UCRAINA: Oltre la geopolitica? I messaggi di euromaidan per Bruxelles

La parola geopolitica non è mai stata particolarmente in voga a Bruxelles, ma anche oggi si leggono titoli su come l’Ue stia o debba imparare a giocare la geopolitica, come se le idee politiche non avessero ruolo. Ma i fatti d’Ucraina “non sono una questione di geopolitica, al contrario!: i dimostranti del Maidan non sono motivati dalla geografia, ma dalle idee politiche che l’Ue sembra incarnare”, secondo Tomi Huhtanen, direttore del Centre for European Studies, think tank del PPE che ha ospitato un dibattito sui messaggi di questa stagione di mobilitazione a Kiev per l’Unione europea. 

Dmytro Shulga: la repressione ha radicalizzato la protesta

“Un anno fa dicevo alle istituzioni europee: firmate l’accordo di associazione ora, e senza condizioni – ha dichiarato Dmytro Shulga, project manager dell’ONG International Renaissance Foundation di Kiev. – Non era una posizione molto in voga, visto il caso Tymoshenko, ma aveva tre motivi fondamentali: il presidente Yanukovych controllava l’intero sistema e voleva essere rieletto nel 2015, il paese era (ed è ancora) in una pessima situazione economica e il governo aveva bisogno di finanziamenti, e infine bisognava tener conto del fattore Russia e degli incentivi alternativi che Putin poteva mettere in campo”.

La sorpresa durante gli ultimi mesi del 2013, per Shulga, è stata che la gente ha iniziato a percepire l’integrazione europea come una priorità, mentre fino a novembre le priorità sembravano piuttosto lavoro e prezzi. A partire dall’autunno, la corruzione ha iniziato ad essere una preoccupazione più rilevante per la popolazione, perchè considerata responsabile della distruzione di più e più opportunità economiche, e le speranze per la lotta alla corruzione sono state associate al futuro europeo dell’Ucraina. Alla frustrazione per l’annuncio che non ci sarebbe stata una firma all’accordo di associazione al vertice di Vilnius, con la caduta di ogni speranza di miglioramento della situazione, hanno fatto seguito le manifestazioni di piazza e la prima euromaidan del 22 novembre.

Ma solo una settimana dopo, le manifestazioni sembravano già avere il fiato corto, secondo Shulga, e dopo il “fiasco di Vilnius” tutti pensavano già a tornare a casa. E’ stata la brutale repressione della polizia del 30 novembre a far sì che il movimento mettesse radici: a partire da dicembre, per il 60% dei manifestanti la repressione era il primo motivo di protesta, ancora più che le questioni d’integrazione europea. Da allora, c’è stata un’escalation di violenza tra governo e manifestanti che ha fatto una decina di morti, 234 arresti e 140 prigionieri in carcere, fino all’attuale “tregua”, con la discussione della legge sull’amnistia (benché di iniziativa governativa e condizionata alla liberazione dei palazzi occupati del centro di Kiev: una “legge sugli ostaggi”, secondo Shulga) e l’annullamento delle leggi dittatoriali del 16 gennaio, pur senza che alcuno nell’entourage governativo avesse a rispondere, anche solo politicamente, di quanto avvenuto. Nonostante le dimissioni del premier Azarov, tutti gli altri ministri sono rimasti in carica, inclusi i responsabili di interni e giustizia.

Jerzy Pomianowski: la società civile ucraina è nata, ma attenti alla radicalizzazione violenta

Creando l’European Endownment for Democracy (EED) solo pochi mesi prima dello scoppio di euromaidan, “per una volta l’Ue si è fatta trovare preparata in tempo”, secondo il direttore del fondo EED a Kiev, Jerzy Pomianowski. Sul maidan nasceva un nuovo attore politico di primo piano, la società civile ucraina. E l’Unione europea, dopo decenni di un approccio centrato sul coinvolgimento dei governi, iniziava a comprendere l’importanza della promozione e del coinvolgimento delle associazioni della società civile. In Ucraina, secondo Pomianowski, sarà la società civile e le sue reazioni agli sviluppi politici a definire in che rotta procederà il paese, più ancora che le negoziazioni tra Yanukovych e i leader dell’opposizione, a cui la piazza ha coscientemente passato la leadership.

E altrettanto è in corso un processo di revisione dell’identità nazionale in piazza: se all’inizio delle proteste tutti si sforzavano di parlare in ucraino, oggi il 60% dei manifestanti sul Maidan parla russo, lingua in cui si sente più a suo agio: l’identità russofona non è più vista in contrasto con il patriottismo ucraino.

Allo stesso tempo, segnala Pomianowski, è in corso un processo di radicalizzazione degli elementi della protesta di piazza: i “paramilitari” del maidan, vestiti con caschi e corazze quando non con abbigliamenti ancora più peculiari, sono stati forzati ad auto-organizzarsi come forza di difesa per non rischiare la propria vita negli scontri con Berkut e altre forze governative, come dimostrano le vittime degli scontri di piazza. La protesta resta pacifica, ma organizzata in maniera differente, secondo Pomianowski. Allo stesso tempo, lo stesso leader dei paramilitari di Samoobrona (autodifesa), Andrey Parubyk, dice che ultimamente il suo lavoro consiste in maggioranza nel calmare e contenere gli elementi più estremisti, pronti a prendere misure estreme. La radicalizzazione, purtroppo, non è solo provocata da Mosca e dal governo, ma è anche un processo endogeno. Il suo contenimento è stato finora di successo, ma fino a quando?

Krzystof Lisiek: le relazioni Ue/Russia non sono un gioco a somma zero, il dialogo è necessario

L’Unione europea ha segnalato che l’offerta all’Ucraina (accordo d’associazione e sostegno finanziario) resta valida, secondo l’europarlamentare polacco Krystof Lisiek, e il contenuto della recente risoluzione del Parlamento europeo (che l’accordo d’associazione non è il passo finale nelle relazioni UE/Ucraina, ndr) lascia aperta una possibile prospettiva futura d’adesione del paese postsovietico all’Unione.

Tuttavia “la chiave (delle relazioni UE/Ucraina) è a Mosca, sfortunatamente”, secondo Lisiek: con le sue sanzioni commerciali contro Ucraina, Moldavia e Lituania, Putin ha “aperto gli occhi” a tutti, anche agli europarlamentari dei gruppi di sinistra, sul ruolo di Mosca in quella che chiamano “nostra zona di influenza russa”. Ecco perché l’Ue deve coinvolgere Mosca per quanto riguarda il futuro di Ucraina, Moldavia e Georgia, giocando un ruolo costruttivo per convincere Putin che una regione stabile e pacifica è anche nell’interesse russo. Di fatto, le relazioni Ue/Ucraina/Russia non sono un gioco a somma zero, come prova l’andamento (in crescita) delle relazioni commerciali Russia/Polonia da quanto Varsavia è membro Ue.

Nonostante le diffidenze, anche gli attori politici ucraini si rendono conto che un dialogo Ue/Russia è necessario: “l’Ue deve parlare alla Russia ed avviare un dialogo sulle questioni commerciali – sostiene Shulga – ma gli ucraini non vogliono essere una palla passata dall’uno all’altro. Chiediamo il rispetto delle nostre decisioni autonome”.

Sanzioni o non sanzioni? Il dibattito resta aperto

Allo stesso tempo, secondo Pomianowski, va segnalato alla Russia e all’amministrazione Yanukovych, da parte dell’Ue, che non tutte le condotte sono ugualmente permissibili. L’Ue deve valutare le possibili reazioni che possono essere messe in atto verso il governo ucraino e la Russia, incluse le misure anti-riciclaggio e di name and shame delle banche occidentali dove si nascondono i fondi del clan Yanukovych.

La risoluzione del Parlamento europeo introduce l’opzione delle sanzioni contro i membri dell’amministrazione Yanukovych, ma queste devono esser considerate come l’ultima spiaggia, secondo Lisiek, anche visti i risultati zero delle sanzioni europee alla vicina Bielorussia. C’è poi il fatto che tanto la Rada (il parlamento ucraino) quanto l’amministrazione Yanukovych sono stati eletti (più o meno) democraticamente, mentre i nuovi attori della società civile e della piazza restano auto-nominati, con un deficit di legittimazione formale.

Ciononostante, secondo Shulga, ci sono anche attivisti bielorussi che chiedono oggi l’introduzione di sanzioni Ue contro il governo ucraino, giustificandole con la differente situazione dei due paesi. Inoltre, le sanzioni dovrebbero essere applicate in maniera creativa per arrivare allo scopo: “così come le sanzioni contro gli sportivi ebbero un grande effetto contro il regime razzista sudafricano, perché non bandire i figli degli oligarchi dalle università occidentali?”

Chi è Davide Denti

Dottore di ricerca in Studi Internazionali presso l’Università di Trento, si occupa di integrazione europea dei Balcani occidentali, specialmente Bosnia-Erzegovina.

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5 commenti

  1. appena un paese non si inginocchia a UE e Usa subisce destabilizzazioni. meglio un oligarca locale che gente prezzolata da Washington e Berlino

  2. Ma si parla di cosa vogliono fare l’opposizione Ucraina e i Russi ed anche gli USA, ma a nessuno viene in mente che far entrare un paese così grande in un’Europa già ingovernabile adesso, potrebbe definitivamente inceppare il cammino europeo verso un’unità che non sia solo di facciata…Mi sembra che dietro il nome di Europa convergano gli interessi della Nato, di banche e petrolieri ma mai di europei e tantomeno degli ucraini che vedrebbero cancellati gli aiuti russi, triplicato il costo dell’energia e il costo della vita…Peraltro il presidente ucraino non è un dittatore ma è stato eletto dalla maggioranza degli stessi ucraini e stravolgere con la violenza un risultato elettorale non mi sembra un buon esempio di democrazia…boh..

    • Nessuno sta parlando di far entrare l’Ucraina nell’Unione europea. Si tratta di un accordo commerciale del tipo di quelli che l’Ue ha già, per capirci, con Messico e Sud Corea.

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