UCRAINA: Kiev blocca economicamente il Donbass mentre falliscono le trattative a Minsk

L’apparente fallimento dell’ultimo tavolo negoziale nella capitale bielorussa ha portato ad un nuovo stallo nella crisi ucraina. Tutti gli scenari rimangono ancora aperti, anche se con il passare del tempo le prospettive di vedere la regione del Donbass all’interno della struttura statale unitaria ucraina appare sempre più complessa. I prossimi incontri, secondo le ultime indicazioni disponibili, si dovrebbero svolgere in un formato multilaterale ed avere luogo ad Astana. Difficilmente però il meeting di alto livello tra Ucraina, Russia, Germania e Francia, potrà significare un immediato punto di svolta nella situazione in Ucraina orientale, mentre la fragile tregua continua ad essere violata con regolarità da entrambe le parti.

Il definitivo fallimento di Minsk

L’ultimo incontro del cosiddetto gruppo di contatto formato dai rappresentanti del governo di Kiev, delle autorità delle Repubbliche che si sono autoproclamate autonome, della Federazione Russa e dell’Osce, si è tenuto a Minsk il 24 dicembre. L’obiettivo principale del tavolo negoziale era quello di mettere finalmente in moto il difficile processo d’attuazione del cessate il fuoco concordato lo scorso settembre nella capitale bielorussa. Nonostante un’intensa giornata di incontri formali, però, non sembra essere stato fatto nessun concreto passo avanti nella difficile interazione tra Kiev, Donetsk e Lugansk. In base a quanto riportato da Ria Novosti, sono stati almeno due i punti che hanno bloccato i negoziati; la richiesta di uno status autonomo per il Donbass e un’amnistia generale. Entrambi i dossier erano, a dire la verità, sull’agenda politica di Poroshenko (seppur con contorni indefiniti), ma sono stati definitivamente congelati a metà novembre in risposta alle elezioni autonome nelle due repubbliche separatiste.

Oltre alle posizioni di fondo, difficilmente conciliabili, i nuovi equilibri a Kiev non hanno di certo facilitato il dialogo tra le parti. Il rafforzamento della corrente politica più propensa ad un confronto militare con i ribelli e con Mosca, guidato dal premier Yatseniuk, e la decisione della nuova Verkhovna Rada (presa proprio alla vigilia degli incontri di Minsk) di abolire lo status di paese non allineato, hanno avuto sicuramente l’effetto di irrigidire le posizioni dei separatisti e dei loro sostenitori all’interno del Cremlino. Il Ministro degli Esteri russo, Sergey Lavrov, ha subito definito la decisione del governo ucraino come “controproducente” con effetti negativi sulla crisi nell’est del paese. L’unico risultato davvero tangibile di Minsk, alla fine, è stato un accordo per lo scambio di qualche centinaio di prigionieri.

Nuova mobilitazione e riarmo

Kiev, in effetti, nell’ultimo periodo sembra prepararsi con maggiore intensità ad affrontare quello che sarebbe lo scenario peggiore per la popolazione del Donbass, la  ripresa dell’azione militare su ampia scala. Secondo quanto dichiarato dal portavoce dell’esercito Andriy Lysenko durante il consueto briefing con la stampa presso l’Ukraine Crisis Media Center, sfruttando l’attuale cessate il fuoco “le forze militari hanno avuto modo di ripristinare completamente la loro capacità di combattimento”. Come promesso da Poroshenko a metà dicembre, infatti, il nuovo budget per il 2015 prevede un aumento della spesa militare fino a 86 miliardi di hrivne e una serie di tre cicli di mobilitazione generale.

Un altro fattore preoccupante per il futuro del dialogo è stato il recente dispiegamento di almeno centocinquanta nuove unità militari nella zona dell’Operazione Anti-terrorismo (ATO). Come affermato dal Consigliere del Presidente, Yuriy Biriukov, sono stati appena messi a disposizione dell’esercito ulteriori mezzi corrazzati, artiglieria e quattro jet (due Mig-29 e due SU-27). In attesa di vedere i frutti dello “Ukraine Freedom Act” firmato a metà dicembre da Obama, intanto, altri partner occidentali (come la Lituania) stanno attivamente contribuendo al rafforzamento delle capacità militari di Kiev.

I ribelli da parte loro non hanno perso occasione per consolidare le proprie posizioni sia nei centri urbani di Donetsk e Lugansk sia lungo le vie di collegamento. Sono aumentati gli scontri nell’area dell’aeroporto di Donetsk, mentre il 13 gennaio un pullman è stato colpito da un ordigno vicino ad un posto di blocco a Volnovakha, uccidendo almeno 11 civili. Ancora una volta appare estremamente difficile stabilire chi sia il responsabile. Le autorità di Kiev hanno subito accusato i ribelli, mentre da Donetsk affermano di essere estranei a questa nuova strage di civili. Quello che appare evidente però è che la posta si sta nuovamente alzando e il rischio di una nuova escalation appare, dopo mesi di relativa calma, di nuovo dietro l’angolo.

Blocco del Donbass

In seguito alle elezioni non riconosciute del 2 novembre a Donetsk e Lugansk, il Consiglio di Sicurezza e Difesa Nazionale ha deciso di adottare la strategia dell’isolamento economico-finanziario dei territori non direttamente controllati da Kiev. A partire dal primo dicembre, infatti, le autorità centrali hanno ufficialmente sospeso l’erogazione delle pensioni, degli stipendi statali e dei servizi bancari, interrompendo inoltre il regolare collegamento ferroviario con i territori controllati dai separatisti. Pur mantenendo un’intermittente fornitura di corrente elettrica e acqua, Kiev sta di fatto cercando di strangolare economicamente i ribelli e con loro la popolazione civile che non è riuscita, o non ha voluto, abbandonare la regione entro il termine stabilito (primo dicembre).

Secondo uno degli ultimi report di Amnesty International, la situazione umanitaria nei territori controllati dai ribelli appare come “disperata”, complici il freddo inverno, la decisione delle autorità centrali di tagliar fuori la regione dal sistema finanziario ucraino e l’azione incontrollata dei battaglioni paramilitari. Proprio alcuni gruppi armati irregolari (Dnipro-1, Aidar e Donbass) stanno continuando a bloccare fisicamente gli aiuti destinati alla popolazione di Donetsk e Lugansk, provenienti dalle numerose fondazioni ucraine e occidentali (una di queste è ad esempio la Rinat Akhmetov’s Foundation), “esacerbando l’imminente crisi umanitaria”. Come affermato da Denis Krivosheev, responsabile di Amnesty International per l’Europa e l’Asia Centrale, “la regione sta affrontando una catastrofe umanitaria con un alto numero di persone già a rischio di morte per fame”.  Gli aiuti russi invece continuano a giungere a destinazione attraversando le zone del confine controllato dai ribelli.

Oltre ad aggiungere ulteriore sofferenza alla popolazione e colpire solo marginalmente i ribelli, che di certo non estraggono le proprie principali risorse dalla popolazione, ma piuttosto dal sostegno politico-militare di Mosca e da ogni tipo di traffico illegale, il blocco del Donbass rappresenta anche un pericoloso fattore politico. Interrompendo tutti i servizi statali, Kiev riconosce de facto non solo di aver perso ogni tipo di controllo militare sul territorio, ma anche di non avere più alcuna autorità giuridico-politica.

Nuvole grigie all’orizzonte

Il fallimento dei negoziati del gruppo di contatto a Minsk e l’infruttuoso doppio incontro tra rappresentanti diplomatici di Ucraina, Russia, Francia e Germania avvenuto a Berlino il 6 e il 12 gennaio, sembrano aver accresciuto il rischio di una nuova escalation militare nelle regioni orientali. Pur non riconoscendo ufficialmente e giuridicamente i territori controllati dai separatisti come “territori occupati”, fattore che renderebbe implicita l’introduzione dello stato di emergenza (su tutto o su una parte del territorio nazionale), Kiev sembra aver perso definitivamente ogni possibilità di riacquistare il controllo e l’autorità politica sul Donbass. Il blocco economico del territorio, inoltre, non potrà far altro che alienare ulteriormente la popolazione civile che, come ha sottolineato Lev Golinkin in un recente editoriale per il New York Times, nutre un crescente livello di sfiducia “nei confronti di Kiev e dei suoi partner occidentali”.

Il prossimo turno di negoziati ad Astana, che a dir la verità con il recente aumento degli scontri rischia di saltare completamente, sarà tenuto nel “formato Normandia” con la partecipazione di Poroshenko, Putin, Hollande e Merkel. Sebbene sia difficile aspettarsi veri e propri progressi nella situazione sul campo, lincontro ad Astana potrà però essere importante per comprendere se ci siano ancora le basi per una soluzione politica del conflitto e per un compromesso generale tra le cancellerie europee e il Cremlino. I termini finali di questo compromesso potrebbero essere quelli su cui la diplomazia segreta sembra lavorare sottotraccia: un’Ucraina neutrale e integrata nello spazio economico europeo; ampia autonomia alle regioni orientali formalmente sotto autorità di Kiev; una Crimea sostanzialmente russa anche se non riconosciuta nel breve periodo.

Se i leader di Germania e Francia insieme ai colleghi da Kiev e Mosca dovessero fallire nel trovare una strada comune, per quanto tortuosa e impervia, con l’arrivo della primavera potremmo davvero assistere ad una nuova escalation militare. Il memorandum di Minsk, che tra le altre cose prevedeva la creazione di una zona demilitarizzata e l’allontanamento dell’artiglieria pesante a distanza di sicurezza, sembra oramai sepolto e l’aumento dell’attività militare in previsione dei negoziati dimostra la poca disponibilità delle parti di spostarsi dalle proprie posizioni per intraprendere un complicato dialogo. Il Donbass e l’Ucraina intera rimangono sull’orlo del baratro.

Chi è Oleksiy Bondarenko

Nato a Kiev nel 1987. Laureato in Scienze Internazionali e Diplomatiche presso l'Università di Bologna (sede di Forlì), si interessa di Ucraina, Russia, Asia Centrale e dello spazio post-sovietico più in generale. Attualmente sta svolgendo un dottorato di ricerca in politiche comparate presso la University of Kent (UK) dove svolge anche il ruolo di Assistant lecturer. Il focus della sua ricerca è l’interazione tra federalismo e regionalismo in Russia. Per East Journal si occupa di Ucraina e Russia. Collabora anche con Osservatorio Balcani e Caucaso.

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2 commenti

  1. Kiev non e’ vero che riconosce di non aver piu’ autorita’ giuridico politica: semplicemente non invia denaro a regioni occupate militarmente da un esercito straniero ostile

  2. Il non prendere in considerazione la situazione di partenza e l'(in)efficienza (a questa estate) dell’esercito ucraino (in entrambi casi, uguale a zero) distorce il significato e il peso dell’AUMENTO delle spese militari: certo in termini assoluti l’investimento è enorme, relativamente è il minimo storico per ottenere efficienza e credibilità di fronte ad un invasore addestrato e modernamente armato.
    Quindi al di la di inevitabili sparate patriottarde/propagandistiche, è indispensabile per il governo di Kyiv recuperare una decente preparazione militare, pena l’essere in balia all’interno delle formazioni paramilitari e sul campo dei “volontari” d’oltreconfine.
    Più in generale si ignora completamente il famoso connvitato di pietra: non è quello che possono pensare o decidere Kyiv e/o le bande dei separatisti (che di fatto contano sempre di meno), ma che cosa Putin ha cercato e cerca di ottenere dalla guerra nell’est Ucraina: se tutta l’operazione è una robusta cortina fumogena per coprire difficoltà del regime all’interno, il “dialogo” è solo un modo per tirare di lungo e le “ragioni” degli abitanti del Donbass solo dei pretesti.

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