“La Giornata del Ricordo è strumentale”, intervista ad Angelo Del Boca

La Giornata del Ricordo continua a far nascere polemiche tra Slovenia, Croazia ed Italia. In Italia infatti il 10 febbraio si ricordano le foibe e l’esodo degli italiani di Istria e Dalmazia mentre il 15 settembre in Slovenia si celebra il “ricongiungimento del Litorale alla madrepatria”. Due celebrazioni contrapposte che tradiscono due diversi ed inconciliabili modi di leggere le vicende storiche del secolo scorso.

Nelle due ex repubbliche jugoslave la commemorazione italiana è stata vista con diffidenza sin dalla sua istituzione nel 2004. All’epoca il ministero degli Esteri sloveno reagì precisando che sarebbe stato necessario ricordare anche gli sloveni perseguitati dal fascismo. Per Lubiana, infatti, in tutte quelle vicende c’era una consequenzialità e la storia quindi si sarebbe dovuta raccontarla tutta e immediatamente si decise di fissare una giornata per onorare le sofferenze patite dagli sloveni nel periodo fascista.

Dopo fragili tentativi d’intesa, promossi negli anni Novanta dall’allora ministro degli esteri sloveno Lojze Peterle, promotore di una commissione storica italo-slovena allo scopo di produrre una memoria condivisa, i due Paesi restarono su posizioni antitetiche. Nel 2005 si celebrava per la prima volta la Giornata del Ricordo, la Rai volle così proporre una fiction che raccontava in maniera romanzata gli eventi attraverso la storia di un bambino conteso. Quella storia -un po’ strappalacrime e banale- aveva lo scopo di raccontare “quanto accaduto” a un’Italia che poco o nulla sapeva di quelle vicende.  La causa di questa damnatio memoriae va ricercata nel tormentato rapporto dell’Italia con la sua memoria storica, stretta tra la rimozione del passato fascista e l’epurazione culturale operata dal PCI fino agli anni Ottanta. Circa 10 milioni di italiani seguirono le due puntate di quel film per la televisione e forse per la prima volta la questione assunse una dimensione nazionale entrando nella memoria collettiva.

Quello che sembrò inaccettabile a Lubiana era l’interpretazione della vicenda che ne era uscita: da una parte italiani inermi e dall’altra i “barbari slavi”. Le polemiche da allora si rinnovano ad ogni anniversario, alll’Italia è spesso biasimato di non avere fatto i conti sino in fondo con il fascismo.

Angelo Del Boca, torinese, storico del colonialismo italiano, afferma: “Ho forti perplessità. Così, come è strutturata, solo gli italiani sono le vittime delle foibe. Tra le 9 e le 11 mila sono morti nelle foibe seguite a due grandi operazioni di sterminio dopo l’8 settembre e alla fine della guerra. 350 mila sono invece gli esuli”. Tuttavia va fatto un passo indietro: “Bisogna fare un’operazione contestuale. Noi abbiamo una ‘memoria mozza’, non pensiamo che le nostre responsabilità risalgono al 1919, dopo la vittoria di Vittorio Veneto, quando abbiamo conquistato dei territori etnicamente non nostri che durante il fascismo furono considerate dei confini difensivi dove effettuare un processo di aggressione e nazionalizzazione”. Trentacinquemila giovani delle nuove zone scapparono oltre il confine orientale per non partecipare alle imprese italiane in Africa, “Non volevano aderire, non si sentivano italiani, non era una popolazione tipicamente italiana”.

Poi si arriva alla Seconda Guerra Mondiale: “Tra il 1941 e il 1943 circa 150 mila sloveni scomparvero”. Cifre enormi, ma ci sono documenti che lo attestano: “Altro che documenti! -dichiara lo storico- basta pensare che nell’isola di Arbe, sede del principale campo di concentramento italiano per jugoslavi, il tasso di mortalità era del 19%, superiore a quello dei campi di sterminio. E dopo il ritrovamento dell’armadio della vergogna ci sono state ulteriori conferme”.

La questione resta aperta: “Questa commemorazione è una battaglia strumentale della destra in contrapposizione alla Giornata della Memoria”, dice ancora Del Boca, “a cui i partiti di sinistra si sono adeguati per non lasciare il monopolio assoluto all’altra fazione. Il revisionismo in Italia ha fatto grandi progressi”.

A questa guerra della memoria sarebbe necessario contrapporre, alle strumentali questioni nazionali, una coscienza storica trans-nazionale. Il dibattito sulla natura dell’identità europea è tutt’altro che archiviato e la memoria storica che bisogna difendere da derive revisionistiche non è quella di un singolo Paese ma del continente intero. È la memoria storica europea a essere in discussione, non solo -o non tanto- quella italiana e slovena. Ed essa si può tutelare soltanto attraverso la condivisione e il superamento di particolarismi.

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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2 commenti

  1. ci vuole ricerca della verità, equilibrio, andare oltre la difesa di ogni nazionalismo, le persone coinvolte in tragedie come quella delle foibe e dell’esodo non andrebbero strumentalizzate ma certamente rispettate sapemdo, io penso, che la storia non la riscrive nessuno (nel senso che non è possibile riavvolgere la storia e farla riscorrere come vorremo) ed i torti subiti vanno rielaborati alla ricerca della verità appunto, che non è solo la nostra ma in parte è anche, sempre, degli altri.

    • Parole sante, Luigi. “Andare oltre a difesa di ogni nazionalismo”. Nel nostro piccolo, quando trattiamo della recente guerra in ex Jugoslavia riceviamo sempre una certa dose di insulti da parte di tutte le parti in causa. Cecità, rabbia, paura e pregiudizio. Andare oltre il nazionalismo è difficile, lo possono fare gli storiografi (come Del Boca, ad esempio) ma se la gente ascolta le strumentali falsità dei politici non andiamo lontano.

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