ABKHAZIA: I diritti umani nei buchi neri post-sovietici

L’Abkhazia è un dei vari stati a limitato riconoscimento internazionale che dal tempo della dissoluzione dell’URSS costellano la periferia della Russia e che con essa intrattengono rapporti di varia natura, dalla Transnistria moldava controllata militarmente, al Nagorno-Karabakh vassallo dell’Armenia, dalla Crimea ucraina presto inglobata da Mosca, alle (ultime arrivate) repubbliche popolari di Lugansk e Donetsk nell’Ucraina occupata. Oltre all’Ossezia del Sud, oggetto del contendere della breve guerra del 2008, l’Abkhazia è la seconda regione separatista della Georgia, de facto indipendente con il sostegno di Mosca a seguito del conflitto del 1992-93.

Di Abkhazia si parla forse meno che degli altri “buchi neri” post-sovietici: a Sukhumi e dintorni non ci sono particolari interessi economici o rischi geopolitici, e la situazione sul terreno è rimasta stabile dagli anni ’90. Ciononostante, la pace e la tranquillità non implicano che i cittadini abcasi vedano rispettati i propri diritti umani. Ne hanno parlato Said Gezerdava e Bella Dzidzariia, professori di diritto all’Università Statale d’Abkhazia, intervenuti all’Université Libre de Bruxelles il 15 gennaio.

Fattori interni: tradizione costituzionale e mancanza di stato di diritto

“La nostra Costituzione, del 1994, è di stampo sovietico tradizionale,” spiega Said Gezerdava. “Include tra i diritti dell’uomo riconosciuti quelli tipici della Dichiarazione Universale del 1948, ma manca di alcune previsioni, spesso fondamentali per la loro messa in atto.” Un primo esempio è quello del diritto dei cittadini abcasi di far rientro dall’estero. Per gli abcasi che vivevano e lavoravano in Siria prima della guerra civile non è facile oggi garantire il rientro anche delle proprie famiglie: “la nostra Costituzione non include previsioni sul diritto d’asilo,” spiega Gezerdava. Simili problemi si pongono per quanto riguarda i diritti fondamentali alla vita e alla libera espressione: “la Costituzione non include un bando della pena di morte, né della censura“.

Anche il controllo di costituzionalità delle leggi, per quei diritti riconosciuti dalla Costituzione, è traballante: l’Abkhazia non ha ancora una Corte Costituzionale, e finora la Corte Suprema non è stata in grado di farne le veci. E anche nel disegno di legge per la Corte Costituzionale, manca la possibilità per i cittadini abcasi di farvi direttamente ricorso, limitando questo diritto ad un accesso indiretto di cui la Commissione di Venezia del Consiglio d’Europa ha riconosciuto l’inefficacia.

“Dopo la dissoluzione dell’URSS e una relativa stabilizzazione politica, il nostro sistema legale deve ancora introdurre varie norme sui diritti umani. La nostra “Carta dei Diritti” costituzionali non si è evoluta bene, il Parlamento ha iniziato a lavorarci solo negli ultimi dieci anni”, continua Gezerdava.

Da una parte, la società civile ha mostrato la propria capacità d’iniziativa, portando all’adozione di vari testi di legge sul diritto all’accesso all’informazione, sull’uguaglianza di genere, sui partiti politici, sulla libertà di coscienza e religione. Dall’altra parte, il Parlamento abcaso, dove l’iniziativa legislativa è nelle mani dell’esecutivo, ha spesso legiferato nel senso di una restrizione dei diritti, come nel caso del diritto alla difesa in tribunale, alla restituzione delle proprietà (legge del 21 giugno 2013), o la legge sul difensore civico (ombudsman). “Da avvocato, è inaccettabile per me che il Parlamento interferisca nel funzionamento della giustizia”, conclude Gezerdava.

L’esecutivo stesso ha iniziato ad occuparsi di diritti umani, come maniera di espandere il proprio mandato, sottolinea Gezerdava. E’ il caso del difensore civico, oggi inquadrato nell’amministrazione presidenziale, o del Comitato incaricato di ascoltare le richieste di restituzione della proprietà anche da parte di cittadini russi.

La difficile situazione delle minoranze in Abkhazia

Un problema ulteriore è quello relativo ai diritti delle minoranze. Per quanto non esplicitati nella Costituzione, essi potrebbero trovare riconoscimento tramite i trattati internazionali che l’Abkhazia ha deciso di rispettare. “Ma questo è solo un meccanismo potenziale – continua Gezerdava – poiché mancano le istituzioni necessarie a garantirne l’attuazione.”

L’Abkhazia manca ancora di una politica relativa alla gestione della diversità etno-culturale. Si va dalle discriminazioni più esplicite (solo un cittadino etnicamente abcaso può diventare Presidente) alle conseguenze inattese delle questioni linguistiche. Se la Costituzione dice che la lingua di stato è l’abcaso, la maggioranza della burocrazia pubblica di fatto lavora in russo. Con la nuova legge sulla lingua, tuttò dovrà invece essere fatto in solo abcaso, con forti ripercussioni non solo per i cittadini non etnicamente abcasi, ma anche per quegli abcasi che non hanno una padronanza della lingua. Secondo un sondaggio di un’agenzia giornalistica ceca, solo il 35% dei russi d’Abkhazia considera che i propri diritti siano pienamente rispettati, e tale quota scende al 22% per gli armeni e al 3% per i georgiani.

Resta poi particolarmente acuta la questione dei residenti del distretto di Gali, popolazione mingreli spesso dotata di passaporti georgiani, a cui la nuova amministrazione ha revocato i circa 27.000 passaporti abcasi finora ricevuti, e che sono attualmente considerati dall’Abkhazia come non cittadini.

La sfida della costruzione di uno stato di diritto

Le istituzioni incaricate di far rispettare la legge in Abkhazia (magistratura e polizia) restano molto deboli e hanno ereditato la tradizione sovietica di decisioni arbitrarie o illegali. Anche a causa della mancanza di competenza e riconoscimento sociale dei giudici, la fiducia dei cittadini abcasi nel sistema della giustizia rimane minima. Talvolta accuse penali infondate vengono portate contro quei cittadini che cercano di far valere i propri diritti, ad esempio chiedendo la restituzione di proprietà ora passate sotto il controllo dello stato.

Secondo Bella Dzidzariia, “il codice penale abcaso include la protezione dei diritti degli accusati, ma i funzionari di giustizia spesso non rispettano la legge”. Malgrado tra 2006 e 2014 non sia stato perseguito un solo caso di mancato rispetto dei diritti degli accusati, indagini sociologiche hanno mostrato come talvolta gli investigatori utilizzino “qualsiasi metodo” per ottenere prove dagli indagati. Nel 98% dei casi, il ricorso non viene considerato penalmente rilevante, e il caso si chiude con una reprimenda simbolica per le forze dell’ordine. Per far fronte ad una tale situazione, secondo Dzidzariia, ci vorrebbero emendamenti legislativi, un controllo pubblico sull’operato delle forze dell’ordine, e la formazione dei funzionari di giustizia al rispetto dei diritti umani degli indagati, per ottenere un cambiamento delle mentalità. Un primo passo potrebbe essere la costituzione di un’autorità che possa avere accesso ai centri di detenzione, per garantire l’habeas corpus dei detenuti, spesso in attesa di giudizio. “La ragione principale per cui queste pratiche persistono è l’impunità“, continua Dzidzariia. Al momento è molto difficile portare i perpetratori a rendere conto delle proprie azioni.

Fattori esterni: le conseguenze del non riconoscimento internazionale

Oltre a questi fattori interni che si ripercuotono sui diritti umani dei cittadini abcasi, è innegabile che anche la situazione di non riconoscimento internazionale vi si aggiunga. Il non riconoscimento dei passaporti abcasi fa sì che i cittadini della repubblica siano isolati e non in grado di recarsi all’estero. Da questo punto di vista, la politica della Federazione Russa di rilascio di passaporti russi anche ai cittadini abcasi (passportisacija) ha portato alcuni miglioramenti, ma il riconoscimento estero di tali passaporti russi emessi a Sukhumi resta incerto e talvolta imprevedibile.

Anche il fatto che l’Abkhazia, a differenza di entrambe Georgia e Russia, non faccia parte del Consiglio d’Europa e della sua Corte europea dei diritti dell’uomo, comporta che i cittadini abcasi non abbiamo la possibilità di rivolgersi al “giudice di Strasburgo” per fare valere il riconoscimento dei propri diritti umani quando la legislazione e le corti domestiche dovessero fallire.

Foto: John, flickr


Chi è Davide Denti

Dottore di ricerca in Studi Internazionali presso l’Università di Trento, si occupa di integrazione europea dei Balcani occidentali, specialmente Bosnia-Erzegovina.

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2 commenti

  1. Articolo interessante. Purtroppo l’Unione Sovietica non ha lasciato, per i membri più occidentalizzati, un sistema normativo ed un sistema giudiziario particolarmente funzionali, anzi, complessi, ma spesso insufficienti rispetto alle nuove necessità di un paese non più socialista e, questo è il peggio, spesso e volentieri l’indipendenza del giudiziario era puramente formale. Se uniamo un’eredità di per sé non esaltante ad uno stato che ha fatto una guerra e poi ha vissuto per vent’anni di stenti, sicuramente non viene fuori un bel risultato. Resta il fatto che la creazione di questi staterelli è dannosa per le popolazioni che ne fanno parte, è evidente sotto ogni profilo, o resti nel paese a quo, oppure sarebbe meglio confluire nella Federazione Russa, ma è ovvio, non si può per ragioni di diritto internazionale, anche se alcuni abkhazy mi sembra fossero piuttosto gelosi della propria indipendenza……

  2. La regione Abcasa è un territorio che nell’arco dei decenni, grazie ad una poderosa interferenza russa, è stata rapinata alla Georgia.
    Le modalità russe sono ben rodate e sono state riapplicate in Ossezia del sud nel 2008 e ai giorni d’oggi nell’Ukraina dell’est.
    I risultati di queste ingerenze russe si traducono in morte e distruzione e a farne le spese sono sempre le popolazioni locali.
    Ovviamente la leadership della Federazione Russa è ben consapevole dei vantaggi strategici che ottiene nello scacchiere internazionale operando in questo modo.
    La tristezza deriva dall’assoluta mancanza di moralità nell’operare con tali metodi.

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