Presidenza dell'Unione, la cattiva stella dell'Europa orientale

di Gabriele Merlini

Le recenti polemiche scatenate dalla nuova legge sui media approvata in Ungheria dal governo di Viktor Orbán (East Journal ne ha parlato qui) contribuiscono, tra le altre cose, a porre l’accento su un aspetto piuttosto spinoso per l’Europa centro-orientale, vale a dire il rapporto non propriamente agevole che i singoli stati dell’area si sono trovati ad avere con i vertici comunitari ogni qualvolta sia toccata a loro la presidenza di turno dell’Unione; è capitato nel 2009 alla Repubblica Ceca e accade adesso all’Ungheria, la quale presiede il consiglio EU dal primo gennaio duemilaundici e in carica resterà fino al trenta giugno.

Naturalmente si tratta di una casistica ancora limitata (nei fatti solo Repubblica Ceca e Ungheria hanno rappresentato l’Europa centrale nel ruolo, più la Slovenia per l’area balcanica) tuttavia sono stati tantissimi gli scivoloni cechi, così come non si direbbe iniziata nel migliore dei modi l’avventura ungherese (la Slovenia, viceversa, se l’è cavata con agilità sebbene -dicono gli inguaribili scettici- solo perché s’è ritrovata sullo scranno prima della crisi economica che ha rovesciato il banco comunitario, e non solo).

Inoltre appare doveroso sottolineare quanto l’Ungheria non sia che all’inizio del proprio percorso e avrà tutto il tempo che le serve per dimostrare di essere una democrazia sulla quale poter fare affidamento, guidata da un solido e rispettabile esecutivo. Ciò nonostante resta l’idea sottesa di una cattiva stella a sprigionare la propria malaugurante luce sulle singole nazioni dell’area chiamate al delicato incarico, poiché se è vero che si tratta di problemi in definitiva piuttosto comuni in tutti gli stati (non solo quelli ex comunisti) è anche appurato che questi problemi, in zona, hanno avuto il buongusto di esplodere decisamente nei momenti meno indicati.

La lista di accidenti cechi accaduti durante la presidenza europea non è breve e, a posteriori, pare incredibile sia potuto succedere tutto in soli sei mesi: i ritardi nella ratifica del Trattato di Lisbona più i capricci del Presidente della Repubblica Klaus più le sparate del premier Topolánek più la caduta di Topolánek più il caso di Entropa a Bruxelles (opera d’arte ceca trasudante cliché nazionali non apprezzati da molti), solo in minima parte rimediati dall’arrivo del preparato primo ministro «a tempo» Jan Fischer.

Sulla sponda ungherese invece la nuova legislazione per la stampa che ha fatto il resto, dimostrandosi capace di alzare in una settimana un polverone che a Praga ha necessitato almeno un mesetto.
Scricchiolii dannosi non tanto per ciò che realmente rappresentano quanto per quel che possono suggerire alla cospicua fetta di persone -politici e analisti esteri, con la stampa in prima fila- che ancora intravedono, guardando ad oriente, un fossato gigantesco a correre tra Trieste e Stettino; diffidenze radicate in tantissime suggestioni.

Resta comunque evidente quanto sul serio fosse stata inadatta la figura di Klaus per rappresentare la Repubblica Ceca in Europa, o come la legge ungherese sia pericolosa e le critiche da fuori i confini non siano (parole di Orbán) «inutili e troppo affrettate» (parimenti è sbagliato dire che si tratta di una legislazione in linea con le direttive europee e «sfido tutti a trovarci qualcosa che non sia nella legislazione sul tema degli altri Stati membri dell’Unione europea.») Tuttavia una certa prevenzione si riscontra spesso quando una tra quelle che vengono chiamate (brrr) le «nuove democrazie» sale ad una posizione di rilievo: ecco come mai il grande augurio perché tutto fili liscio risulta essere anche un augurio per il lento declino di simili distorti punti di vista, il malizioso scetticismo di quelli che ancora vedono una nuova Europa contrapposta a una vecchia Europa, tizi resistenti alle evidenze (guai e sparate improponibili ne fanno anche Francia, Italia, Danimarca e -ohibò- Germania) ma che nel proprio lavoro di cecchini si trovano alla grande.

L’ottimismo al riguardo, ossia lo sperare che in futuro le nazioni dell’Europa centrale, balcanica e baltica, siano ottime presidenze, deriva dalla costatazione che giganteschi passi avanti in termini comunitari sono stati compiuti, nonché dalla inevitabile esigenza di pragmatismo che i dati comportano: nei prossimi anni vedremo succedersi nel ruolo di Presidente del Consiglio Europeo Polonia, Lituania, Lettonia, Slovacchia, Estonia, Bulgaria e Romania.
Un fiume di auguri per loro e un bagno di oggettività per chi sarà chiamato a valutarne l’operato.

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