BOSNIA: Presto in vigore l'accordo d'associazione all'UE. Ma a che prezzo?

Entrerà presto in vigore l’accordo d’associazione tra Bosnia e UE. Un passo atteso da quasi un decennio.

Lunedì 16 marzo, il Consiglio UE ha concluso che le condizioni stabilite il 15 dicembre scorso sono state rispettate, e si è quindi detto d’accordo sull’entrata in vigore dell’Accordo d’associazione e stabilizzazione tra Bosnia Erzegovina ed Unione europea, firmato nel 2008. Il Consiglio UE è stato soddisfatto dall’adozione da parte della Presidenza tripartita e del Parlamento di Bosnia Erzegovina di un “impegno scritto” a lavorare su una lista di riforme da definirsi in collaborazione con l’UE stessa e con i rappresentanti della società civile.

La Bosnia Erzegovina fa così finalmente un passo avanti verso l’integrazione europea, da troppo tempo al palo, anche se non per suo merito. Dopo cinque anni di vani sforzi per arrivare ad una riforma costituzionale che permettesse di riportare la Costituzione bosniaca (scritta in inglese, a Dayton nel 1995, come allegato agli accordi di pace) in linea con il principio di non discriminazione inscritto nella Convenzione europea sui diritti dell’uomo (caso Sejdic-Finci del 2009), e dopo le proteste anche violente del febbraio 2014 legate alle difficili condizioni economiche del paese, su iniziativa tedesca e britannica l’UE aveva deciso di cambiare registro e di fare un “reset” delle relazioni con Sarajevo. Si riparte così da un primo passo in positivo, sfruttando il cambio (seppur relativo) di leadership politica a Sarajevo dopo le elezioni di ottobre 2014 (è di questi giorni la notizia dell’avvenuta definizione dei nuovi equilibri di governo), e l’uguale cambio al vertice a Bruxelles con la nuova Commissione europea, e alla delegazione UE di Sarajevo con l’arrivo del nuovo ambasciatore Wigemark.

Nelle sue conclusioni, il Consiglio UE ribadisce comunque la necessità che le autorità bosniache tengano fede ai propri impegni, incluso per ciò che riguarda l’aggiornamento del testo dello stesso accordo d’associazione (negoziato nel 2005/08, ben prima dell’adesione all’UE anche della Croazia). Dall’altra parte, l’UE sottolinea la necessità di redigere un’agenda di riforme in consultazione con la società civile, che porti la Bosnia all’adempimento dei “criteri di Copenhagen” (stato di diritto, democrazia, economia di mercato) e allo sviluppo di un “meccanismo di coordinamento” tra le varie autorità nazionali e locali bosniache competenti sulle questioni relative al diritto UE, in modo da migliorare la “funzionalità” dello stato. Tra le riforme attese e considerate “necessarie perché una candidatura d’adesione venga presa in considerazione dall’UE”, ci sono anche quelle relative alle condizioni socio-economiche del paese, raccolte nel “Patto per la crescita e il lavoro“.

Le reazioni in Bosnia

La notizia, attesa, è stata accolta positivamente da politici locali e stranieri. Per il capo di stato di turno, il serbo-bosniaco Mladen Ivanić, la raccomandazione del Consiglio UE è molto positiva e rappresenta un successo, seppur atteso dopo le ultime due visite di Federica Mogherini nel paese. “Dopo l’insediamento del Consiglio dei Ministri statale inizieremo la discussione sulle riforme economiche essenziali. Dopo la loro adozione, la Bosnia Erzegovina può aspettarsi di deporre la domanda di adesione all’UE per la fine del prossimo anno, o all’inizio del 2017“, ha concluso Ivanić.

L’UE dovrebbe in seguito valutare la domanda e riconoscere alla Bosnia lo status di paese candidato, e in seguito decidere una data di avvio dei negoziati d’adesione, il che potrebbe facilmente portare le scadenze verso l’orizzonte 2020 – momento in cui i vicini Serbia e Montenegro sperano di arrivare invece al termine dei loro negoziati.

Le incognite della politica bosniaca

Sul progresso del paese restano le incognite date dalla complessa struttura amministrativa e politica del paese. A cinque mesi dalle elezioni politiche di ottobre, si è infine arrivati alla definizione dei nuovi equilibri di governo, come riportato da Rodolfo Toè per il Courrier des Balkans. Nell’entità a maggioranza croata e musulmana, la Federazione di Bosnia ed Erzegovina, la coalizione di governo sarà composta dai conservatori Partito dell’Azione Democratica (SDA, musulmano) e Comunità Democratica Croata (HDZ), assieme ai neo-socialdemocratici del Fronte Democratico (DF) di Željko Komšić. I tre saranno poi raggiunti, a livello statale, dal Partito Democratico Serbo (SDS), per sostenere il nuovo premier designato, Denis Zvizdic (SDA).

L’inghippo sta nel fatto che l’altra metà del paese, la Republika Srpska, resta ancora nelle mani dell’Alleanza dei Socialdemocratici Indipendenti (SNSD) di Milorad Dodik, concorrente dell’SDS, che escluso dalla coalizione di governo statale potrebbe approfittarne per irrigidire ancora di più la propria retorica secessionista.

Il primo indizio è venuto proprio in questi giorni, con l’annuncio del boicottaggio della Camera alta bosniaca (la “Camera dei popoli”) da parte degli eletti SNSD, insoddisfatti per la distribuzione dei seggi nelle commissioni parlamentari: in tale maniera, le sessioni parlamentari non avrebbero quorum di partecipazione e tutta l’attività legislativa ne rimarrebbe bloccata. L’SNSD sta già boicottando la Camera bassa (dove ha un impatto marginale) in protesta contro il presidente dell’assemblea, Sefik Dzaferovic (SDA), che accusano di crimini di guerra anche se l’ufficio del pubblico ministero ha dichiarato di non avere alcuna prova per avviare indagini sul caso. Secondo vari osservatori, in entrambi i casi si tratterebbe di tattiche dilatorie ed ostruzioniste volte a mantenersi al potere, o ad estrarre qualche concessione alla maggioranza di governo.

I ritardi nella costituzione delle commissioni parlamentari hanno già impedito ai deputati bosniaci di partecipare, nelle settimane scorse, alla riunione dei membri di tutte le commissioni parlamentari sull’integrazione europea dei paesi dei Balcani occidentali, tenutasi a Belgrado.

 Un passo avanti verso l’UE o un altro passo nelle sabbie mobili della politica bosniaca?

Gli osservatori restano divisi sul cambio di politica adottato dall’UE in Bosnia Erzegovina negli ultimi mesi. C’è chi nota, come Toby Vogel, che nell'”impegno scritto” accettato dall’UE per sbloccare l’accordo d’associazione “nulla è misurabile, e nulla ha una scadenza“, mentre resta il rischio di una nuova stagione di proteste di piazza e sommosse, dato che nell’ultimo anno le condizioni socioeconomiche non sono concretamente migliorate – un’eventualità che troverebbe l’UE nuovamente impreparata. Secondo Vogel, i ministri europei hanno “cancellato con un colpo di penna la nozione che la condizionalità UE possa essere usata per promuovere una riforma costituzionale,” al fine di creare “l’apparenza di un progresso”. Ma in tal modo le élite politiche bosniache ottengono qualcosa “in cambio di niente”.

Secondo Don Picard, al contrario, l’iniziativa UE ha il pregio di accettare la Bosnia Erzegovina così com’è, nella sua struttura amministrativa e ripartizione delle competenze che ne affida la maggior parte ai livelli sub-statali, rispettandone quindi la sovranità senza pretendere di riprendere il progetto di riforma costituzionale e centralizzazione politica del tempo dell’Alto Rappresentante Paddy Ashdown.

In ogni caso, per Jasmin Mujanovic, “chiamare questi sviluppi ‘progresso’ potrebbe essere troppo ottimistico, ma è un movimento, e dopo quasi dieci anni di completo stallo politico la Bosnia Erzegovina ha un bisogno disperato di qualsiasi tipo di movimento.” Ci sono comunque quattro “verità inevitabili” che andranno affrontate presto o tardi perché la Bosnia possa effettivamente fare dei progressi, secondo Mujanovic: “La Bosnia non può aderire a UE e NATO con le sue istituzioni attuali, i leader politici bosniaci non vogliono l’adesione a UE e NATO, Belgrado e Zagabria restano ostacoli più che alleati nel percorso d’integrazione, e riforme costituzionali a parte la Bosnia ha ancora bisogno di una democratizzazione sostanziale”.

 Photo:  Jennifer Boyer, EU observer

Chi è Davide Denti

Dottore di ricerca in Studi Internazionali presso l’Università di Trento, si occupa di integrazione europea dei Balcani occidentali, specialmente Bosnia-Erzegovina.

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