ARABIA SAUDITA: Riyad teme il riavvicinamento tra Washington e Teheran dopo gli accordi sul nucleare

«Il nemico del mio nemico è mio amico». Per districarsi nel labirinto mediorientale e cercare di comprendere le controverse posizioni assunte dalle diverse potenze regionali – Arabia Saudita in testa – una chiave di lettura sembra essere quella suggerita da questo antico proverbio biblico.

All’indomani dell’accordo-quadro di Losanna sul nucleare iraniano, lo storico alleato degli Stati Uniti è sempre più preoccupato. Riad teme da decenni l’ascesa dell’Iran e ora la sua paura più grande pare concretizzarsi. Il riavvicinamento tra Washington e Teheran rischia di rompere l’isolamento della potenza sciita e di minacciare l’egemonia politica esercitata nella regione dalla monarchia saudita sunnita.

La preoccupazione di un Medio Oriente sempre più sciita

I parametri stabiliti in Svizzera (vedi i punti dell’accordo), che saranno perfezionati e formalizzati entro la fine di giugno, limitano molto la capacità dell’Iran di arricchire l’uranio e prevedono controlli internazionali alle sue installazioni.

Tuttavia per alcuni paesi arabi – e, tra questi, l’Arabia Saudita – gli specifici parametri del negoziato sono una questione secondaria. Il nodo principale è rappresentato dal fatto che gli Stati Uniti abbiano raggiunto un compromesso con l’Iran, riconoscendogli la legittimità di interlocutore internazionale.
A ciò si aggiunge una questione economica. In passato le sanzioni internazionali, unite al calo del prezzo del petrolio – principale risorsa economica dell’Iran -, hanno danneggiato seriamente l’economia iraniana, limitando gli investimenti all’estero, e ridotto il flusso di denaro destinato al finanziamento di gruppi terroristici. Con la sospensione parziale delle sanzioni, le cose potrebbero cambiare: l’Iran potrà usare le risorse sbloccate per sostenere alcuni suoi alleati dall’esterno, come ad esempio il regime siriano di Assad.

Questione di supremazia politica o di religione?

La religione sembra allora essere un pretesto per legittimare il potere, piuttosto che la causa dei conflitti attualmente in atto in Medio Oriente. In questo senso potremmo leggere gli avvenimenti degli ultimi anni.
È dal 2011 che la dinastia saudita viene colpita da eventi destabilizzanti. La caduta di Hosni Mubarak in Egitto, nel gennaio di quell’anno, portò al potere i Fratelli musulmani, disorientando Riad, preoccupata che la Fratellanza potesse minare la propria egemonia nella penisola araba. Per questo, la monarchia wahabita pare abbia avuto un ruolo importante nell’organizzazione del colpo di stato militare nell’estate del 2013.
Nella rivoluzione siriana, invece, i sauditi avrebbero appoggiato i gruppi più radicali dell’Esercito siriano libero, non tanto per una qualche affinità ideologica, quanto piuttosto per la professata lealtà alla dinastia. In Siria, Riad teme infatti la vittoria di Bashar al Assad, alawita, sostenuto dall’Iran e dai libanesi sciiti di Hezbollah.
Infine, sempre nel 2011, in Bahrein, dove è al potere una minoranza sunnita, la popolazione, appartenente alla maggioranza sciita, scese in piazza per manifestare contro la sua emarginazione. L’Arabia Saudita decise in quell’occasione di intervenire, inviando un migliaio di soldati per reprimere le proteste e difendere lo status quo.

La guerra in Yemen

Il confronto tra Paesi arabi sunniti e Iran si arricchisce ora di un nuovo fronte, in Yemen. Qui i ribelli Houthi (di religione zaidita, corrente dell’Islam sciita) – secondo alcuni, appoggiati e finanziati da Teheran – hanno messo in fuga il presidente Hadi, sostenuto dall’Occidente e dagli Stati del Golfo.
Gli sviluppi della crisi yemenita hanno spinto l’Arabia Saudita a intervenire militarmente con l’operazione Decisive Storm. Al fianco di Riad, anche Emirati Arabi, Kuwait, Bahrein, Qatar, Egitto, Marocco, Sudan, Giordania e Pakistan.
I raid aerei compiuti dai sauditi, che di solito tendono a muoversi dietro le quinte, testimoniano quanto l’Arabia Saudita sia preoccupata dell’instabilità in Medio Oriente e forse svelano anche la volontà di Riad di dimostrare di poter fare da sola, senza l’aiuto degli Stati Uniti.
Questa coalizione, che agisce con l’inconsueto appoggio di Turchia e Israeale, mette però in dubbio un’altra alleanza, ovvero quella formata contro il Califfato di Al Baghdadi da una ventina di Paesi, fra i quali anche l’Iran, che sembrava essersi riavvicinato ai rivali arabi.
Ma adesso anche il fatto di avere un nemico in comune, l’Isis, sembra esser passato in secondo piano.

Foto: Daniel Cano Ott

Chi è Sophie Tavernese

Giornalista professionista, si occupa per East Journal delle aree geopolitiche di Russia e Medio Oriente. Curatrice del travel blog sophienvoyage.it. Ha collaborato con Euronews, La Stampa, Coscienza & Libertà, Gazzetta Matin. Si è specializzata in giornalismo radio-televisivo alla Scuola di Perugia. Nata ad Aosta, vive a Courmayeur. Si è laureata in Archeologia e Storia dell'Arte all'Università Cattolica di Milano.

Leggi anche

Ucraina lettera di solidarietà

Dall’Ucraina una lettera di solidarietà al popolo palestinese

Riteniamo importante segnalare, traducendo almeno in parte, una lettera proveniente dalla società civile ucraina apparsa su Al Jazeera, in cui più di 300 studiosi, attivisti e artisti ucraini esprimono la loro solidarietà e vicinanza con il popolo palestinese per le sue storiche sofferenze e il conflitto che sta vivendo sulla propria pelle da ormai più di un mese.

WP2Social Auto Publish Powered By : XYZScripts.com