CINEMA: L'omaggio di Jasmila Žbanić alle donne di Bosnia vittime di violenza in guerra

Da FIRENZE Il Balkan Florence Express, la rassegna di cinema balcanico giunta alla sua terza edizione, si è aperta a Firenze con due opere della famosa regista bosniaca Jasmila Žbanić. Il primo film, For those who can tell no tales, tratta il tema della violenza sulla donne, mentre il secondo L’isola dell’amore, ha un tono decisamente più frivolo. La regista è conosciuta al grande pubblico per aver diretto Il segreto di Esma (Grbavica il titolo originale), storia drammatica di una donna vittima di stupro durante la guerra del 1992-95, che si trova a dover rivelare alla figlia la verità sulle sue origini.

Nel 2006, anno di uscita del film, “Il segreto di Esma” sollevò scalpore in Bosnia per la delicatezza del tema trattato, quello della violenza sulle donne, di cui ancora si fa fatica a parlare apertamente. Eppure proprio grazie alla storia di Esma prese avvio una campagna nazionale per il riconoscimento dello status di vittime di guerra alle donne violentate tra il 1992 e il 1995. Grazie a tale processo, iniziato con il film della Žbanić, la Bosnia-Erzegovina ha adottato una legge che garantisce un contributo economico alle donne violentate durante la guerra (si stimano siano tra le 12.000 e le 50.000), equiparandole quindi ai veterani. Le vene aperte della Bosnia, però, faticano ancora a chiudersi. E l’ultimo film di Jasmila, di cui trovate una recensione curata da Caterina Francesca Guidi, ha il merito di tenere alta l’attenzione su di un tema che, nonostante i tentativi d’insabbiare la verità e di rinnegare quanto successo, non bisogna dimenticare. Né smettere di rendere giustizia nel nome di coloro che non possono più parlare.

For those who can tell no tales – Za one koji ne mogu da govore

Poetica e potente quest’opera della regista Jasmila Žbanić che racconta il viaggio attraverso la Bosnia da una diversa prospettiva eppure così usuale, quella del turista e dello straniero. Una performer australiana, Kym, decide di spendere l’estate del 2011 alla scoperta di un luogo insolito e in parte pericoloso, a detta della madre e degli amici, accompagnata soltanto dalla propria videocamera per registrare un video-blog. Sono i ponti di Melbourne a condurla all’aeroporto e, da lì, alla volta di Sarajevo. Illuminata dalla luce dell’estate, scopre una città in assoluto stato di grazia ma, seguendo i consigli di una guida cartacea, decide di recarsi alla volta di Višegrad. Una volta arrivata in città su di un bus sgangherato, è il famoso ponte sulla Drina ad accoglierla, che con la sua maestosa bellezza alimenta l’inconsapevole entusiasmo della protagonista, viaggiatrice curiosa e affamata lettrice di Andrić.

Di notte però qualcosa la turba obbligandola a una penosa insonnia in quel meraviglioso albergo immerso nel bosco alle porte della città, e una volta tornata in Australia, scopre il drammatico motivo di quell’inquietudine. Quindici anni prima quell’albergo ha ospitato un campo di stupro e detenzione per donne bosniache. Durante l’inverno dello stesso anno, Kym decide quindi di tornare alla volta di Višegrad e scoprire la verità di coloro che non possono più raccontarla. Stavolta neppure la luce della neve che avvolge la cittadina riesce a purificare l’orrore negli occhi di Kym. La consapevolezza ha preso il posto dell’innocenza, gli interrogativi dell’interprete necessitano risposte e il ponte, un tempo grandioso tratto d’unione, diventa un colpevole e silenzioso testimone delle atrocità compiute nella sua terra.

Il film racconta il viaggio di tanti di noi, chi ha vissuto o visitato la Bosnia, ossia un viaggio in parte forzatamente inconsapevole che si trasforma in una ricerca senza pace della verità. E’ un paese che vuole dimenticare quello in cui si ritrova Kym, è un processo di pacificazione senza pace quello che ci viene raccontato, è una molteplicità di inconciliabili punti di vista nel raccontare la Storia – l’occupazione turca come la guerra del ‘92 – quella che anima tutto il film e che attraversa ancora adesso la Bosnia. Sono due donne coraggiose, la regista e la protagonista, che cercano di restituire la dignità e rendere omaggio ad altre donne, vittime – allora come adesso – senza voce e diritti di crimini impronunciabili.

Si possono, dunque, visitare o vivere quelli stessi luoghi che pochi anni fa hanno ospitato drammi inenarrabili nel cuore dell’Europa? La risposta la regista ce la fa trovare nelle parole di un anziano “Virgilio”, la guida del museo di Andrić, che accompagna Kym alla scoperta della città. Prestando attenzione a ciò che ci viene raccontato e molto di più a ciò che ci è stato taciuto, abbracciando la Storia, scomoda e allo stesso tempo maestra nella sua complessità, questi sono gli unici mezzi che abbiamo per non ripetere gli errori e guardare avanti.

Foto: Federalna.ba

Chi è Chiara Milan

Assegnista di ricerca presso la Scuola Normale Superiore, dottorato in Scienze politiche e sociali presso l'Istituto Universitario Europeo di Fiesole (Firenze). Si occupa di ricerca sulla società civile e i movimenti sociali nell'Est Europa, e di rifugiati lunga la rotta balcanica.

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