Femminismo e Islam: la rivendicazione del velo

Negli ultimi anni molte donne stanno proponendo diversi modi di vivere l’Islam: meno patriarcale, più egualitario. Essere musulmane oggi, per loro, significa necessariamente essere anche femministe. Lo dice il Corano.

L’Islam non è solo una religione. Non nel senso in cui potremmo intenderla in Occidente, almeno. Contrariamente a quanto accade (o dovrebbe accadere) nella nostra cultura, infatti, non è concepita una distinzione tra la dimensione spirituale e quella temporale. La religione musulmana permea ogni aspetto della vita quotidiana: basti pensare che gli studenti di Legge, per esempio, sono prima di tutto profondi conoscitori del Corano, il testo da cui derivano direttamente tutte le norme di convivenza sociale. Il Corano ha una natura “increata”, in quanto contiene parole dettate direttamente da Dio: è dunque considerato un testo immodificabile e che non necessita di contestualizzazioni storiche per essere interpretato.

Dalla fine del secolo scorso stanno lentamente emergendo pensatori che hanno gettato le basi per un nuovo approccio alla parola di Allah: questi ricercatori, attraverso una lettura che dà un ruolo centrale al periodo storico di stesura del Corano, riconoscono al testo una natura meno eterna e più dinamica, oltre a metterlo in relazione al mondo moderno. In questa corrente progressista e di interpretazioni alternative del testo sacro si possono inserire, a mio avviso, anche i movimenti femministi islamici.

“Femminismo” e “Islam” appaiono concetti diametralmente opposti: generalmente percepiamo la religione musulmana come profondamente patriarcale e annichilente nei confronti delle donne; molte, in passato, sono state effettivamente costrette a scegliere tra la propria identità di musulmane e quella di donne politicamente attive, trovandosi spesso a dover lasciare i propri Paesi di origine.

Nei Paesi musulmani la parola “femminista” suscita generalmente perplessità, nel migliore dei casi, se non disprezzo, biasimo e accuse di eresia: perciò il dato significativo è che, nonostante questo, sempre più donne musulmane stiano esprimendo l’idea che essere fedeli all’Islam significhi, di per sè, essere femministe. Ciò che caratterizza il femminismo islamico è proprio la rivendicazione di entrambe le identità, quella di donna e quella di musulmana. Nessun hijab viene sfilato dai capelli in segno di protesta, quindi. Tutt’altro. Non si tratta di un femminismo “alla occidentale” nato in un contesto musulmano ma di una interpretazione del Corano in chiave non patriarcale: ne deriva un testo sacro che parla di uguaglianza fra tutti gli esseri umani, oltre che fra uomini e donne, in ogni aspetto della vita quotidiana.

Per quanto il tema stia avendo risalto mediatico solo negli ultimi anni, soprattutto dopo il 2011 con le Primavere Arabe, semi di rivendicazione dei propri diritti, da parte delle donne musulmane, erano stati sparsi già da tempo: una fra tutte, la manifestazione che nel 1990, in Arabia Saudita (unico Paese al mondo in cui le donne non possono guidare un’auto da sole, se non con il permesso di un uomo) ha visto una ventina di donne mettersi illegalmente alla guida per le strade di Riyad; questo tipo di protesta è stato riproposto più volte, nel Paese, fino ad arrivare a un movimento partecipato che oggi si unisce sotto il nome Women To Drive, che raccoglie la solidarietà di molte nazioni occidentali.

Esistono comunque gruppi più strutturati e di peso internazionale, come l’organizzazione Musawah (“uguaglianza” in arabo), con base in Malesia, che ha come obiettivo principale quello di ridefinire gli equilibri tra ruolo maschile e ruolo femminile all’interno delle società islamiche. L’azione di Musawah mira principalmente alla sensibilizzazione delle donne musulmane all’interno dei propri Paesi, in modo che siano loro stesse a prendere in mano il Corano, dargli una interpretazione più egualitaria e premere sui propri governi affinché questi mettano in atto riforme che tengano conto del diritto di ognuno all’autodeterminazione.

Non è semplice inquadrare un movimento tanto vasto e, tutto sommato, ancora nascente: il dibattito è effervescente e merita ogni nostra attenzione.

Per approfondire:

Nasr Hamid Abu Zaid (1943-2010)
Teologo egiziano che, a causa dei suoi studi sulla contestualizzazione storica del Corano, è stato accusato di apostasia e si è visto costretto a lasciare il proprio Paese.
Azar Nafisi (1955)
Autrice di toccanti autobiografie e docente di Lettere all’Università di Teheran che, nel 1997, per sottrarsi alle restrizioni della Repubblica Islamica, ha deciso di trasferirsi negli USA.

Chi è Emmanuela Pioli

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3 commenti

  1. Il femminismo è un pensiero unico che vuole imporre a tutte le donne come devono essere per essere libere. Che Dio (o Allah) ci protegga di quelle che volgiono liberarci/salvarci ad ogni costo!

  2. Secondo me dipende da come si concepisce il femminismo: noto anch’io, in alcune donne, un modo di porsi da detentrici della verità e della soluzione per la salvezza, ma non si deve generalizzare 🙂 femminismo, per come la vediamo io e molte altre, è semplicemente battersi affinché la donna possa scegliere autonomamente chi vuole essere, come e in che modo, “educando” parallelamente anche gli uomini alla stessa forma di rispetto per se stessi e per le donne.
    Un femminismo serio è, semplicemente, una ricerca di convivenza nel rispetto delle libertà di ognuno.

  3. Condivido in pieno l’attenzione sul dibattito riguardo al femminismo islamico.
    Più volte le donne arabe hanno dimostrato la volontà e la capacita di portare avanti una doppia lotta: da un lato le rivendicazioni “femministe” per una maggiore parità di genere e dall’altro il coinvolgimento in prima linea per chiedere una svolta politica. Quest’ultimo è stato il caso dei movimenti del 2011, in cui il ruolo delle donne è stato fondamentale, in particolare in Egitto e Tunisia.
    Da non dimenticare che le donne arabe hanno una lunga storia di femminismo alle spalle: il primo movimento femminista egiziano risale al 1923!

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