RUSSIA: Putin a tutto campo sulla Crimea, "annessa per difendere la patria"

Ad un anno dal referendum, illegale e non riconosciuto, che ha portato all’annessione del territorio della Crimea alla Federazione Russa, è uscito il film Crimea. Il viaggio verso la Patria, documentario di Andrej Kondrašov che contiene frammenti di interviste fatte dal regista al presidente Putin. È stato trasmesso sul canale nazionale Rossija, uno dei principali della televisione russa, domenica 15 marzo in prima serata. Un messaggio chiaro da parte del governo, da far recepire a quanta più popolazione possibile attraverso la rete televisiva di stato.

Argomenti trattati nell’intervista sono state ovviamente tutte le vicende che hanno portato da Euromaidan all’annessione della penisola, passando per la fuga (o meglio “messa in salvo”) di Janukovič, il referendum, la reazione di Kiev e dell’Occidente. Il presidente Putin ha chiaramente spiegato come l’intervento russo (e suo in prima persona) sia stato indispensabile per la realizzazione di tutti questi avvenimenti; ha ricordato che la mattina del 23 febbraio, una volta completata l’operazione di soccorso di Viktor Janukovič (che ha commentato così: “trovo che aver salvato la vita a lui ed ai membri della sua famiglia sia una buona cosa, nobile”), aveva detto a quattro colleghi (non nominati) che “la situazione in Ucraina si era evoluta in una tale maniera che siamo costretti ad iniziare i lavori per far rientrare la Crimea in Russia”; e da questa constatazione è partita l’idea del referendum.

Servizi segreti e paracadutisti russi per fare della Crimea “una cittadella fortificata”

Convinti della minaccia rappresentata dai nazionalisti ucraini per la sicurezza degli abitanti della Crimea, in particolare di quelli di madrelingua russa, da Mosca – ha spiegato Putin – hanno mobilitato servizi segreti e paracadutisti, che sono andati a rafforzare le basi militari russe sul territorio (“Abbiamo fatto della Crimea una cittadella fortificata. Per terra e per mare”), hanno cooperato alla presa del parlamento della Repubblica autonoma di Crimea  il 27 febbraio insieme ai “patrioti” di Crimea (così li ha definiti Putin nel corso dell’intervista), e hanno avuto funzione di controllo in occasione del referendum del 16 marzo, bloccando l’azione di circa 20.000 militari ucraini che non lo avrebbero permesso.

Il numero di militari mobilitati, ha sostenuto il presidente, non ha superato comunque la quota 20.000, concordata secondo accordi internazionali. Inoltre, per prevenire l’intromissione della NATO, ha aggiunto di aver fatto installare in Crimea il complesso missilistico costiero “Bastion”. Per quanto alcuni generali gli avessero consigliato di considerare tutti i tipi di armamento, incluso quello nucleare, il presidente ha risposto che l’epoca della guerra fredda era finita, e una nuova crisi missilistica, come quella cubana, non sarebbe stata utile a nessuno.

Tutte queste affermazioni si pongono in netta contrapposizione con le ripetute smentite riguardo la reale presenza di militari russi in territorio ucraino, che sono risuonate diverse volte sia da parte di Putin che del suo Ministro della Difesa Sergej Šojgu dall’inizio della crisi ucraina. Ora però che la Crimea è territorio russo (almeno per i russi e gli abitanti della penisola) rivedere le proprie posizioni non è più un problema. Che militari russi vi siano stanziati da prima o solo da dopo l’annessione non è più facilmente verificabile.

Gli avvertimenti agli Stati Uniti

Putin ha avvertito più o meno esplicitamente gli Stati Uniti che la Russia è pronta a difendere la Crimea, poiché “ha ciò per cui lottare”. “Non siamo stati noi a fare il colpo di stato, sono stati i nazionalisti e gli estremisti. Noi non li abbiamo sostenuti. Ma voi dove vi trovate? A migliaia di chilometri di distanza? Noi invece siamo qui, questa è la nostra terra! Per quale motivo volete combattere proprio qui? Dite che non lo sapete? E noi lo sappiamo. E a questo siamo pronti” ha detto Putin. In altre affermazioni del presidente, gli statunitensi sono stati definiti sia “amici e partner” che “burattinai” del teatrino del colpo di stato di Kiev.

Così come il mondo europeo e americano non crede nel Cremlino, così Mosca è scettica verso i suoi interlocutori a Occidente. Lo è anche nei confronti delle misure che questi adoperano, non da ultimo le sanzioni: “Noi abbiamo agito negli interessi dei russi e del paese. Trasferire il tutto in termini di soldi, barattare le persone per qualche bene materiale, per qualche possibile contratto o per qualche transazione bancaria non è assolutamente accettabile. Questo non vuol dire che non dobbiamo rispettare, ad esempio, il diritto internazionale o gli interessi di un nostro partner. Ma significa che tutti i nostri partner devono rispettare la Russia e i suoi interessi”.

Quale ruolo russo in Donbass, ora che la messinscena della Crimea è rivelata?

Nel frattempo la Russia ha firmato gli accordi di Minsk, mostrandosi interessata alla loro effettiva messa in atto. E ufficialmente continua ad affermare che non sta aiutando le repubbliche separatiste di Lugansk e Donetsk, ma che anzi è schierata dalla parte dell’unità territoriale ucraina e di un ordinamento federativo, del cessate il fuoco e del dialogo tra le parti.

Eppure aver trasmesso un tale documentario in prima serata e sulla rete nazionale proprio in questa atmosfera sembra uscire da queste aspettative. Così come il Cremlino smentiva di aver inviato truppe in Crimea ed ora lo conferma invece ufficialmente, lo stesso può dirsi ora che al centro dell’attenzione ci sono le repubbliche separatiste del Dombass, le quali si sono dotate di strutture parlamentari autonome e non esitano a dirsi favorevoli ad un avvicinamento o annessione futura alla Federazione Russa.

La politica estera come fonte di popolarità per un paese in crisi economica nera

Come ormai è noto, il presidente Putin non esita in nessun frangente a far propaganda della sua politica estera per aumentare la propria popolarità. Gli ultimi sondaggi del VCIOM (Centro di Ricerche sull’Opinione Pubblica russa) riportano che l’80% dei russi approva ancora il presidente Putin e le sue azioni, ma è in crescita lo scetticismo verso l’intero entourage governativo (solo il 45% degli intervistati si dice soddisfatto del suo operato).

Quasi il 90% degli intervistati dal Levada Center (centro di studi statistici e di sondaggi di carattere sociologico non governativo) a fine febbraio (campione di 1600 persone maggiorenni in 134 città di 46 regioni diverse) sostiene di avere di che lamentarsi nei confronti del governo o di un singolo ministro. Le principali motivazioni sono di carattere economico-sociale: inflazione e crollo dei redditi reali che dimezza il potere d’acquisto dei salari (se ne lamenta il 55%, rispetto al 41% dello scorso anno e al 39% del 2000, quando l’inflazione era ai picchi massimi, circa al 20%), incapacità del governo di far fronte alla crisi economica (se ne lamenta il 29%), crisi politica, deterioramento del welfare, mancanza di garanzie per i lavoratori, corruzione politica (tutte attorno al 20%). Le prospettive russe di uscire in tempi brevi dalla crisi non sono rosee, e Putin ne è probabilmente ben conscio; aumentare la sua popolarità nel paese può solidificare un sostegno che sotto i colpi della crisi economica potrebbe alla lunga deteriorarsi.

Chi è Martina Napolitano

Dottoressa di ricerca in Slavistica presso l'Università di Udine, è direttrice editoriale di East Journal e scrive principalmente di Russia.

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3 commenti

  1. Anche qui i Crimeani,che sono Russi al 97% hanno sempre tentato di riunirsi alla loro madre patria. Se qualcuno e’ perennemente agli ordini di Washington e’ ora che la UE inizi a smarcarsi e dire agli usa di iniziare a leggere un libro di storia.

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