ELEZIONI KOSOVO/2 – I rivali di Tachi e la Grande Albania

di Matteo Zola

La mossa a sorpresa del premier Thaci, che con le sue dimissioni ha portato al voto anticipato, non ha spiazzato i rivali. E questa volta il panorama politico kosovaro non sembra del tutto legato all’eredità del Uck.  Il Partito democratico (Pdk) di Tachi punta a trarre vantaggio dalla consultazione politica per ricevere nuova investitura dai cittadini e protezioni internazionali per i suoi affari, ma a provare a fargli lo sgambetto c’è il sindaco di Pristina, Isa Mustafa, che guida dell’Ldk. Mustafa era vicino al leader storico Rugova, e questo gli vale l’etichetta di “moderato” e “pacifista” come fu proprio Rugova, poi anch’egli vittima delle minacce dell’Uck. Mustafa può piacere a quei kosovari che non si sono mai riconosciuti nell’Uck ed anzi lo hanno osteggiato, pagando molto spesso a caro prezzo la loro differenza di vedute.

Ci sono poi due pesanti outsider che mettono sul piatto della bilancia rispettivamente denaro e ideologia. Il primo è il capo dell’Alleanza per un nuovo Kosovo (Akr) “l’elvetico” Begjet Pacolli, miliardario con un patrimonio valutato in 440 milioni di euro. Lui contesta la corruzione dell’attuale leadership ma la sua forza economica è sospettata d’essere cresciuta ripulendo denari sporchi nelle banche della Svizzera, Paese nel quale trascorre gran parte del suo tempo.

L’altro outsider pesante è Albin Kurti, giovane ideologo più volte incarcerato dai serbi. La sua formazione Vetevendosje rivendica un desiderio di azzeramento dell’attuale dirigenza politica rilanciando la scommessa panalbanese, ovvero l’annessione a Tirana. Anche nei momenti più caldi della secessione regionale che, fra il 1996 e il ’99, portò all’aperto conflitto coi serbi, l’idea di allargare la comunità ai fratelli Shqiptari non venne mai presa in seria considerazione né da Tirana, intimorita dalla zavorra della povertà kosovara, né dai tutor statunitensi. Eppure Kurti sa che il sogno della Grande Albania non è mai tramontato del tutto, e usa la retorica del nazionalismo “etnico” per raccattare consensi, lanciando i suoi strali contro le milizie internazionali della Eulex che sarebbero testa di ponte di una classe di politici che a Bruxelles vuole fare del Kosovo un protettorato, limitandone la vera libertà e autodeterminazione.
Naturalmente Kurti dimentica, o finge di dimenticare, che senza il benestare americano e il supporto dell’Ue l’indipendenza del 17 febbraio 2008 non avrebbe mai visto luce.

Kurti, infine, nega ogni possibilità di autonomia ai serbi del nord. Proprio loro sono sotto la lente di Belgrado, che li ha invitati a boicottare quste elezioni, e che spera in una regione sostanzialmente indipendente sul modello della Repubblica Srpska in Bosnia. A tal proposito è già in programma nel 2011 un’ampia autonomia all’etnia serba.

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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