GEORGIA: Poveri e radicali, gli islamisti del Caucaso vanno a morire in Siria

Guram Gumashvili aveva 22 anni quando il 13 Ottobre scorso è caduto negli scontri nella città siriana di Kobani. Con lui i ‘morti per la fede’ provenienti dalla Valle del Pankisi salgono a sette fra gli oltre cento combattenti georgiani stimati in Siria.

La Valle del Pankisi è situata a 161 kilometri a nordest della capitale georgiana Tbilisi e si estende per 10 kilometri ai piedi delle montagne del Grande Caucaso, al confine con l’esplosiva Repubblica Cecena. La popolazione appartiene prevalentemente ai sunniti Kist, un gruppo etnico con stretti legami culturali con ceceni e ingusci.

Proprio la vicinanza culturale e geografica con il Nord Caucaso ha fatto del Pankisi una perfetta base per la resistenza cecena e islamista nei continui conflitti fra Groznyj e il potere centrale di Mosca, fornendo anche una destinazione ai circa 4.000 rifugiati ceceni in fuga dagli scontri.

Questa situazione ha creato tensioni anche nelle relazioni russo-georgiane. Il Cremlino ha spesso accusato Tbilisi di chiudere un occhio verso i ribelli ceceni e le loro continue incursioni in territorio russo, nonché sulla presenza di militanti islamisti, fra cui combattenti stranieri e dozzine di terroristi considerati legati ad Al-Qaida.

Un punto di svolta è giunto con la “rivoluzione delle rose” nel 2003. Il nuovo governo di Mikhail Saakashvili lanciò una decisa offensiva nella valle, diminuendo la presenza radicale nella zona e disperdendo le reti criminali. Tuttavia alcuni estremisti, noti come wahhabiti, sono rimasti nei villaggi della Valle del Pankisi, trovando terreno fertile soprattutto tra i giovani, in una situazione economico-sociale non dissimile dalle vicine repubbliche russe.

Alcuni esperti ritengono che siano proprio l’isolamento geografico, l’alto tasso di disoccupazione e la mancanza di opportunità, specialmente per i giovani, a favorire l’adesione a tendenze religiose radicali. In effetti, se la popolazione della Valle del Pankisi è di sole 15.000 persone, il tasso di disoccupazione raggiunge il 90%, e solo l’1% dei giovani è regolarmente impiegato.

Dal punto di vista amministrativo, il Pankisi rientra nella municipalità di Akhmeta, nella regione del Kakheti, dalla quale rimane però alquanto isolata per la sua posizione geografica. Questa situazione, unita alle differenze culturali e religiose con i cattolici ortodossi georgiani e alla difficoltà di comunicazione (gli stessi programmi televisivi georgiani arrivano in minima parte nella valle) diminuisce le possibilità di integrazione con il resto del paese.

L’unica organizzazione non governativa attiva a Pankisi è la Fondazione per lo Sviluppo Regionale del Kakheti (KRDF) che richiama fortemente l’attenzione sulla mancanza di attività extracurriculari e sull’impossibilità per i giovani di continuare gli studi per mancanza di fondi. Di conseguenza, i ragazzi sono lasciati allo sbando e le uniche attività restano la frequentazione della moschea locale e lo studio della lingua araba.

Questo non vuol dire che i giovani della Valle del Pankisi siano destinati a diventare estremisti, ma di sicuro le promesse di azione e gloria offerte dai wahhabiti sono molto allettanti per alcuni di essi. Esemplare è il caso di Tarkhan Batirashvili, meglio conosciuto con il nom de guerre di Abu Omar al-Shishani (‘il Ceceno’ in arabo). Veterano della guerra russo-georgiana del 2008, non è riuscito a trovare una sistemazione nella Valle del Pankisi dopo il congedo, preferendo emigrare in Siria come jihadista. Omar al-Shishani è forse il più noto dei combattenti provenienti da questa regione georgiana grazie alla sua veloce ascesa a leader del Jaish al-Muhajirin wal Ansar, o Army of Emigrants and Supporter, formalmente conosciuta come Brigata Muhajireen. Questa organizzazione, dichiarata terroristica dal Dipartimento di Stato americano il 24 settembre scorso, annovera un numero consistente di combattenti provenienti dal Nord Caucaso e altre repubbliche post-sovietiche come Tagikistan e Uzbekistan.

La presenza in Siria di combattenti Kist ha riportato l’attenzione internazionale sulla Valle delPankisi, facendo riemergere i sospetti che la regione possa essere un focolaio di militanza islamista, così come un punto di snodo per tutti coloro che dal Nord Caucaso vogliono andare a combattere in Siria. Una parte dell’opinione russa, in particolare il giornale RIA Novosti, ha colto immediatamente l’occasione per sottolineare come la Georgia sia patria nativa di leader jihadisti, enfatizzando la lunga esperienza di Tbilisi nell’ospitare e aiutare militanti islamisti, soprattutto al fine di destabilizzare le regioni vicine.

Il numero dei militanti provenienti dalla Valle del Pankisi rimane tuttavia considerevolmente inferiore rispetto ai combattenti di altre regioni e repubbliche; inoltre, non tutti sono entrati nelle file dell’ISIS. Tbilisi ha ammesso che risulta difficile controllare l’emigrazione dal Pankisi alla Siria, e non preclude la possibilità di un aiuto occidentale nella lotta al terrorismo, in primo luogo dai paesi dell’Unione Europea. Spetta però al governo georgiano sviluppare un adeguato programma di miglioramento della situazione socio-economica della Valle del Pankisi, sia per diminuire l’influenza delle idee estremiste e fornire una valida alternativa ai giovani della regione, sia in vista di un possibile rientro in patria dei militanti, una volta che la loro ‘missione’ potrà dirsi conclusa.

Foto: www.georgianews.ge

Chi è Emanuele Cassano

Ha studiato Scienze Internazionali, con specializzazione in Studi Europei. Per East Journal si occupa di Caucaso, regione a cui si dedica da anni e dove ha trascorso numerosi soggiorni di studio e ricerca. Dal 2016 collabora con la rivista Osservatorio Balcani e Caucaso.

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