IRAN: Leggere Pasolini a Teheran. Riflessioni sull'intesa sul nucleare

Ho passato più di cinque anni della mia vita in Iran, fra il 2008 e il 2013. Non per il lavoro, la famiglia o altro, ma per il semplice piacere – forse incomprensibile per chi non l’abbia vissuto – di essere lì in mezzo a quella gente, in un posto unico al mondo. Perché questo è stato ed è l’Iran: un’isola per molti aspetti rimasta intatta, impermeabile tanto alla globalizzazione delle merci che alla mercificazione dei corpi e dei costumi.

Certo, non che la modernità sia assente, nei suoi molteplici aspetti: scientifici, tecnologici o educativi. L’Iran di oggi – checché se ne pensi o dica – non è certo un paese arretrato o poco dinamico, aggettivi che semmai andrebbero applicati sempre più alla nostra Italia allo sbando. Semplicemente, accanto alla modernità è sempre presente la tradizione, o meglio le molte tradizioni, perché – altra cosa che spesso ci sfugge – questo è un paese al plurale. Non esiste un solo Iran, ne esistono mille.

E adesso? La domanda ha iniziato a farsi pressante dopo giovedì sera, dopo l’intesa sul nucleare che – per quanto ancora provvisoria – sembra profilare la fine a un periodo di isolamento iniziato con la rivoluzione islamica del ’79 e durato per 36 anni. E adesso, continuo a ripetermi, che ne sarà dell’Iran? Diventerà un paese normale – come tutti gli altri – con gli stessi negozi, le stesse facce e lo stesso cibo?

Vi prego di non fraintendermi: sono il primo a gioire per la nuova intesa raggiunta, che potrebbe significare la fine delle sanzioni criminali e odiose che hanno pesato sulla vita di tantissime persone in questi anni, gente che non c’entrava con le ragioni per cui furono imposte. Sono anche consapevole dell’opportunità che questo passo potrebbe offrire per la pace in Medio Oriente, che ora più che mai ne ha un disperato bisogno. Eppure, dopo la notte di sbornie e festeggiamenti è arrivato il mattino. E il risveglio, come spesso accade, non è stato dei più semplici.

Allora, mi è tornato in mente Pasolini. Mi è tornata in mente la mutazione antropologica e il grande equivoco della modernità che ha colpito l’Italia fra anni ’60 e ’70 e di cui noi ancora oggi paghiamo le conseguenze, in termini culturali, politici e ora – a distanza di decenni – persino economici. Quel rinnegare il passato in nome di una malintesa idea di progresso che ci ha condotti, forse per sempre, a seppellire il nostro futuro. In fin dei conti, come aveva visto bene Pasolini, avevamo sbagliato strada: ora siamo arrivati al capolinea.

Non solo questo: mi sono tornate in mente le parole che Pasolini dedica all’Iran negli Scritti corsari: “Sull’Isfahan di una diecina di anni fa – una delle più belle città del mondo, se non chissà, la più bella – è nata una Isfahan nuova, moderna e bruttissima.” Si tratta del celebre ‘Il discorso’ dei capelli del 1973, e l’autore muove curiosamente proprio da Isfahan, all’epoca del convulso sviluppo durante il regno dell’ultimo scià, per analizzare la mutazione culturale, antropologica e paesaggistica che ha investito l’Italia.

Da parte mia, ho spesso “sognato” queste parole di Pasolini: come poteva essere l’Isfahan che lo scrittore ha visto nel primo dei suoi viaggi, se quella di oggi è così bella? Ho vissuto per quasi un anno a Isfahan, ma ogni volta che ci ritorno – anche solo per un weekend – non posso che tornare a visitare, con immutato stupore, le sue moschee e le sue chiese, il suo bazar e i suoi palazzi. E poi la gente, a cui leggi negli occhi la gioia e la meraviglia di avere incontrato uno straniero.

Che cosa resterà di tutto questo fra qualche anno? Che impressioni avrò dal mio prossimo viaggio in Iran? Avrò anch’io la stessa sensazione di dolorosa nostalgia, come accadde a Pasolini? Difficile azzardare previsioni. D’altra parte, sperare non costa nulla. E allora incrociamo le dita: l’Iran ha dietro di sé i millenni, un fiume della storia che ha portato fino a noi intatti la sua lingua e diversi aspetti della sua cultura antica, che sopravvissero e si fusero con la nuova cultura portata dagli arabi. Loro ce la faranno, ancora una volta, saranno l’eccezione: imboccheranno la via giusta. Non faranno la fine dell’Italia.

Chi è Simone Zoppellaro

Giornalista e ricercatore. Ha trascorso sei anni lavorando fra l’Iran e l’Armenia, con frequenti viaggi e soggiorni in altri paesi dell'area. Scrive di Caucaso e di Medio Oriente (ma anche di Germania, dove vive) su varie testate, dal Manifesto, alla Stampa, fino al Giornale, e ancora sulla rivista online della Treccani. Autore del volume 'Armenia oggi', edito da Guerini e Associati nel 2016. Collabora con l’Istituto Italiano di Cultura a Stoccarda.

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Un commento

  1. Girello Destrorsi

    Grazie per il bellissimo contributo.

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