ENERGIA: Grecia e Ungheria, una nuova coalizione a favore di Gazprom

Il 7 aprile 2015, il ministro degli esteri greco Nikos Kotzias e la sua controparte ungherese Péter Szijjártó hanno aggiunto i loro nomi al progetto Turkish Stream, unendo le loro firme a quelle di Serbia, Macedonia e Turchia.

Cos’è Turkish Stream

Dopo il fallimento di South Stream, che prevedeva la costruzione di un nuovo gasdotto per connettere direttamente Russia ed Unione europea, eliminando ogni paese di transito, la Russia rilancia con un nuovo progetto che prospetta la costruzione di un gasdotto che attraverserà l’Europa tramite il Mar Nero fino a giungere in Turchia, in un punto ancora da stabilire presso il confine greco-turco.

Secondo i piani, il gasdotto dovrebbe partire dalla stazione di compressione Russkaya, vicino Anapa. La capacità stimata del gasdotto è di 63 miliardi metri cubi all’anno. La Turchia prenderebbe una sostanziosa fetta di 14 miliardi di metri cubi annuali, mentre il resto sarebbe destinato alle esportazioni in Europa.

Le critiche al progetto

Il costo stimato per l’operazione è di 10 miliardi di dollari, a carico della Gazprom, la quale, sinora, ha speso circa la metà per il progetto nel mar Nero. Una cifra ambiziosa, accompagnata da molte voci critiche; Jack Sharples, professore associato di politiche energetiche all’Università Europea di San Pietroburgo, sostiene che la falla maggiore presente nel progetto riguarda lo spazio previsto per trasportare il gas, troppo scarso, a detta di Sharples, per una quantità di combustibile così grande.

Non sono mancate anche le critiche a sfondo politico: Maroš Šefčovič, Commissario europeo per l’unione energetica, non vede di buon occhio questo nuovo progetto. Da molti diplomatici dell’Unione Europea è stato definito come una mossa strategica per indebolire l’Ucraina e aumentare la dipendenza europea dalla Russia. Non a caso, quest’ultima ha scelto cinque nazioni che, in un modo o nell’altro, stanno cercando una loro indipendenza politica dall’Unione Europea, ovvero Grecia, Ungheria, Serbia, Macedonia e Turchia, con il corteggiamento anche di Cipro e Italia.

Altre critiche vengono rivolte alla Turchia: “La nazione non sembra avere una chiara visione del progetto”, afferma Gulmira Rzayeva, ricercatrice dell’Istituto di Studi Energetici dell’Università di Oxford. “Non hanno ancora deciso dove costruire il punto di arrivo e l’esatto ruolo che avrà il paese (…). Una decisione presa quasi alla leggera”. “Nessuno lo prende seriamente in Turchia: la Russia vuol far vedere di avere ancora partner internazionali”, come ha dichiarato una fonte anonima a EUobserver durante la visita di Putin ad Ankara dello scorso anno.

Che ruolo avrá l’Ungheria?

A febbraio, dopo la cancellazione del South Stream, il ministro degli Esteri ungherese Péter Szijjártó ha dichiarato che Budapest, per garantire la sicurezza energetica nazionale, non può permettersi di non negoziare con la Russia sulle forniture di gas. Per l’Ungheria, la Russia resta il maggiore partner commerciale al di fuori dell’Unione Europea. Si parla di esportazioni pari a più di 3 miliardi di dollari nel 2013. L’85% del gas naturale consumato nella nazione magiara proviene proprio dalla Russia.

Ovviamente, Mosca gradirebbe un prolungamento del condotto fino all’Ungheria. Viktor Orban e Vladimir Putin hanno già discusso un possibile tracciato che passa per i cinque paesi coinvolti per poi terminare in Ungheria. Anche Vladimir Sergeev, ambasciatore russo a Budapest, si è espresso a favore, illustrando le grandi possibilità di stoccaggio della nazione magiara e le sue ottime potenzialità come hub regionale. L’Ungheria ha una capacità di stoccaggio di circa 6 miliardi di metri cubi, ponendosi al quinto posto tra i paesi dell’Unione Europea in questo settore. Sergeev ha inoltre dimostrato come la costruzione di un centro di scambio in Ungheria non farebbe altro che aumentare la sicurezza nella fornitura di metano nel paese.

E la Grecia?

Anche la Grecia, come l’Ungheria, è stata inserita tra i fortunati paesi partecipanti al progetto. L’8 aprile, in occasione dell’incontro tenutosi a Mosca tra Tsipras e Putin, i due leader hanno discusso del “Turkish Stream”; la Grecia, in questi anni, ha spesso covato l’ambizione di diventare uno degli hub energetici di riferimento, ma di fatto l’accordo (solo ipotizzato e non ufficializzato formalmente a Mosca) parlerebbe di una conduttura greca che si collegherà al Turkish Stream.

Ad ogni modo, come immediatamente ricordato dallo stesso Putin la partecipazione della penisola ellenica al progetto potrebbe comportare l’ingresso di svariati milioni di euro l’anno nelle casse dello stato, per i diritti di transito, e nuovi posti di lavoro: in un periodo di magra come quello che sta attraversando la Grecia, queste parole hanno suonato come musica nelle orecchie del Primo ministro greco.

Il tutto, però, potrebbe venir interrotto “a causa di difficoltà tecniche” non meglio specificate dal presidente russo. Quasi a voler sottolineare che è la Russia a comandare tutto il progetto e che potrebbe far saltare il tavolo da un momento all’altro, se l’obbedienza non sarà totale, come, d’altra parte, ha dimostrato di poter fare in occasione del suo ritiro dal progetto South Stream, dovuto a divergenze con l’Unione europea e, in particolar modo, con la Bulgaria.

Tsipras gioca su due tavoli ricorrendo alla Russia come strumento di pressione nelle trattative a Bruxelles e indebolendone anche l’unità sulla crisi ucraina. “Un gesto di minaccia” verso la Ue, l’ha definita il presidente della commissione Esteri del parlamento europeo, il tedesco Elmar Brok.

Ad ogni modo, per la Grecia è fondamentale non solo partecipare alla costruzione del “Turkish Stream”, ma anche trovare un alleato esterno all’Unione europea che possa diversificare le sue entrate; già con i primi colloqui, la Grecia ha ottenuto la promessa che i partecipanti al progetto verranno esentati dalle sanzioni alimentari imposte dalla Russia a tutti gli Stati membri e, nell’attesa, che verrà presa in carico l’ipotesi di creare joint venture greco-russe nel settore agricolo, che rappresenta il 40% dell’export di Atene verso la Russia (in particolare fragole, kiwi e pesche).

L’agenda setting

Il progetto sembra essere più solido del suo predecessore, tanto che pare esista già una sorta di tabella di marcia; una fonte del ministero degli esteri di Budapest ha spiegato che gli incontri dei 5 paesi saranno regolari e che si è deciso di creare un gruppo per lo sviluppo dell’infrastruttura per il trasporto di gas. Il gruppo sarà responsabile anche di questioni relative a investimenti, prezzi, fonti di gas e accesso di terzi all’infrastruttura. Il nuovo ministeriale è programmato nel mese di luglio, me le trattative bilaterali cominceranno prima. Se le parti riusciranno a raggiungere accordo sulla costruzione del tratto terrestre del gasdotto, Gazprom potrà effettuare le forniture aggirando l’Ucraina, ma senza serie modifiche dei contratti con i suoi consumatori in Europa.

Chi è Giulia Pracucci

Classe 1991, laureata in Mediazione Linguistica e Culturale con una tesi sulla carriera degli interpreti dei dittatori. Dopo aver passato un inverno in Lettonia e una primavera in Germania, si stabilisce a Budapest dove vive e lavora da quasi tre anni.

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2 commenti

  1. Non so se si applica meglio il detto “tanto rumore per nulla” o “provaci ancora, Sam”….
    Va bene dare conto di progetti o aspirazioni, ma spacciarli per piani operativi, sia pure a medio periodo, mi sembra fuorviante. Il destino del South Stream dovrebbe insegnare qualcosa. Dell’armata brancaleone che si accoda al nuovo Stream, proprio la Turchia dimostra un po’ di buon senso (o uno spiccato senso levantino circa i soldi): comincerà a metterci il primo dollaro quando i tubi saranno arrivati sulle proprie spiagge … Senza contare che al di là del nome, si ripropongono le stesse problematiche o punti di conflittualità con le disposizioni europee del progetto precedente, e questa volta la Gazprom non può nemmeno contare sulla foglia di fico di partners europei.
    E comunque per i prossimi, diciamo, dieci anni cosa succederà?
    Segnalo un approfondimento in materia:
    http://neweasterneurope.eu/articles-and-commentary/1545-gazprom-is-the-biggest-loser-of-the-war-in-ukraine

  2. Direi che piuttosto che dare fiato alla propaganda russa, si dovrebbe prestare maggiore attenzione alle corrette (una volta tanto) scelte politiche dell’EU:
    http://www.nytimes.com/2015/04/21/business/international/europe-is-expected-to-charge-gazprom-in-antitrust-case.html?_r=0

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