), guidato dal discutibile Nigel Farage, ha chiesto una mano al Congresso della nuova destra di Janusz Korwin-Mikke che manda loro un deputato polacco (tale  Robert Iwaszkiewicz) a rinfoltire le fila del gruppo.

Candidato improbabile

Korwin-Mikke non si è fatto sfuggire occasione per stare al centro dell’attenzione mediatica. Dopo la strage nella redazione del settimanale satirico francese Charlie Hebdo, si è fatto fotografare con un cartello che recitava “io non sono Charlie Hebdo”, rivendicando i propri valori cattolici e denunciando l’eccessiva “libertà” della satira. In una seduta plenaria al Parlamento Europeo denunciò la presenza, per lui nociva, di “venti milioni di negri in Europa“. Nel 2014 ha dichiarato che i cecchini che spararono su piazza Indipendenza a Kiev erano stati addestrati e inviati dal governo polacco. 

Korwin-Mikke si è dimesso nel 2014 dal Congresso della nuova destra fondando un nuovo partito che porta il suo nome e candidandosi alle presidenziali polacche. La causa: il cattolicissimo leader dell’estrema destra polacca ha avuto due figli fuori dal matrimonio. Abbastanza per defenestrarlo ma non abbastanza per fermarlo. Korwin-Mikke è ancora lì, forte dell’ipocrisia degli estremisti.

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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Un commento

  1. Matteo Benussi

    Gentile Matteo Zola, i Suoi approfondimenti sono sempre molto interessanti, utili e circostanziati. È un peccato che risultino spesso un po’ azzoppati dalla ricorrente confusione concettuale che deriva dal Suo uso del concetto di comunismo. Come mi è già capitato di scrivere, Lei non sembra fare distinzione tra regime sovietico (piano storiografico) e comunismo (piano ideologico) (stesso problema per gli aggettivi “sovietico” e “comunista”). I piani etico-ideologico e quello storiografico (in altri termini: giudizi di valore e giudizi di fatto) in questo modo si mischiano, a tutto svantaggio del rigore dell’analisi. Ed è un peccato, perché Lei è evidentemente onesto intellettualmente e i suoi articoli meritano di stare a un livello ben più alto delle semplificazioni giornalistiche.

    Nello specifico, si fatica a cogliere se Lei colloca il “merito storico” dei personaggi in analisi (aspetto che traspare abbastanza chiaramente dal suo articolo) nel combattere il governo dittatoriale di uno stato socialista (l'”impero sovietico” includendo il Patto di Varsavia), oppure nell’opporsi ideologicamente al marxismo in quanto tale. Entrambe le opzioni sono possibili, e alcune volte le due cose – come in questo caso – hanno coinciso (ma non sempre, anzi: ci sono stati e ci sono antisovietici marxisti e filosovietici anticomunisti) — ma va da sé che a livello di analisi sono due cose assai diverse (e la cosa ha anche un impatto sulla percezione della posizione dell’autore e la sua neutralità).

    Tenere separati questi due livelli consentirebbe al lettore (soprattutto quello un po’ meno informato) di 1) orientarsi meglio nelle complesse biografie politiche di questi protagonisti, e 2) di accedere a un livello di complessità analitica maggiore, magari scoprendo modi più raffinati di usare concetti non-neutri (come quello di “comunismo”, che cambia completamente se lo usa un giornalista del Giornale, un economista keynesiano o uno studioso di dottrine politiche).

    Davvero basterebbe pochissimo, solo distinguere “comunismo/comunista” (progetto politico, abbastanza variegato in realtà), “socialismo reale/real-socialista” (tipo di organizzazione socio-economica sperimentata nel secolo scorso – si noti che nessun partito comunista novecentesco ha mai dichiarato di avere creato società comuniste, al massimo si parlava di ‘socialismo realmente esistente’), e “Urss/sovietico” (concetto geopolitico e storiografico: un preciso stato real-socialista, guidato da un partito ispirato a una certa idea, piuttosto specifica, di comunismo).

    Cordiali saluti e buon lavoro!

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