LAOS: Il paese del sorriso

Chiang Khong è una cittadina del nord della Thailandia in prossimità della frontiera con il Laos. 

Sbrigate le consuete pratiche di frontiera, al di là del confine si giunge al piccolo villaggio laotiano di Huay Xay.

Fu così che entrai in Laos.

Una breve corsa sull’immancabile tuk tuk per raggiungere un piccolo “porto” di imbarco e l’avventura ebbe inizio: un viaggio in barca sul Mekong, tra paesaggi suggestivi di colline a picco sul fiume, abitanti di villaggi intenti nelle loro attività quotidiane, bambini festanti al passaggio della nostra imbarcazione, piccole piroghe di pescatori, elefanti utilizzati come forza lavoro lungo le sponde del fiume.

L’emozione di scorgere sulla riva, al termine di due giornate di navigazione inframmezzate da una sosta notturna nel villaggio di Pakbeng, le inconfondibili tuniche arancioni dei monaci buddisti, fu il chiaro segno dell’avvicinarsi alla meta finale del viaggio: la suggestiva Luang Prabang, storica capitale reale, odierna capitale spirituale del Laos, ricca di fascino, splendidi monasteri, palazzi storici e architetture coloniali risalenti all’epoca dell’Indocina francese.

Le atmosfere magiche donate dalle nebbie che avvolgono la città, la questua mattutina dei monaci, i pomeriggi trascorsi nella quiete dei monasteri, lo spettacolo di tramonti infuocati seduto in cima alla collina di Wat Pusi, alla confluenza del grande Mekong con il piccolo e impetuoso Nam Khan

La parola “Mekong” aveva sempre suscitato in me un forte fascino per le grandi vicende storiche ad esso legate, lette e rilette con passione nei libri di storia o rivissute nelle pellicole cinematografiche.

Un fiume epico, a lungo sognato, testimone della “Grande Storia”, scorreva maestoso di fronte ai miei occhi.

La lenta discesa in barca lungo il suo corso mi regalò intense emozioni nonostante il fatto che, nel 2010, le atmosfere e il contesto storico fossero completamente diversi rispetto a quelli presenti nel mio immaginario formatosi, in gran parte, grazie ai magnifici racconti di Tiziano Terzani.

Letture tanto amate quanto importanti, che contribuirono a farmi sorgere, e poi realizzare, la “folle” idea di un lungo e lento peregrinare via terra nel continente asiatico senza l’ausilio di aerei, sulle orme del grande giornalista fiorentino, che descrisse il suo viaggio in Asia di un anno via terra nel meraviglioso libro “Un indovino mi disse”.

Pagine, racconti, aneddoti che hanno preceduto e accompagnato il mio viaggio, suscitando in me grande interesse e aspettative per molti paesi asiatici, tra cui Vietnam, Laos e Cambogia.

Quell’Asia tragica ma al tempo stesso romantica descritta da Terzani, ovviamente non esiste più. Quel mondo è scomparso per sempre.

Oggi, per fortuna, le cruente vicende storiche hanno lasciato il passo a tempi di pace e sviluppo, anche se le cicatrici della storia sono ancora profonde e ben visibili.

Il Laos ha pagato con un altissimo prezzo la sua posizione geografica, il fatto di trovarsi nel mezzo dell’Indocina.

Per rifornire i guerriglieri vietcong nel Sud del Vietnam, i comunisti di Hanoi aprirono attraverso le foreste del Laos il tristemente celebre “sentiero di Ho Chi Minh”, per chiudere il quale gli americani sganciarono sulla testa degli sventurati laotiani, tra il 1964 e il 1973, più bombe che sull’intera Europa occupata dai nazisti durante la seconda guerra mondiale.

Ogni tanto, ancora ai nostri giorni, la Storia ritorna improvvisa, con l’esplosione di una delle centinaia di migliaia di mine inesplose ancora disseminate sul territorio, nonostante le ingenti bonifiche degli ultimi anni abbiano reso sicuro gran parte del territorio.

Il Laos rimane ancora oggi un paese tra i più svantaggiati al mondo, e la sua popolazione, insieme a quella del Myanmar, è in media la più povera tra quelle dei paesi del sud est asiatico.

L’industria del turismo si sta però sviluppando a ritmi forsennati e oggi milioni di persone sono attirati dalle notevoli bellezze storiche, culturali e naturalistiche che il paese offre, oltreché da prezzi assai convenienti.

E’ ai giorni nostri difficile, in Laos, così come d’altro canto in Vietnam, in Cambogia e ancor più in Thailandia, sottrarsi a una dimensione turistica sempre più invadente, che sta portando sicuramente sviluppo e benefici economici, ma al tempo stesso trasformando e snaturando l’anima del paese.

I miei compagni di viaggio durante le giornate trascorse in barca nella discesa del Mekong, con l’eccezione dei pochi membri dell’equipaggio, non erano laotiani, ma americani, australiani, olandesi, inglesi, tedeschi, spagnoli, svedesi, canadesi, svizzeri.

Non le affascinanti figure di reporters, giornalisti, spie, soldati, fotografi di guerra, “testimoni e partecipi della Grande Storia” descritti e conosciuti da Terzani, bensì orde di giovani backpackers più interessati a trangugiare litri di beerlao o Lao Lao whisky che a godere della magia del Mekong, del paesaggio circostante e della cultura del paese.

Li ritrovi ovunque, dalla capitale Vientiane a Four Thousand Islands. Nello sperduto villaggio di Tadlo, quasi pensai di esser riuscito a liberarmene. Mi raggiunsero anche lì.

Vang Vieng , una piccola città rurale divenuta negli ultimi anni “il paradiso dei backpackers” è il loro regno incontrastato: girano tra un party e l’altro perennemente strafatti, fieri delle loro magliette con la scritta “Tubing in Vang Vieng”, buttandosi completamente sbronzi nelle ripide del fiume Nam Song, a cavallo di copertoni di camion. Circa venti ragazzi all’anno muoiono affogati o schiantati contro le rocce per questa divertente attività. Ogni giorno l’ospedale locale ne accoglie a decine con ossa fratturate, postumi da sbronza, overdose da oppio e droghe varie.

Un’attività sociologicamente interessante fu osservarli, in gruppo, in uno dei più famosi locali della città, celebre per il fatto di trasmettere su un maxischermo, 24 ore su 24, la serie televisiva americana “Friends”. In Laos!

Il paese è indubbiamente ricco di fascino, ed è ancora oggi possibile, se lo si vuole, perdersi nella natura, nei colorati mercati, visitare villaggi tradizionali, entrando in contatto e condividendo semplici momenti di vita quotidiana con la splendida popolazione locale, dal carattere incredibilmente mite, sempre ospitale e, nonostante le difficoltà, con un eterno sorriso stampato sul viso.

Benvenuti in Laos… qui il reportage fotografico

Chi è Luca Vasconi

Nato a Torino il 24 marzo 1973, fotografo freelance dal 2012. Laureato in Scienze Politiche all’Università di Torino, dopo alcuni anni di vita d’ufficio piuttosto deprimenti decide di mettersi in gioco e abbandonare lavoro. Negli anni successivi viaggerà per il mondo alla ricerca dell'umanità variopinta che lo compone.

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