La rivoluzione dell’89 e l’insurrezione araba

I tunisini hanno cacciato a colpi di piazza Ben Ali. Gli egiziani, invadendo le strade, stanno provando a buttare giù il trentennale regime di Hosni Mubarak. Altrove – in Algeria, in Siria, in Marocco, in Libia? – scoccherà presto una scintilla, scommettono gli analisti. L’effetto domino è partito, dicono. Uno dietro l’altro i governi della regione araba e mediterranea sembrano destinati a soccombere o a doversi reinventare o ancora a ricercare compromessi o impostare la transizione. Come una volta nell’Europa centro-orientale.

Il 2011 come l’89? Da più parti s’è tracciato questo parallelo. Ne hanno scritto i giornali italiani, ne hanno parlato i media internazionali. 2011 Could Be the Middle East’s 1989, titolava il sito della Bbc qualche giorno fa. Ma c’è davvero, quest’analogia? Nelle rivolte arabe, in effetti, si manifestano segnali che a suo tempo contraddistinsero anche le rivoluzioni dell’est: la corruzione e la “stanchezza” delle élite, le grandi adunate di piazza, la nascita di movimenti d’unità nazionale dalla composizione fortemente eterogenea, la crisi economica e l’aumento dei prezzi.

Questo, però, non dice tutto. Lo storico Paolo Morawski, attento osservatore della realtà dell’Europa centro-orientale, ha scritto dalle colonne del suo blog , che a fronte di queste similarità ci sono comunque fattori che tengono distanti i due eventi. «Qual è l’Urss del Sud dal cui dominio colonizzante emanciparsi? E qual è l’analogo del comunismo del quale liberarsi a Sud?», s’è chiesto Morawski.

Sono gli stessi distinguo che nel 2005, ai tempi della rivoluzione dei cedri libanese, quando qualcuno paragonò Beirut alla Berlino dell’89, il giornalista Fred Kaplan riportò su Slate, specificando tra le altre cose che – citiamo dall’archivio del web magazine americano – «le nazioni che hanno vissuto il dominio sovietico avevano alle spalle tradizioni democratiche, capitaliste e di cosmopolitismo europeo» e che nel quadrante mediorientale non c’è mai stato un Mikhail Gorbaciov. Insomma, l’accostamento tra la Beirut del 2005 e la Berlino del Muro e quello tra questo movimentato 2011 e l’89 può essere fuorviante.

Fuorviante, ma non insensato. «Perché quelle immagini di regimi e di muri che cadono per volontà popolare sono entrate nelle teste di molte più persone di quanto non si creda», ha ricordato Morawski, aggiungendo che l’89 ha un suo “capitale immateriale” che s’è trascinato nel tempo. Come a dire che parlando di ’89 si evoca uno scenario preciso, scandito da lotte di popolo, manifestazioni di piazza e movimenti di emancipazione.

Si spiega dunque così l’accoppiamento 2011-1989. Che è una tendenza diffusa a occidente, ma anche a sud. Lo utilizziamo “noi” e lo utilizzano “loro”, i protagonisti delle rivolte di questi giorni. Paola Caridi, giornalista esperta di Medio Oriente e autrice del blog invisiblearabs, ha evidenziato come l’avanguardia della rivolta tunisina si richiami ai valori dell’89 e in generale della marcia dell’ex blocco sovietico verso la libertà. «Su nawaat.org (portale dell’opposizione di Tunisi fino all’altro ieri censurato, ndr) si traccia addirittura una linea rossa che unisce un ragazzo di Praga, Jan Palach (che la mia generazione si ricorda ancora oggi come fosse successo appena ieri), con, il ragazzo di Sidi Bouzid, un ambulante, che si è dato fuoco a dicembre».

Morawski rileva la stessa cosa, spiegando che i dissidenti mediterranei, anche perché educati nel mondo occidentale, «usano i nostri linguaggi, le nostre immagini, scendono cioè sul nostro terreno per attrarre la nostra attenzione sul loro». Insomma, cercano così di farsi inquadrare sotto il fascio di luce dei nostri riflettori. E ci riescono, dando ulteriore sostanza all’analogia tra l’est di ieri e il mondo arabo di oggi.

È però legittimo chiedersi se l’associazione tra 2011 e 1989 non ci stia portando a distogliere lo sguardo dalle altre dinamiche che agitano il Medio oriente. Forse sì. Annota Paola Caridi: «Altri richiami [della rivolta] sono all’orgoglio nazionale e alla sollevazione contro il colonialismo. Colonialismo sui fucili, eppure simile al colonialismo diplomatico ed economico di questi giorni. Gli arabi sono fedeli a quello schema, a quella storia di sollevazioni e rivoluzioni che fu fondamentale per il panarabismo.Qualcosa, però, è cambiato. La velocità della comunicazione». La giornalista si riferisce all’uso di internet come strumento di battaglia politica. Un’altra differenza con l’89.

di Matteo Tacconi

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6 commenti

  1. Parallelismo (1989 centro-europeo – 2010/11 mediorientale) proposto anche da Bobo Craxi: altro motivo per tentennare.

  2. Devo ammettere che non ho potuto non pensare a Palach, pensando a Bouazizi. Poi, certo, sono realtà differenti. Credo che l’autore la metta in risalto questa differenza, e trovi come trait d’union lo spirito libertario e il “contagio” da Paese a Paese. Off the records, e senza più riferirmi all’articolo, sono poco ottimista riguardo le sorti di quei Paesi. L’est Europa non aveva l’islamismo. E non lo dico per gridare il solito “al lupo al lupo”. Sono un appassionato di cultura islamica, non un esperto di Nord Africa, ma temo che la democrazia non sarà al primo posto dell’agenda del cambiamento. Ecco, una cosa che hanno in comune l’89 e l’insurrezione araba: l’incognita del futuro.

    • Le riflessioni di Morawski citate nell’articolo sono più che calzanti e per me indicano i punti chiave di una riflessione sulla diversità di fondo dei fenomeni: «qual è l’Urss del Sud dal cui dominio colonizzante emanciparsi? E qual è l’analogo del comunismo del quale liberarsi a Sud?» (vale a dire: manca un giogo sovrastatale cui ribellarsi e che tutto ha unificato.) Inoltre le tradizioni «democratiche, capitaliste e di cosmopolitismo europeo» dal quale molti paesi della Europa centrale provenivano, capaci di agevolare non poco la lustracja e l’integrazione.
      La partecipazione di piazza, il ruolo dei giovani, l’orgoglio nazionale vs. forme di colonialismo, unito ai metodi «occidentali», sono un tratto in comune senza dubbio: resta da vedere se sufficiente o meno alla buona riuscita della operazione.
      (Nota: anche il parallelismo del ruolo degli Stati Uniti 1989/2011 è interessante…ora mi ci metto e provo a pensare qualcosa di sensato da aggiungere!)
      Salut.

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