Siriani alla frontiera col Libano_AFP-Joseph Eid

LIBANO: Basta rifugiati siriani, Beirut chiede il visto alla frontiera

Beirut dice basta alla politica della porta aperta. Dal 5 gennaio i siriani che vogliono riparare in Libano dovranno munirsi di visto. A condizioni quasi impossibili per chi fugge dalla guerra. È la prima volta che una misura del genere viene applicata alla frontiera fra i due paesi. La decisione arriva a quasi quattro anni dallo scoppio della guerra civile in Siria. Secondo i dati dell’Unhcr, i rifugiati registrati nel paese – che conta 4 milioni di abitanti – sono oltre un milione, ma la cifra reale probabilmente è più alta. Più dell’80% vive nei sobborghi delle maggiori città. Al contrario di altri paesi come Turchia e Giordania, infatti, il Libano non ha creato quasi nessun campo per i siriani. Così Beirut, senza un presidente dal maggio 2014 e con il parlamento prorogato fino al 2017 a causa dello stallo politico, ha deciso di dare un giro di vite alle frontiere e salvare il salvabile.

Mille dollari per passare il confine

La misura imposta dal governo prevede sei diverse tipologie di visto: turistico, d’affari, di studio, di transito, per ragioni mediche e di corta durata. Il testo non fa menzione di motivi umanitari: così chi ha diritto allo status di rifugiato rischia di non poter entrare. Per ottenere un visto non bisogna andare al consolato libanese a Damasco, basta presentarsi alla frontiera e avere tutti i requisiti. Impresa non semplice. Per un visto turistico è necessario esibire la prenotazione dell’hotel e avere con sé almeno 1000 dollari. Per un viaggio d’affari, mostrare l’invito di un’azienda libanese. Gli studenti hanno solo sette giorni di tempo per iscriversi all’università. Chi è diretto a un ospedale ha 72 ore, salvo proroga richiesta espressamente dal medico libanese. Per transitare per il paese serve il visto per la destinazione finale e il titolo di viaggio con data di partenza definita entro 48 ore. Infine, il permesso di corta durata è valido per 4 giorni. Il testo della misura, redatto dalla Sicurezza generale, specifica che per ogni tipo di visto serve l’impegnativa di un ospite libanese (privato o istituzionale).

Nessuno esce, nessuno entra

Khalil Jebara, consigliere del ministro dell’Interno libanese, si è affrettato a rassicurare che nessun rifugiato verrà espulso dal paese. La dichiarazione però non ha sciolto i dubbi delle organizzazioni internazionali che si occupano dei rifugiati siriani. Ron Edmond, portavoce dell’Unhcr, ha affermato che se il principio-cardine del non-refoulement (il divieto di respingimento previsto dal diritto internazionale) viene rispettato almeno formalmente, è altrettanto vero che la disposizione del governo non prevede clausole specifiche per l’ingresso di nuovi richiedenti asilo. Pochi giorni prima dell’entrata in vigore del provvedimento, il ministro degli Affari Sociali Rashid Derbas aveva spiegato così la ratio dell’introduzione del visto: “L’obiettivo è impedire ai siriani di rifugiarsi in Libano e regolarne l’entrata in modo più serio”.

Una scelta sbagliata in ritardo di quattro anni

In un’intervista trasmessa dalla Bbc, la direttrice del Carnegie Middle East Center a Beirut Lina Khatib ha bollato la mossa del governo come “un grande fallimento politico”. Il Libano avrebbe agito con quattro anni di ritardo, senza aver messo in campo politiche all’altezza della situazione. Il riferimento è alle tensioni sempre crescenti fra libanesi e siriani, dovute al crollo dei salari e all’impennata degli affitti. Pertanto, chiudendo la frontiera Beirut sembra voler evitare che la guerra civile contagi il paese. Anche in questo caso, però, potrebbe essere troppo tardi, e non solo a causa dell’appoggio di Hezbollah ad Assad. Negli ultimi mesi gli scontri nelle zone di confine si sono intensificati, soprattutto al nord e nella valle della Bekaa vicino ad Aarsal. Lì i 35mila abitanti sono meno dei 40mila siriani ospitati, la maggior parte dei quali è sunnita. Il 10 gennaio due persone si sono fatte esplodere in un bar di Tripoli, nel quartiere alawita di Jabal Mohsen, causando almeno 9 morti e una trentina di feriti. L’attentato è stato rivendicato dal Fronte Al-Nusra, formazione affiliata ad Al-Qa’ida in Siria, per “vendicare i morti sunniti in Siria e Libano”. Il fragile equilibrio confessionale del Libano potrebbe non reggere l’urto della guerra settaria siriana.

Foto: AFP / Joseph Eid

Chi è Lorenzo Marinone

Giornalista, è stato analista Medio Oriente e Nord Africa al Centro Studi Internazionali. Master in Peacekeeping and Security Studies a RomaTre. Per East Journal scrive di movimenti politici di estrema destra.

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