RUSSIA: Una steppa di rifiuti

Da MOSCA – Un vecchio giornale, una posata di plastica, una lattina, un coccio di vetro, un calzino bucato, resti del pranzo, una batteria esaurita, una lampadina che non funziona più. Tutto insieme giù per il tubo dell’immondizia che nei condomini porta al grande container della spazzatura, che verrà poi svuotato in un camion diretto ad una delle innumerevoli discariche russe, settanta solo nel distretto di Mosca. Il World Resource Institute ha stilato una classifica dei paesi che dal 1850 al 2011 hanno inquinato di più al mondo: alla Russia la medaglia di legno, dopo Cina (al primo posto dal 2005), Stati Uniti (al primo posto dal 1888 al 1991, quando la Russia, o meglio l’allora ancora per poco Unione Sovietica, prese il primato) e India.

Il problema russo con l’inquinamento, oltre che al livello industriale, è molto legato alla dimensione dei rifiuti, per i quali l’unica soluzione, ad oggi, è quella delle discariche. Il suolo della Federazione accoglie 31 miliardi di tonnellate di rifiuti (dati Rostech, corporazione governativa). A differenza di altri paesi industrializzati, la Russia non è provvista di infrastrutture e fabbriche che gestiscano il riciclo e il recupero dei rifiuti. Crearne significherebbe investire intorno ai 20 miliardi di dollari, ai quali ogni anno in costi di manuntenzione si aggiungerebbero 500-600 milioni di dollari, sostiene il ministro russo per le risorse ambientali e l’ecologia Sergej Donskoj. Le discariche rimangono quindi la soluzione più conveniente e economica per tutti, sia per chi coi rifiuti ci lavora, sia per chi li crea.

In Europa e Stati Uniti la discarica risulta uno dei sistemi più dispendiosi per lo stoccaggio dei rifiuti (negli USA una tonnellata di rifiuti costa attorno ai 1000 dollari, sostiene il settimanale Ogonëk), mentre in Russia, al contrario, conservarli sulle sue enormi distese di territorio costa appena tra i 300 e i 1000 rubli (tra i 6 e 20 euro) a tonnellata. Anche per i cittadini la tassa sull’immondizia è pressochè irrisoria: la tariffa media è intorno ai 100-140 rubli (2 euro), 170 rubli al metro cubo per i cittadini di Mosca, sostiene Rinat Gizatulin, vice ministro alle risorse ambientali e all’ecologia. Stoccare i rifiuti nelle discariche è quindi, in Russia, di gran lunga più conveniente che rilavorarli. In Europa ad oggi si recupera tra il 50 e l’80% del vetro, carta e plastica (sostiene il settimanale Ogonëk); in Russia non è conveniente nemmeno recuperare i rifiuti più pericolosi, come le batterie esaurite, i termometri a mercurio o le lampadine. “Produrre una batteria costa meno di 50 centesimi di dollaro; recuperarla vuol dire spendere almeno un dollaro” spiega il viceministro Gizatulin.

Mosca produce ogni anno più di 5,5 milioni di tonnellate di rifiuti: per chi gestisce le settanta discariche moscovite è un business più che redditizio. I proprietari dei terreni adibiti allo stoccaggio dei rifiuti o gestiscono autonomamente la propria discarica o la affittano alla municipalità. La legge stabilisce un limite massimo di rifiuti per ogni area, ma la multa per chi non rispetta questa norma costa meno che applicarla.

La discarica più grande del distretto moscovita, la più grande di tutta l’Europa Orientale, Timochovo, occupa un’area di 120 ettari. A gestirla è il comune di Mosca assieme all’amministrazione del quartiere Noginskij. I camion carichi di rifiuti pagano tra i 3000 e i 5000 rubli per ogni stoccaggio. Stando ai dati SPARK (Sistema di Analisi dei mercati), Timochovo incassa ogni anno 433,5 milioni di rubli (oltre 8 milioni di euro).

L’alternativa allo stoccaggio dei rifiuti nelle diacariche in Russia è costituito dagli inceneritori. Ce ne sono dieci sul territorio della Federazione, obsoleti per tecnologie e pericolosi per i fumi che rilasciano nell’aria. Il viceministro Gizatulin suggerisce che probabilmente le varie regioni russe nel momento in cui dovranno decidere come investire nel settore rifiuti, sceglieranno di acquistare dall’Europa impianti di inceneritori, ma optando per il risparmio si orienteranno verso i modelli vecchi, quelli che gli stati europei hanno già dismesso in quanto nocivi. Gli impianti moderni in media costano attorno ai 240-250 milioni di euro, una cifra che le municipalità difficilmente saranno disposte a investire. Ancora meno probabilmente, continua Gizatulin, sceglieranno di acquistare impianti di recupero e rilavorazione dei rifiuti: dopo una prima lavorazione, rimane comunque un 40% di materiale da rilavorare una seconda volta, rendendo necessaria l’esistenza di una catena di fabbriche che gestiscano la serie di rilavorazioni.

Questa politica miope, tendente al massimo risparmio nel presente, non tiene conto degli svariati problemi legati all’inquinamento che necessariamente, in un futuro non troppo lontano, dovranno essere affrontati in maniera sistematica. Ed allora, i costi saranno più alti di quanto non lo siano adesso, le tonnellate di rifiuti accumulate sul territorio non saranno più “solamente” 31 miliardi, e i costi sanitari legati alla salute compromessa dei cittadini saranno da aggiungersi al quadro della questione.

Chi è Martina Napolitano

Dottoressa di ricerca in Slavistica presso l'Università di Udine, è direttrice editoriale di East Journal e scrive principalmente di Russia.

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