Gli csángó, un popolo in via d'estinzione

Che ci fa un’ antica minoranza ungherese, di religione cattolica, nella moderna Romania ortodossa? Sono gli csángó, eredi della conquista magiara della Moldavia romena nel Medioevo. Gli csángó hanno conservato una lingua che, pur influenzata da tratti slavi e romeni, si presenta come una sorta di ungherese arcaico. Una minoranza perseguitata, come spesso accade, più volte sull’orlo dell’estinzione.

Ungheresi in Romania

Che esistano minoranze ungheresi nell’odierna Romania non stupisce nessuno. La regione della Transilvania è stata ungherese fino alla fine della Prima Guerra mondiale, finché il Trattato di Versailles, firmato il giugno del 1919, riconobbe la sovranità della Romania sulla Transilvania. I trattati di Saint-Germain (1919) e del Trianon (giugno 1920) definirono il confine tra Ungheria e Romania. L’Ungheria, uscita sconfitta dalla guerra, vide lo smembramento del regno. La dominazione ungherese sui Carpazi è però antica, e nel 1365 l’impero magiaro conquistò l’odierna Moldavia romena (da distinguersi con l’omonimo stato indipendente). A quell’epoca risale la presenza di ungheresi nella regione. La Moldavia romena fu però terra percorsa da continua scorrerie, guerre, passaggi di mano: cumani, bulgari, turchi, russi. Solo nel 1881, con la nascita della Romania indipendente (che all’epoca si costituiva solo di Valacchia e Moldavia, la Transilvania fu annessa solo nel 1918), la regione trovò stabilità.

La progressiva romenizzazione

Una stabilità che non giovò agli csángó. Nel nuovo Stato romeno, di religione ortodossa, essi erano corpi estranei da distruggere o assimilare. Nel 1893 venne vietato l’uso della lingua ungherese nelle scuole e nelle chiese. Con l’introduzione dell’istruzione obbligatoria presso le scuole statali, la leva obbligatoria e tutte le altre novità dello Stato borghese, la vita degli csángó venne profondamente alterata e sempre di più romenizzata. La romenizzazione delle minoranze è un passaggio obbligato nella costituzione degli Stati nazionali, ideologicamente incapaci di costituirsi attraverso la coesistenza delle diversità. Il clima anti-ungherese crebbe durante la Prima Guerra mondiale, quando l’Austria-Ungheria e la Germania occuparono il Paese.

Con la Seconda Guerra mondiale, e l’occupazione tedesca della Romania, gli csángó divennero oggetto degli ‘studi’ biologici cari allo scientismo nazista. L’ascesa di Ceausescu la rumenizzazione ottenne nuovi successi. Un migliaio di csángó inviarono nel 1982 una nuova petizione (rimasta senza risposta) al Papa.

Per capire quanto tutti questi divieti, discriminazioni e violenze producessero un concreto effetto nella romenizzazione degli csángó basterà dare uno sguardo alla statistica ufficiale relativa ai “cattolici di Moldavia”:

Censimento Totale cattolici Totale cattolici ungheresi % Ungheresi sul totale dei cattolici
1859 52.811 37.825 72%
1899 88.803 24.276 27,3%
1930 109.953 23.894 21,7%
1992 240.038 1.826 0,8%

La situazione degli csángó oggi

Dopo che l’assemblea generale del Consiglio d’Europa ha emanato nel 2001 la raccomandazione n. 1521 rivolta alla Repubblica di Romania e alla Santa Sede in favore della conservazione della lingua e della cultura dei csángó di Moldavia, la situazione di questa minoranza a rischio di estinzione è lentamente migliorata. Lo stato rumeno ha sospeso i processi contro le organizzazioni impegnate nella salvaguardia dell’identità csángó (sovente accusate di “attività illegale”) e ha concesso la riapertura in alcune scuole dell’insegnamento dell’ungherese. Piccoli passi in avanti per una comunità che oggi si trova ai margini della vita intellettuale e civile del Paese.

Povertà diffusa, disoccupazione (60% della popolazione attiva), analfabetismo (10% della popolazione adulta), semi-analfabetismo (40%), bassa scolarizzazione (solo il 10% della popolazione in età scolastica ha un diploma di scuola media superiore e solo l’1% va all’Università) sono solo alcuni degli indicatori sociali di un popolo al quale mancano i servizi sanitari, culturali ed economici di base. Una situazione che potrebbe cambiare se agli csángó venisse riconosciuta la piena cittadinanza, il diritto di usare liberamente la loro lingua e di esprimere la loro cultura che – anzi – avrebbe bisogno di investimenti da parte dello Stato affinché non si perda per sempre.

Lo Stato però sembra poco incline. Basti dire che l’opinione pubblica rumena, i giornali, la Chiesa ortodossa e la maggior parte dei partiti rumeni condannarono i due atti del Consiglio d’Europa come una pura e semplice interferenza negli affari interni del Paese e una delle solite azioni “anti-rumene della lobby magiara”.

Proprio la diffidenza verso i vicini ungheresi, figlia del nazionalismo, che ancora resiste nel Paese (fresco membro dell’Unione Europea) è il più grave ostacolo al recupero dell’eredità csángó. Un’eredità che, quando non è stata distrutta, è stata pervertita da continue azioni di distorsione interpretativa (pubblicazioni faziose come D. Martinas, Originea ceangailor din Moldova, Bucuresti, 1985 e Iasi, 1999; A. Cosa, Cleja. Monografie etnografica, Bacau, 2001).

Solo il tramonto definitivo dei nazionalismi e il rispetto delle regole democratiche e dei diritti umani (di cui l’Unione Europea è garante) potrà salvare questa minoranza dall’estinzione. Da un censimento del 2002 risulta che solo 1370 persone si definiscono csángó a fronte di circa 50mila persone che – secondo uno studio del Consiglio d’Europa – parlano la variante csángó dell’ungherese. Dati che, incrociati, confermano il furto d’identità compiuto da una (efficace) romenizzazione.

Foto: Wikipedia

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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2 commenti

  1. Interessante la questione, proposta in modo sintetico ed esaustivo; sul fatto che solo 1370 persone si dichiarino csángó è perchè la maggior parte ai censimenti preferisce dichiararsi più generalmente ungherese. (reminiscenze della tesi di laurea…)

    p.s: proprio ieri la national geographic ha celebrato la giornata delle lingue madri, lanciando un forte allarme su centinaia di idiomi che stanno scomparendo (uno ogni 14 giorni circa!), tra cui presumo si annoveri anche l’ungherese csángó.

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