Gavrilo Princip, storia di un "eroe europeo"

«Le nostre ombre cammineranno per Vienna, vagheranno per la corte, spaventeranno la signoria»
Queste parole vennero ritrovate incise nelle pareti della cella di Terezin, Repubblica Ceca, dove Gavrilo Princip stava scontando la pena per l’assassinio dell’erede al trono austro-ungarico Francesco Ferdinando e di sua moglie Sofia. Quella stessa cella diventerà la tomba del “giovane bosniaco”, morto di tubercolosi qualche mese prima della fine della guerra scatenata dal suo stesso gesto. In questi ultimi momenti di vita, il corpo di Gavrilo, logorato e corrotto dalla malattia, subisce un’intensa trasformazione, corrompendo quel volto da giovane “intellettuale e intraprendente”. Cento anni più tardi, la stessa sorte toccherà alla sua memoria, trasformata nel tempo da eroe in terrorista.

Memoria e revisione

Al gesto di Gavrilo Princip viene attribuita la responsabilità dello scoppio della Grande Guerra, e con essa i 15 milioni di morti, di cui un milione solo in Serbia, spesso dimenticando che da anni il vecchio continente si preparava al confronto bellico.
La memoria circa l’attentatore di Sarajevo ha seguito l’evoluzione politica dei paesi balcanici: mentre nel periodo della monarchia il gesto di Princip venne dissociato dall’esperienza politica del regno, nella Jugoslavia socialista invece, egli venne rivisto come un precursore della lotta degli slavi del sud contro l’occupatore, nel nome dell’autodeterminazione jugoslava. Infine, da quando la Jugoslavia è implosa, e si è tornati agli stati mono-nazionali, a Sarajevo Gavrilo Princip è diventato un terrorista che lottava per la Grande Serbia, mentre tra i serbi viene osannato come eroe nazionale.

L’unica costante comune circa la memoria dell’attentato di Sarajevo è che si tratta di un raro caso in cui il dibattito, le revisioni storiche e le speculazioni ignorano completamente la figura dell’assassinato, per concentrarsi invece su quella dell’assassino.

«Sono un nazionalista jugoslavo»

Dalla fine della guerra degli anni novanta, a Sarajevo Princip ha perso la sua “aura da eroe” ed è diventato un nazionalista serbo che agiva per conto di Belgrado e della società segreta militare “Crna Ruka” (Mano Nera). Ciononostante, stando alle deposizioni del processo agli appartenenti all’organizzazione “Mlada Bosna” (Giovane Bosnia), sia Princip che altri 23 imputati (su 25 in tutto) si dichiararono “jugoslavi”, rivendicando l’unificazione di tutti i popoli sottomessi all’impero. La stessa composizione nazionale dell’organizzazione inoltre, non era che uno specchio della società multinazionale bosniaca, e in essa si trovavano sia musulmani che croati, oltre che serbi.

Inoltre, alla luce della Conferenza di Versailles, che impose lo smantellamento dell’Impero Austro-Ungarico, e dei 14 punti del presidente americano Wilson, che sancirono il principio di autodeterminazione per i popoli sottomessi agli imperi, il gesto di Gavrilo Princip potrebbe ulteriormente essere interpretato sia come lotta contro un potere oppressivo, che come gesto di libertà e autodeterminazione per gli slavi del sud. Tuttavia, il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni che si venne a formare dopo la guerra, non rispecchiava affatto l’entità politica a cui miravano i “giovani bosniaci”. Se davvero fossero stati dei terroristi che ambivano “la Grande Serbia”, di certo il loro gesto e il loro sacrificio non sarebbe stato vano, considerata l’indipendenza e soprattutto il carattere pan-serbo che contraddistinsero quel regno.

La belle époque, il risorgimento e il regicidio

Gli ideali politici della “Giovane Bosnia”, erano infatti in favore di “una repubblica jugoslava, la cui sovranità appartenesse al popolo e venisse esercitata attraverso l’uso di libere elezioni”, come riporta il giovane ricercatore di storia Miloš Vojinović. Infatti, gli scopi politici, così come i simboli e il giuramento su cui si fondava l’organizzazione erano una diretta emulazione del risorgimento italiano, e più in generale europeo. La Giovine Italia di Giuseppe Mazzini appunto, riuscì ad esercitare un’enorme influenza nelle menti degli appartenenti alla Giovane Bosnia, e i loro principi ricalcavano quelli di Unione, Libertà e Indipendenza che portarono all’unificazione d’Italia nel 1861.

Se l’unione d’Italia non poteva che partire dal Piemonte, allo stesso modo nei Balcani la Serbia rappresentava la vera forza emergente, sia dal punto di vista militare che politico, nonché il centro d’aggregazione da cui partire per un futuro stato comune a tutti gli “jugoslavi”. Le accuse di “terrorismo” verso Princip non sembrano inoltre tener conto di diverse contestualizzazioni storiche. In primis, la serie di guerre d’indipendenza, incluse le guerre balcaniche del 1912-’13 che aveva accresciuto l’influenza e il temperamento della Serbia verso quelle regioni ancora sotto dominio straniero. E inoltre, “l’aria di libertà” che proveniva da Belgrado – dove lo stesso Gavrilo aveva frequentato il liceo – descritta così da un suo coinquilino dell’epoca: ”nella libera Belgrado essi pensavano i propri pensieri, sognavano i propri sogni. Il loro pensiero era la vendetta, il loro sogno la libertà.”

La sottomissione e la libertà

Di conseguenza, il motivo per cui l’Austria-Ungheria decise di annettere la Bosnia-Erzegovina nel 1908 (occupata sin dal 1878), era proprio quello di limitare la crescita politica della Serbia. Infatti, nonostante l’impero fosse composto da oltre 50 milioni di abitanti e la Serbia appena da 4, le paure di Vienna non risiedevano nelle capacità militari di Belgrado ma piuttosto nell’influenza e nel ruolo di guida che essa avrebbe avuto nelle vicine regioni dell’impero. La paura che la Serbia potesse divenire “il Piemonte dei Balcani” (in serbo-croato Pijemont) spinse la corte di Vienna verso “la missione di civilizzazione” in Bosnia-Erzegovina.

Mentre molti contemporanei dell’epoca e di oggi si riferiscono all’annessione della Bosnia come un momento di grande progresso per la ex-provincia ottomana, per Princip, Čabrinović, Mehmedbašić e gli altri “giovani bosniaci” questa “civilizzazione” non era altro che un’opera di militarizzazione, una “dittatura militare”, attraverso la quale sorsero un numero di caserme di polizia superiore di dieci volte a quello delle scuole, e che puntava ad accrescere le divisioni tra serbi, croati e musulmani. Infatti, dal momento che i musulmani si concentravano nei centri urbani e i serbi nelle campagne, l’occupazione austroungarica incontrò maggior rancore tra quest’ultimi. Fino alla morte del governatore Von Kallay nel 1903, come afferma lo storico Miloš Ković, era stata molto incentivata l’identità nazionale “bosgnacca” e la lingua si chiamava “bosniaco”, nonostante il 42% della popolazione fosse serba.

La belle époque in altre parole, non era che un’illusione propagandistica dell’occupazione asburgica, mentre quella di Gavrilo era la realtà della dura vita della campagna bosniaca, il cosiddetto “vukojebinje”, dove i contadini erano sottomessi a relazioni di tipo feudale, attraverso il sistema del “kmet” e delle tasse da pagare all’imperatore. In questo senso, l’occupazione e l’annessione della Bosnia-Erzegovina non sono altro che una vera e propria colonizzazione. Quando al processo verrà chiesto a Princip il motivo dell’assassinio egli spiegherà che “il popolo soffre in quanto è completamente impoverito, trattato come una massa di pecore…Io sono un figlio della vita di campagna, conosco com’è la situazione nei villaggi, per questo volevo vendicarmi e non ne sono dispiaciuto”.

Infine, quando il governatore militare della Bosnia-Erzegovina, Oskar Potiorek (a cui era destinato il proiettile che accidentalmente colpì la moglie dell’arciduca), proibirà per decreto la costituzione di associazioni a carattere nazionale, il confine tra organizzazione giovanile e terroristica si farà sempre più labile spingendo i “giovani bosniaci” alla scelta dell’attentato, in quanto “impossibilitati ad usare mezzi legittimi”, così come testimonierà Nedeljko Čabrinović.

Quella dei giovani di “Mlada Bosna” resterà quindi una generazione di sognatori della libertà, patrioti, socialisti e anarchici, in continuità con l’esperienza politico-intellettuale che da vent’anni agitava le menti risorgimentali d’Europa, e che a sua volta aveva portato all’assassinio di innumerevoli autorità e politici. Il Presidente francese Carnot nel 1894, ucciso dall’anarchico italiano Sante Caserio; l’imperatrice Elisabetta di Baviera nel 1898; Umberto I di Savoia, ucciso da Gaetano Bresci nel 1900; e il re e principe di Portogallo nel 1908, sono solo alcuni degli “illustri” attentati che anticiparono quello dell’arciduca Francesco Ferdinando.

In conclusione, una politica imperiale e colonialista vide la sua fine per mano di un diciannovenne d’estrazione contadina, che ebbe “la sfortuna” di conoscere ed abbracciare gli ideali di libertà su cui si fonda oggi il continente europeo. A cent’anni dall’attentato di Sarajevo, a fronte dell’odierna situazione nei Balcani – di nuovo divisi e strettamente dipendenti alle grandi potenze europee – il gesto di Gavrilo Princip continua a errare incerto tra opposte interpretazioni, diviso tra glorificazioni e revisioni storiche, tra memoria comune e materia di scontro, tra patriottismo e nazionalismo, perdendo di fatto tutta la sua carica positiva, fino a diventare del tutto vano.

Chi è Giorgio Fruscione

Giorgio Fruscione è Research Fellow e publications editor presso ISPI. Ha collaborato con EastWest, Balkan Insight, Il Venerdì di Repubblica, Domani, il Tascabile occupandosi di Balcani, dove ha vissuto per anni lavorando come giornalista freelance. È tra gli autori di “Capire i Balcani occidentali” (Bottega Errante Editore, 2021) e ha firmato due studi, “Pandemic in the Balkans” e “The Balkans. Old, new instabilities”, pubblicati per ISPI. È presidente dell’Associazione Most-East Journal.

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5 commenti

  1. Claudia Bettiol

    Un articolo davvero interessante, e per giunta molto chiaro e ben strutturato.
    Grazie e complimenti!

  2. Si, sono d’accordo.
    Ho visto la settimana scorsa il film austriaco L’attentato, un punto di vista completamente diverso, è basato su qualche documento o è solo un’interpretazione, ne sai qualcosa?

  3. Roberto Mondin

    Molto bello. complimenti.

  4. In cosa consisteva il carattere panserbo del regno dei serbi,croati e sloveni?? Non c’erano libere elezioni?
    Il territorio era centralizzato cioè nessun popolo aveva autonomie speciali (quello che vorrebbero i musulmani in bosnia, però applicato alla jugoslavia non va bene per loro). Quindi tutti erano uguali. Trovo molto più discriminatoria la costituzione della repubblica socialista di Tito, per la quale i serbi a ovest della drina erano pedine da usare per arrivare al potere e poi da buttare nel cestino della spazzatura, separandoli definitivamente dai loro fratelli orientali.

  5. diretta emulazione del rinascimento italiano, e più in generale europeo. La Giovine Italia di Giuseppe Mazzini —
    emulazione del RISORGIMENTO;
    per il resto molto interessante. Che ruolo ha avuto in tutto questo la Gran Bretagna? Era connessa con i servizi segreti serbi? C’erano loro dietro Princip e compagni, come sostiene qualcuno? Grazie.

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