Il Trovatore di Verdi. La vecchia zingara e il grido degli ultimi

“La zingara Azucena, personaggio creato dallo scrittore spagnolo Gutierrez nel suo dramma romantico Il trovatore e reso immortale dalla musica travolgente dell’opera di Giuseppe Verdi, è una straordinaria figura di donna e di emarginata. Una vicenda sanguinaria ambientata in un Medioevo favoloso e violento: il mondo degli zingari, descritto come una realtà selvaggia e libera ma ricca di valori umani, si inserisce in un intreccio di odi e vendette, di repressione e emarginazione, in cui la vecchia zingara perseguitata e colpevole vive un personale percorso di maturazione umana che ha conquistato il genio del nostro grande compositore, sempre attento nella sua opera alla critica contro le ingiustizie e alla difesa degli “umili”.

Il mondo degli zingari venne scoperto dal romanticismo europeo che, mandando in soffitta le venerande leggi aristoteliche, portò l’impoetabile (fino ad allora) nella letteratura. Le opere di Byron e quelle di Hugo brulicano di eroi dannati, pirati, banditi, ultimi della società e anche di zingari. Come non ricordare, del resto, la bellissima Esmeralda in Notre Dame de Paris?

Verdi sapeva fiutare il dramma, anche con una semplice prima lettura: e invece di pescare nella nostra letteratura, guardava al più recente romanticismo europeo. Dopo le delusioni delle rivoluzioni del Quarantotto, decise di ripiegare su un melodramma meno implicato con la temperie risorgimentale e più attento alle vicende private. Le opere della cosiddetta “trilogia popolare”, Rigoletto, Traviata e Trovatore, sono innanzitutto vicende che si allontanano dalla retorica romantica per avvicinarla alla causa degli “offesi” e degli emarginati. Sono opere costruite su un singolo personaggio, scolpito a tutto tondo e per qualche motivo allontanato dolorosamente dagli altri. Rigoletto è un gobbo deforme che vive in un ambiente cortigiano ipocrita e subdolo; Violetta Valery una prostituta d’alto borgo colpita da un male fatale; Azucena, una zingara in cerca della sua vendetta. Questi tre personaggi trovano la propria dolorosa redenzione nell’amore. e nella loro tragedia familiare.

Verdi lesse direttamente in spagnolo il dramma El trovador di Garcia Gutierrez e capì immediatamente che era un soggetto perfetto. Gutierrez, infatti, nella sua prima fatica teatrale, aveva creato un soggetto a tinte forti. Il centro del dramma è la zingara Azucena, al tempo stesso madre amorevole, figlia vendicatrice, personaggio visionario e tormentato. Per chi non la conoscesse, la storia è delle più strazianti (e intricate): Azucena, per vendicare la morte della madre, condannata al rogo dal vecchio Conte di Luna, ne aveva rapito il figlio minore. Ma, in preda al delirio, invece di gettare nelle fiamme il figlio del suo nemico, aveva gettato il proprio. Il figlio del Conte viene perciò cresciuto dagli zingari con il nome di Manrico, appunto il trovatore protagonista. Per ironia della sorte, Manrico e il fratello, il giovane Conte di Luna, si scoprono rivali in armi e in amore perché entrambi innamorati di Leonora, una dama di corte fino alla catastrofe finale.

Azucena vive quotidianamente il dramma della vendetta promessa alla madre, straziata dalle fiamme del rogo, e il suo affetto materno verso Manrico. Rispetto agli altri personaggi, che risultano quelli convenzionali del classico triangolo amoroso del melodramma italiano, Azucena parla un linguaggio musicale diverso. Già la sua apparizione è anticipata dal famoso “coro delle incudini”, vero capolavoro di pittoresco in musica: gli zingari cantano un grottesco e “notturno” canto popolare. Segue l’aria di danza della vecchia zingara, Stride la vampa, che unisce l’imitazione del linguaggio popolare (apparentemente non è niente di più di un valzer triste) a una situazione tragica, la memoria del rogo della madre. Si suppone che le parole del canto siano mano di Verdi stesso, insoddisfatto del testo del suo librettista. Ancora più potente è il racconto che fa Azucena a Manrico dove descrive la morte della madre, il grido “Mi vendica!” la promessa di vendetta e la disgrazia di aver bruciato vivo il proprio figlio. Tutti questi elementi compaiono in Gutierrez ma la potenza della musica di Verdi tratteggia e vivifica le parole del suo personaggio.

Pur nelle sue contraddizioni umane nel Trovatore emerge un mondo gitano denso di valori positivi: Azucena è madre amorosa che compie un difficile percorso di redenzione dalla fissità della vendetta all’amore più tenero verso il figlio del proprio nemico. In questo universo “barbarico” Verdi, così fortemente anticonformista nelle sue idee sociali, intravede uno strumento per dare sfogo alla propria ricerca shakesperiana verso il “triviale” sovvertendo l’aura augusta del melodramma italiano. Paradossalmente, nonostante la fama, Il Trovatore è un’opera discussa e spesso criticata aspramente: la patina romanzesca e avventurosa, i presunti scarti di valore tra le parti musicali (alcune giudicate troppo banali e brutali nella loro sommaria incisività), lo stile “selvaggio” e “rozzo”, gli accordi a chitarra e da banda militare, vennero additati soprattutto dalla critica più intellettualoide come difetti sostanziali. L’opera, invece, rappresenta una tappa ulteriore nel processo di scoperta da parte di Verdi degli aspetti più bassi e antiborghesi della realtà: il sicario Sparafucile e la sorella Maddalena, una prostituta, nel Rigoletto, un’altra prostituta come Violetta nella Traviata e, infine, il mondo degli zingari di Azucena e Manrico, si rivelano come mondi pieni di trepidante e sincera umanità.

Foto: Parma, Teatro Regio, Festival Verdi 2010. GBopera.it

Chi è Federico Donatiello

Sono nato a Padova nel 1986, città in cui mi sono laureato in Letteratura medievale. Sono dottore di ricerca sempre a Padova con una tesi di storia della lingua e della letteratura romena. Attualmente sono assegnista di ricerca a Padova e docente di letteratura romena a "Ca' Foscari" a Venezia. Mi occupo anche di traduzioni letterarie e di storia dell'opera italiana.

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