BULGARIA: Sofia e la lobby mafiosa

di Myrianne Coen*


La Bulgaria si appresta a entrare in Europa il 1° gennaio 2007, ma Bruxelles non ritiene che il Paese abbia davvero chiuso con un passato scandito dall’alternanza tra corruzione ad alti livelli e oscuri intrecci tra mafie locali e straniere. Per questo nella dichiarazione di adesione sono state inserite alcune clausole “di sicurezza” il cui mancato rispetto porterà alla sospensione dei fondi comunitari

Per la Bulgaria è stato il tormentone nazionale del 2006: “Entreremo a far parte dell’Unione Europea come previsto il 1° gennaio del 2007?”. Il clima prodotto dalla cruciale questione era di pura suspense: otto milioni di persone – tanti sono gli abitanti dell’aspirante Stato candidato – accarezzavano quel sogno da anni. La tensione si è potuta stemperare solo dopo l’estate. L’Italia e altri otto Stati membri avevano ratificato il trattato di adesione già da tempo, ma l’Unione Europea si è pronunciata ufficialmente in senso positivo solo il 26 settembre scorso. Teneva il Paese in osservazione. Le ragioni? Le ha esplicitate benissimo il settimanale francese «l’Express» il 5 gennaio 2006: «La mafia di Sofia preoccupa Bruxelles. L’incapacità della Bulgaria di lottare contro il crimine organizzato nuoce alle sue possibilità di adesione all’Ue».

Non basta un re. Il 16 giugno del 2005 il Governo presieduto da Simeone di Sassonia Coburgo-Gotha (icona della “nuova” Bulgaria, ndr.) perdeva le elezioni non essendo riuscito a portare il Paese sulla via dell’atteso sviluppo economico-sociale. Nonostante le tante promesse formulate in campagna elettorale, l’ex re Simeone non è stato in grado di affrancare lo Stato dai cosiddetti “gruppi di interesse” (lobby criminal-affaristiche).
Il compito delle autorità bulgare non è certamente facile. La criminalità organizzata bulgara non può essere compresa senza ripercorrerne la storia. E solo il contesto storico-politico può spiegarne l’infiltrazione nei gangli delle istituzioni nazionali e l’espansione nell’Europa Occidentale.

I primi della classe. La Bulgaria fu lo Stato satellite più fedele all’impero comunista sovietico. I suoi servizi segreti erano considerati i più competenti, per questo servirono al Kgb nelle esecuzioni delle missioni più rischiose e controverse. Dopo il crollo del Muro di Berlino, sotto l’influenza del Kgb, numerosi membri degli apparati di sicurezza dello Stato bulgaro sono passati al servizio del crimine organizzato, trasferendo i propri contatti “politici” a beneficio della “nuova” attività criminale. Per questo motivo oggi il crimine organizzato bulgaro risulta essere una delle falangi operative della mafia russa nel nord Europa, particolarmente attiva in Belgio, sede della Nato e dell’Unione Europea. È importante infatti non dimenticare che, attraverso la propria industria manifatturiera, la Bulgaria comunista contribuiva economicamente all’impero sovietico. I suoi quadri ingegneri gestivano importanti progetti in Algeria, Iraq, Siria, Libia e altri Paesi in via di sviluppo: ciò può spiegare gli attuali legami della criminalità organizzata bulgara con ambienti del mondo musulmano, all’epoca allineato all’impero sovietico.

Lo Stato rapinato. Dopo il 1989, lo sgretolamento del socialismo reale comportò un cambiamento di governo che, preparato dallo stesso potere comunista in carica (l’artefice fu Todor Jivkov, primo ministro dal 1962 al 1989), fu attuato senza troppi scossoni. In Bulgaria quindi almeno fino al 1997 i Governi che si succedettero rimasero fortemente legati al passato.
Durante questo periodo, le riserve dello Stato comunista furono dirottate su conti privati all’estero e le imprese di Stato continuarono ad essere gestite dai vecchi dirigenti che si accaparrarono il profitto aziendale, trasferendolo sui loro conti correnti esteri. Dopo aver “privatizzato” le ricchezze statali e averle trasferite all’estero, nel 1996 il sistema bancario bulgaro implose facendo perdere alla popolazione la quasi totalità dei risparmi di una vita. Tra dicembre ’96 e febbraio ’97 il cambio della moneta nazionale, il Lev, passò da 500 a 3000 dollari. Questo processo, da una parte, produsse un’economia informale che proliferò ai margini alla legge, detta appunto economia di “sopravvivenza”, terreno fertile per le consorterie mafiose e, dall’altra, un massiccio esodo di popolazione, che nutrì e nutre tuttora i traffici di esseri umani destinati verso l’Europa occidentale.

Manodopera per la mafia. Circa 700 mila bulgari, su una popolazione totale di 8,23 milioni, hanno lasciato il Paese in questo decennio, nel 95% dei casi per motivi economici.
Nel 1997, circa l’80% della popolazione bulgara viveva sotto la soglia della povertà (il salario mensile medio era l’equivalente di 20 dollari) e i servizi pubblici e sociali erano malmessi perché lo Stato era ormai completamente impoverito. Tra l’inizio del ’97 e la metà del ’99 il salario mensile medio è passato da 20 a 50 dollari, lasciando ancora circa la metà della popolazione alla soglia della povertà, in particolare i pensionati, le minoranze turche e zigane, i funzionari pubblici e i disoccupati. Il numero di questi ultimi era in forte progressione in seguito alla ristrutturazione dell’apparato economico, che comportò numerose chiusure di imprese trascurate nel corso degli anni 90. A metà del 2004, il 40% dei bulgari viveva ancora sotto la soglia di povertà. Secondo il ministro del Lavoro e degli Affari sociali, il livello di povertà si attestava sui 102 lev (circa 50 euro al mese), ma per i sindacati la stima era pari a 180 lev. Il minimo salariale per il 2006 è stato fissato a 160 lev al mese.
La “criminalizzazione” di un’economia messa al servizio di coloro che ne conoscevano i meccanismi già prima del 1989 fu ulteriormente favorita dall’assenza, di fatto, della legittimità della legislazione ereditata dal passato – conseguenza della “transizione” – e dall’incapacità dei governi di far applicare la legge (per mancanza di leggi, di formazione o per collusione di interessi).

Regola prima: ristabilire la legalità. In questo contesto, agli inizi del 1997, il susseguirsi di manifestazioni di piazza causò la caduta del Governo “socialista” (ex comunista) del Primo ministro Jan Videnov (1994-1997). Le nuove elezioni parlamentari portarono al potere la coalizione all’opposizione: l’Unione delle Forze Democratiche (Udf, composto da cristiani democratici, ortodossi e membri del Ppe). Il nuovo primo ministro Ivan Kostov, appoggiandosi agli Stati Uniti e mirando all’adesione all’Unione Europea e alla Nato, si sforzò di stabilizzare il Paese. Il suo governo incominciò a lottare contro un crimine organizzato profondamente incrostato nell’apparato dello Stato.

L’ora del contrasto. Il ministro dell’Interno Bogomil Bonev cercò di tagliare il legame tra i malviventi di strada e i gruppi criminali organizzati, applicando a volte semplici misure come il ritiro dei segni di riconoscimento (targhette, distintivi, tessere, ndt.) e delle licenze di compagnie di assicurazione che taglieggiavano i commercianti. Sostituì la quasi totalità dei funzionari dirigenti del ministero dell’Interno.
Il ministro delle Infrastrutture Bakardjiev invece ristabilì i rapporti con la Russia nel settore energetico, ma scartò la Multigroup, una holding statale fondata da impiegati dell’ex sicurezza di Stato comunista, dietro cui si celava una serie di attività criminose. Ad oggi, però, ancora nessun processo giudiziario contro la Multigroup è arrivato a termine. In compenso il suo fondatore Ilya Pavlov, prima di essere ucciso con un solo colpo di pistola sparato al cuore, iniziava ad essere noto con il soprannome di “Al Capone”.
La privatizzazione delle imprese pubbliche, sotto la direzione del ministro Bojkov, sembra invece aver conosciuto minor successo. Le trattative mancano di trasparenza, le voci di corruzione sono frequenti e i migliori pretendenti, in particolare quelli stranieri vengono scartati.

Criminalità o asilo? Il controllo dei passaggi alle frontiere fu tolto all’esercito per essere affidato a forze di polizia, senza tuttavia riuscire a eliminare le reti di contrabbando.
Nell’aprile 2001 la Bulgaria ottenne la fine del regime che imponeva il visto ai propri cittadini che desideravano recarsi nello spazio di Schengen. Questo ebbe come conseguenze immediate e durature un aumento significativo delle “domande di asilo” di bulgari in diversi Stati membri e l’esportazione della criminalità organizzata in Europa occidentale. Statistiche ufficiose dimostrano che il numero degli interrogatori di cittadini bulgari che hanno commesso crimini o delitti in uno degli Stati dello spazio Schengen è raddoppiato dopo la soppressione dell’obbligo dei visti: 102 arresti nel periodo che va dal 1 gennaio 2000 al 30 aprile 2001; 101 arresti tra il 1 maggio e il 31 dicembre 2001.

La porta girevole dei Balcani. Già durante la Guerra fredda, la Bulgaria, collocata sulla “rotta dei Balcani” – e provvista, come già ricordato di efficaci e discreti servizi segreti – si trovò al centro di un traffico di armi, smerciate in cambio di droga proprio da una società di Stato, la Kintex. Ma è dopo la caduta del Muro di Berlino, con l’espansione dei mezzi di comunicazione (apertura politica delle frontiere, trasporti, informatica, telecomunicazioni…) che si presentarono nuove opportunità per questa criminalità organizzata che ancora oggi si struttura intorno a vecchie reti di servizi segreti dell’Est, appoggiandosi sugli storici contatti all’interno delle istituzioni dell’Europa occidentale. In seguito, l’embargo petrolifero contro la Serbia non fece che favorire una maggior integrazione tra criminalità organizzata serba, bulgara, macedone (attraverso traffici di armi, droga, sigarette, esseri umani…). L’Albania cominciò a ricoprire un ruolo importante, assicurando principalmente il trasporto per questi traffici dopo l’apertura delle sue frontiere, specializzazione ancora accresciuta dopo la fine del conflitto in Kosovo (armi in cambio di droga ed esseri umani). Questi traffici transnazionali, che passano dalla Bulgaria, utilizzano principalmente due rotte verso l’Europa occidentale. La prima, al Nord, attraverso la Romania, l’Ucraina, la Polonia, la Germania, il Benelux, verso la Gran Bretagna e in minor misura verso l’Europa del Nord. Al Sud, attraverso Grecia, Macedonia, Bosnia, Slovenia o Albania, Italia, Benelux, verso la Gran Bretagna o l’Europa del Nord.

Indovina chi è. I servizi di polizia occidentale perdono sovente le tracce di queste filiere per due motivi principali. Innanzitutto per la difficoltà di operare al di là della prima frontiera Schengen e l’assenza di canali e di fonti di informazione attendibili (il che rende difficile stabilire la nazionalità delle reti e dei loro contatti all’estero). In secondo luogo per l’imprecisione contenuta nei dati d’identità, dovuta a errori di trascrizione, alla falsificazione di documenti, o alla confusione creatasi dopo lo sfaldamento dell’ex Jugoslavia. Sloveni, croati, bosniaci, croati, macedoni, vengono infatti qualificati tutti come ex jugoslavi. Ma anche la menzione che compare sul passaporto relativa alla nazionalità e all’etnia crea confusione: i bosniaci per esempio possono essere serbi, croati o musulmani; i macedoni sono al 20% di origine albanese.

Conseguenze. Negli ultimi tempi, grazie all’accelerazione su scala internazionale della lotta contro il terrorismo e la criminalità organizzata, sono venute alla luce le connessioni criminali transnazionali della criminalità bulgara in Europa. Tanto che – dopo il rifiuto di Francia e Paesi Bassi al Trattato europeo (primavera 2005) – più parti si chiesero se fosse opportuno un differimento dell’adesione della Bulgaria all’Unione Europea.
In materia di lotta contro il terrorismo, la Bulgaria è indebolita dal controllo quasi inesistente del suo territorio e delle sue istituzioni, dall’importanza della sua minoranza musulmana (tranquilla, ma addossata alla porosa frontiera con la Turchia) e soprattutto dalla funzione che svolgono nella logistica terroristica gli anziani alleati sovietici e le loro reti attive, ad oggi, nel crimine organizzato.
Con un indice di trasparenza internazionale bassissimo (coefficiente 4) e la 55ª posizione in classifica, il Paese non riesce a migliorare il proprio livello di contrasto alla corruzione, che anzi si è aggravato e resta, con una pubblica amministrazione sottopagata, uno dei principali flagelli che limitano lo sviluppo del Paese e la lotta contro il crimine organizzato. Oggi più dell’80% degli uomini d’affari ammette di aver dovuto corrompere per esercitare la propria funzione. Nel 1998 il dato si attestava al 23%, ciò si spiega con una verosimile presa di coscienza piuttosto che per un sensibile aumento della corruzione.

La Piovra arriva prima. Ancora oggi, malgrado una progressione costante del Prodotto nazionale lordo, il salario minimo è di 80 euro al mese e la pensione equivale a circa 45 dollari al mese. Di fatto, lo scarto tra i più ricchi e la maggioranza della popolazione, di cui la metà vive sotto la soglia di povertà, si accresce costantemente. I progressi in materia di adeguamento della legislazione bulgara all’acquis communautarie (le regole dell’Ue, ndt.) restano essenzialmente sulla carta e i ritardi di applicazione sono particolarmente visibili in materia di lotta contro la criminalità organizzata e contro la corruzione.
Gli investimenti stranieri (Grecia, Germania, Italia, Belgio sono i principali investitori in Bulgaria) sono ritardati a causa dell’instabilità amministrativa e della mancanza di efficacia del sistema giudiziario nel Paese. Frequentemente provengono da fonti poco trasparenti (privatizzazione delle telecomunicazioni, Bulgartabac…) se non mafiose, in particolare per ciò che concerne le piccole e medie imprese. Da notare che le relazioni commerciali con l’Italia, rimaste modeste durante gli anni 90, sono esplose dopo il 2001, mentre nello stesso periodo sia la Romania che la Bulgaria erano già utilizzate come punto di appoggio dalla mafia italiana. L’assassinio del Presidente della principale holding bulgara Mg co. (ex Multigroup), Ilya Pavlov, nel febbraio 2003 (poco dopo l’assassinio del Primo ministro serbo Djindjic e in seguito alla repressione contro i suoi mandanti, l’organizzazione criminale di Zemun) ha scatenato una guerra di reti criminali per il controllo della rotta della droga e dei traffici nei Balcani, provocando una catena di omicidi non soltanto nel Paese, ma fin nei Paesi Bassi. Nell’ottobre 2005, uno dei principali banchieri, Emil Kyulev, è caduto in pieno giorno per le vie di Sofia.

Dentro, nonostante tutto. La Bulgaria, luogo di transito per le reti di contrabbando tradizionali, è ad oggi divenuta uno dei punti di entrata di importazioni cinesi di contrabbando. Il Paese resta noto per le falsificazioni dei documenti, in un momento in cui, con la prospettiva dell’adesione all’Ue, diventa terra di destinazione per immigrati illegali e conosce attualmente una domanda crescente di naturalizzazioni in particolare proveniente dalla Russia.
Da 15 anni, la giustizia è paralizzata. La recente nomina di un nuovo procuratore generale ha riacceso le speranze, ma il lavoro da portare avanti resta immenso. Anche se il Governo bulgaro ha una conoscenza abbastanza precisa di questi nodi della criminalità, gli sforzi del ministero dell’Interno restano ancora vani nella lotta contro le organizzazioni criminali che strutturano il funzionamento del Paese. Dal 2005, la povertà persistente, l’insicurezza crescente e la crisi di fiducia seguita alla riapparizione di personalità degli ex servizi segreti nei ranghi del potere avrebbero considerevolmente ridotto la popolarità del Governo Simeone e le elezioni dell’estate scorsa hanno rimesso al potere il partito socialista ex comunista, parallelamente a una rimonta dell’estrema destra. Malgrado questi blocchi strutturali, che vedono gruppi d’interesse molto poco democratici paralizzare il potere a svantaggio dello sviluppo economico e istituzionale del Paese, dal 1˚ gennaio 2007 la Bulgaria diventerà il 27° Stato membro dell’Unione Europea.

*Dottore alla Sorbona, Cultore di Relazioni internazionali presso l’Università degli Studi di Firenze.

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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