1943. Nasceva la "seconda" Jugoslavia

Settanta anni fa, a Jajce, nel cuore della Bosnia, nasceva la seconda Jugoslavia, la Jugoslavia federale e socialista che sostituì quella monarchica dei Karadjordjevic. E che durerà fino alla metà del 1991. Il 29 ed il 30 novembre del 1943 infatti l’AVNOJ (cioè il Consiglio antifascista di liberazione popolare jugoslavo) si riunì nella splendida cittadina medioevale che fu capitale della monarchia bosniaca (prima di essere conquistata dagli ottomani alla fine del Quattrocento) per lanciare il suo progetto di Jugoslavia postbellica.

Il momento era favorevole ed i propositi ambiziosi. L’Italia era capitolata ed il movimento partigiano titoista era sempre più forte militarmente e gradito politicamente (anche agli occhi delle potenze alleate, Gran Bretagna in primis). Tito ed i suoi collaboratori (Kardelj, Bakaric, Mosa Pijade, raffinato intellettuale già compagno di Tito nelle regie carceri) in un paio di giorni febbrili – ma il lavoro preparatorio era già stato svolto dal Politburo – delinearono l’architettura politica ed istituzionale della Jugoslavia post-monarchica (al re Pietro II è infatti vietato il ritorno). E cioè una architettura federale basata su sei repubbliche.

Cemento di questo nuovo jugoslavismo, che riprendeva i vecchi sogni ottocenteschi di Strossmayer e Racki, saranno il carisma di Tito (e della “partigianocrazia”) e l’ideologia marxista. Con l’AVNOJ di Jajce fa capolino anche una malcelata voglia di far da sé e l’insofferenza verso la sospettosa tutela sovietica. In nuce, il tentativo jugoslavo di trovare a tutti i costi un suo originale baricentro strategico ed ideologico, come avverrà ad esempio con l’autogestione e con il Movimento dei non allineati. Infatti a Jajce si consuma già il primo schiaffo a Stalin, timoroso delle reazioni dei suoi indispensabili alleati inglesi ed americani, semplicemente comunicandogli le decisioni a fatti ormai avvenuti. Questo schiaffo, che è prodromico della rottura drammatica del 1948, farà dire ad un irato Stalin che le conclusioni dell’AVNOJ sono “una coltellata alla schiena dell’Unione Sovietica”.

Per quasi mezzo secolo il 29 novembre sarà il giorno della festa della Repubblica, anche se già nella seconda metà degli anni ottanta il paese vivrà un processo destrutturante che disconoscerà tutto l’impianto di Jajce. Lo farà attraverso l’usura veloce del mito di Tito e dell’ideologia marxista. Ed un ruolo lo avrà anche la monumentale Costituzione del 1974, che tentando tutti gli equilibrismi possibili spinse fino al limite estremo lo spirito di Jajce disegnando una struttura semi-confederale del paese che dava una implicita sovranità alle repubbliche e perfino alle due regioni autonome del Kosovo e della Vojvodina.

L’attacco delle armi serbe alla cittadina bosniaca nel 1992 e la successiva offensiva croata nel 1995 simboleggiano bene la distruzione rabbiosa dello spirito jugoslavista della “fratellanza ed unità” che lì soffiò in quel freddo fine novembre del 1943. Lo stesso edificio in cui si tenne la storica sessione dell’AVNOJ fu danneggiato dall’artiglieria leggera. E distrutta fu la casa in cui soggiornò Tito. Oggi si trova, ben restaurato, il museo, ma anche una certa jugonostalgija che raggiunge il suo culmine proprio il 29 ed il 30 novembre di ogni anno quando si celebrano i cosiddetti “giorni dell’AVNOJ” (Dani AVNOJ-a u Jajcu).

La cittadina non è più quel museo ufficiale a cielo aperto che nel passato riceveva delegazioni e gruppi di giovani pionieri e studenti per illustrare (e costruire) una memoria che si voleva a tutti i costi comune ma che ormai è ampiamente rinnegata. Ma chi la visita – e ne vale davvero la pena: Jajce era candidata ad entrare nel patrimonio dell’umanità dell’UNESCO – potrebbe qui riflettere sulle contraddizioni e sulle difficoltà che accompagnano sempre le grandi ideologie integrative. Lo fu per lo jugoslavismo, che qui venne tanto celebrato e che pure aveva radici nobili ed antiche in quell’illirismo evocato da alcuni pensatori croati già nel Cinque-Seicento. E lo è oggi per l’europeismo, assediato dalla crisi e dal populismo euroscettico.

 

 

 

 

Chi è Vittorio Filippi

Sociologo, docente Università Ca’Foscari e Università di Verona, si occupa di ricerca sociale, soprattutto nel campo della famiglia, della demografia, dei consumi. Collabora nel campo delle ricerche territoriali con la SWG di Trieste, è consulente di Unindustria Treviso e di Confcommercio. Insegna sociologia all’Università di Venezia e di Verona ed all’ISRE di Mestre. E’ autore di pubblicazioni e saggi sulla sociologia della famiglia e dei consumi.

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23 commenti

  1. per quel che mi riguarda domani farò festa grande in memoria del grande paese nel quale sono nato, la yugoslavia,
    da croato, dico che gli slavi e in particolare i balcanici sono una razza estremamente stupida. la costituzione del ’74 fu il primo passo per la disgregazione. gli sciacalli intorno a tito aspettavano solo la sua morte per iniziare a distruggere il paese e poi a spolparne la carcassa come degli avvoltoi, con la complicità di paesi occidentali. i traditori della patria hanno dato il meglio di loro stessi in quella guerra, o direi il peggio.

    e dopo tale guerra, ad oggi, quelli che non sono stati rimbecilliti dalle propagande nazionalistiche (in realtà pochi sono finiti così, per fortuna) si rendono conto di ciò che eravamo, vorrebbero indietro la meravigliosa yugoslavia… e aspettano che qualcun altro si muova.

    nessuno si muove a ricreare la yugoslavia, e tutti vorrebbero che qualcuno lo facesse. perchè? nei balcani la politica è sporca. il proverbio politico della gente balcanica è “trpi i suti”, ossia “sopporta e stai zitto”. la politica è sporca, e se sei una persona onesta non ti immischi con i partiti: i politici sono tutti ladri.

    personalmente ormai voglio essere fuori da certe discussioni. ma solo che il prossimo che mi dice che la lingua serbocroata non esiste, e che il serbo, il croato, il bosniaco (!!!) e il montenegrino (!!!!!!!) sono lingue diverse, non cercherò di convincerlo e di parlargli ma semplicemente lo insulterò nel peggiore dei modi e me ne andrò – non si parla con chi rinnega le proprie origini. anche gli yugoslavi hanno diritto al loro nazionalismo.

  2. La stessa nostalgia per moltissimi anni é esistita in n Spagna per i nostalgici di Franco. La domanda che va posta é perché questi regimi sono crollati dopo la morte del dittatore?

    • “regimi” e “dittatore” sono parole dai connotati particolari, negativi. perchè “democrazia” deve essere necessariamente qualcosa di positivo?
      se sono crollati il motivo è semplice: lo stato era autoritario e impediva l’ingresso di forze straniere che portassero alla destabilizzazione e al rovesciamento dell’ordine costituito.
      non conosco e non so niente della spagna di franco, ma comunque non gradisco il paragone.

      da come la vedo io, “democrazia” è un termine negativo. vuol dire ostentare che siamo tutti uguali quando non siamo tutti uguali. non dovrebbero tutti partecipare ugualmente alle decisioni; DEMOCRAZIA VUOL DIRE CHE IN UN’AZIENDA I MURATORI HANNO LO STESSO POTERE DECISIONALE DEGLI AVVOCATI NEL VALUTARE IL BILANCIO AZIENDALE E GLI AVVOCATI DECIDONO ASSIEME AI MURATORI CHE TIPO DI CEMENTO VA CON CHE TIPO DI MATTONE. vi sembra una cosa sensata? gli antichi dicevano che “le nazioni democratiche sono così innamorate dell’uguaglianza che preferirebbero essere uguali nella miseria che disuguali nella prosperità”. ed effettivamente ricordiamoci che le nazioni più prospere anche nell’ultimo secolo erano le nazioni che limitavano il diritto di voto, che rimaneva universale ma limitato, per esempio in rhodesia in cui SOLO CHI AVEVA TERMINATO UN NUMERO MINIMO DI ANNI DI ISTRUZIONE AVEVA DIRITTO AL VOTO. così è più giusto, questa si chiama REPUBBLICA.
      democrazia vuol dire che 10 spettatori del grande fratello sanno decidere meglio di 1 professore universitario; è una logica che fa acqua.
      non dimentichiamoci che gli stessi antichi greci, inventori della democrazia, smisero di usarla come forma di governo dopo un pò di anni perchè portò ad una corruzione notevole.

      non considerate il sistema in cui vivete come unico possibile, accettabile, come il migliore. la situazione attuale non è di certo la migliore in cui viviamo, e dei motivi ci saranno.

      l’italia è un esempio del fatto che la democrazia non funziona. il 100% della popolazione vorrebbe limitare i privilegi dei parlamentari, della classe politica, di tutta la casta. eppure loro sono sempre lì e continuano ad ingrassare. E ANCORA GLI ITALIANI SOSTENGONO CHE LA DEMOCRAZIA E’ VALIDA? toglietevi i paraocchi.

  3. Riportandomi a Churchill, a mio modesto avviso la democrazia fondata sulla libera iniziativa, la libertà di stampa e i diritti civili é il sistema “meno peggio” esistente. I paesi nei quali tali principi sono stati aboliti o rifiutati sparisocono come l’Unione Sovietica di Gorbaciov, la Spagna di Franco, la Jugoslavia di Tito, la Grecia dei colonnelli, per limitarmi al continente europeo.

    • paragone molto vago e approssimativo, che non tiene assoultamente conto dei motivi reali per cui questi paesi sono caduti. anche il cile di allende era un paese democratico, caduto per la svolta dittatoriale di pinochet. “meno peggio” è un termine relativo, io continuo a ripetere che non importa la forma di governo, l’unica cosa che importa è la qualità della vita dei cittadini che ci vivono.

      se la democrazia è così positiva, allora spiegami perchè oggi la situazione in spagna è peggiore rispetto a quando c’era franco? e la vita era molto migliore nella jugoslavia di tito? e immagino lo stesso valga per la grecia. l’unione sovietica non è di certo sparita perchè “il popolo voleva la democrazia ecc ecc ecc”. tutte fesserie e sinceramente non riesco a capacitarmi del fatto che ci sia ancora qualcuno che creda in queste cose. l’unione sovietica è crollata non per motivi economici o altro, ma semplicemente tra coloro che detenevano il potere nessuno era più interessato a mantenere in vita tale paese.

      le masse, il popolo, non sono mai artefici, ma vittime, strumento. e il più grande inganno è fargli credere che siano veramente loro a decidere, a contare qualcosa.
      un consiglio: prima scopri chi è Edward Bernays, poi leggiti il suo libro “propaganda”. ormai ne sono scaduti i diritti d’autore e si può trovare gratis su internet.

      • Non crede che se ogni popolo avesse potuto esprimere la propria opinione la Jugoslavia sarebbe potuta essere uno stato che avrebbe almeno in teoria potuto accontentare tutti?
        Molto meglio un solo uomo che decide coadiuvato da pochi colleghi?
        Non sono d’accordo.

  4. Devo correggere l’autore Vittorio Filippi: Stalin era a conoscenza della 2a seduta plenaria dell’AVNOJ e dei temi trattati già un mese prima. Tito inviò a Stalin un telegramma per informarlo della riunione generale dell’AVNOJ e delle decisione che avrebbe preso ad ottobre, prima della conferenza di Mosca del 30 ottobre, dove Tito sapeva si sarebbe parlato anche della Jugoslavia. Tito inviò a Stalin un altro telegramma il 26 novembre per informarlo dell’inizio della seduta generale dell’AVNOJ e dell’ordine del giorno. Nel telegramma del 26 novembre Tito porta a Stalin “i saluti del Comitato Panslavo” e lo rassicura dicendogli di essere stato informato dagli inglesi che Churchill non si sarrebbe impuntato sul governo in esilio a Londra. Era questa infatti la preoccupazione di Stalin: temeva la rottura dell’alleanza con gli angloamericani a causa della formazione di un secondo governo, comunista, concorrente del governo in esilio a Londra, sostenuto dagli angloamericani. E’ a questo che si riferisce la coltellata alla schiena, e non a una mancata informazione. Dei tre Presidenti presenti alla contemporanea Conderenza di Teheran del 30 novembre (Stalin, Roosevelt, Churchill) Tito aveva avvisato della riunione e delle decisioni soltanto Stalin. Le cui preoccupazioni risultarono fondate: gli angloamericani rifiutarono di riconoscere il governo dell’AVNOJ, ma -grazie a Stalin- ne riconobbero per la prima volta l’importanza militare tanto che l’accordo di Teheran del 1. dicembre 1943. firmato insieme da Churchill, Stalin e Roosvelt riporta: “La Conferenza è d’accordo che i partigiani nella Jugoslavia debbano essere aiutati con materiale bellico e provviste in massimo grado.” In sontanza, a Jajce vinse Tito e persero gli angloamericani, a Tehran vinse Stalin e persero gli angloamericani: Slavocomunisti 2 – Angloamericani 0.

  5. Restando in termini calcistici il risultato finale come possiamo rappresentarlo? Chi ha vinto?

    • Con le elezioni dell’11 novembre 1945 sono stati fatti fuori anche i membri dell’ex governo di Londra sostenuto dagli angloamericani e l’AVNOJ è stato ufficialmente riconosciuto come nuovo governo di Jugoslavia. Quindi il risultato finale della partita direi che è un secco 3-0.

  6. Bell’articolo.
    Altrettanto interessanti sono i commenti che seguono.
    L’analisi sulla YU che fa Anton è forse cinicamente giusta. Altrettanto importanti sono le considerazioni di Nina.
    Parlo naturlamente per me!
    Non sono “totalmente” d’accordo (e dunque d’accordo solo in parte) con quanto è stato suggerito da ANTON su “democrazia e teorie dei poteri”. In termini dialettici possiamo dire che “democrazia” e “possibilità della dittatura”, sono elementi caratteristici presenti nelle analisi fornite da numerosi politologi e statisti del secolo scorso, che hanno teorizzato anche una “certa visione politica del possibile e del necessario” ! Va detto che spesso si tratta di visioni strategiche della politica economica e che recano con sè numerose chiavi interpretative.
    Sono invece pienamente d’accordo con quanto detto sulla questione del “serbocroato”, e cioè che si tratta di una sola lingua. Come ho detto e ridetto in altre occasioni, siamo in presenza di “Un’ Unica lingua con Diverse Varianti “! (quest’ ultimo argomento è stato già trattato in modo sublime sia dallo stesso Vittorio F., sia da Lucia Leovino la quale ha scritto per l’appunto un altro articolo che ha ricevuto quasi 90 commenti).

  7. Gentile Anton senza nessuna idea di continuare a duellare su libertà e dittatura le ricordo che CHurchill sosteneva che se alle cinque del marttino bussano alla vostra porta é il lattaio in un regime democratico, la polizia segreta sotto una dittatuta di qualunque colore.
    Sportiva Nina mi dica solo che le elezioni dell’11 novembre 1945 furono libere e democratiche, con la possibilità per i filomonarchici e gli anticomunisti di esprimere liberamente le loro idee. Mi consenta di aggiungere che le parole “furono fatti fuori” é un piccolo capolavoro di realismo machiavellico….

    • per carità, mettiamolo da parte churchill. a citarlo troppe volte succede che qualcuno possa davvero pensare che fosse un uomo valido a qualcosa.

    • voi puntate troppo sulla filosofia, io guardo in un senso stretto e pragmatico. il mio messaggio è che non importa la forma di governo, ma come si vive. se vivi bene, se devi preoccuparti dei conti a fine mese o no. un vecchio proverbio, in barba a churchill, dice che la democrazia non si mangia, e se ne stanno rendendo conto ora italiani e greci in europa.

    • democratico Emilio, alle elezioni del novembre 45 parteciparono tutti i partiti presenti nel comitato nazionale di liberazione, dunque anche anticomunisti e monarchici. Le stesse mozioni approvate a Jajce il 29.11.1943 non furono presentate dai comunisti del PKJ ma dai democratici del SDS (dal delegato Vojslav Kecmanovic per l’esattezza). Se poi alcuni membri presenti nell’ex governo di Londra -uniti all’AVNOJ dopo il governo di unità nazionale del maggio 44- si autoeliminarono da quelle elezioni problemi loro.
      Per chiarezza, non sono una fan della democrazia made in USA, abbiamo visto cosa ha causato in Jugoslavia: finché c’è stata la “dittatura” socialista ha funzionato benissimo, appena gli statunitensi hanno introdotto la democrazia è iniziata la guerra.
      La democrazia occidentale fu introdotta obtorto collo in Jugoslavia nell’autunno 1990 quando il Congresso USA approvò una legge secondo la quale gli USA non avrebbero fatto più credito al governo federale ma solo ai governi delle singole repubbliche jugoslave che avessero organizzato “elezioni libere e democratiche”. In sostanza gli USA legalizzavano i finanziamenti a SDZ, HDZ, SDA, i 3 partiti che a fine 1990/inizio 1991 avevano vinto le elezioni e ottenuto il governo in Slovenia, Croazia, Bosnia. Partiti guidati da Jansa, Tudjman, Izetbegovic, 3 galeotti che furono fatti uscire di galera dagli americani nel 1989 come condizione necessaria per concedere un prestito al governo federale jugoslavo di Ante Markovic. I 3 ex galeotti furono usati come specchietto per le allodole in partiti che di democratico avevano solo la D del nome, erano 3 partiti finanziati dall’estero, dalla diaspora fascista e dai governi NATO, che avevano come unico obiettivo la secessione e la creazioen di stati etnico-religiosi. I candidati non erano nemmeno jugoslavi ma residenti in Germania, USA, Austria, Australia, Argentina… decisamente il partito unico comunista, era senz’altro più democratico.

    • ti ricordo inoltre che CHURCHILL DISSE ANCHE: LA DEMOCRAZIA FUNZIONA QUANDO A DECIDERE SONO IN DUE E UNO E’ MALATO.

  8. Gentilissima Nina, il nostro é un dialogo tra sordi ed é meglio porvi fine. Io lo concludoi con una battuta che circolava negli ambienti diplomatici di Belgrado: 6+5+4+3+2-1. 6 repubbliche, 5 nazioni, 4 lingue, 3 religioni, 2 alfabeti, e UN Tito. Scompare Tito, scompare la Jugoslavia.

    • beh sì, ma la jugoslavia è precedente a Tito ed è durata dieci anni dopo di lui. Secondo me il ruolo della mancanza di Tito nel crollo della Jugoslavia socialista è sopravvalutato. La Jugoslavia poteva evolversi in qualcosa d’altro, come gli altri paesi del blocco comunista. La guerra, secondo me, non era inevitabile.

      m.z.

      • esatto, Tito è stato il più grande figlio di Jugoslavia e con lui c’era stata l’epoca d’oro, ma la Jugoslavia c’era anche prima e dopo di lui. La prima Jugoslavia nessuno la ricorda ma a mio avviso deve essere rivalutata anche quella. A proposito, ricordo al democratico Emilio che durante gli anni 20 la tanto criticata Jugoslavia era l’unica democrazia dell’Europa dell’Est assieme alla Cecoslovacchia.

  9. Sono d’accordo con la frase di Matt: “la guerra non era inevitabile”!
    Secondo me, i diplomatici nel qualificare la YU con lo schema….”6+5+4+3+2-1″ (che sembra proprio la formazione di una squadra di rugby!) hanno commesso un qualche errore: 6 (il numero delle repubbliche) e 2 (gli alfabeti) sono corretti.
    Ecco inevece gli errori:
    – 5 il numero delle nazionalità presenti nelle sei repubbliche: in pratica i “montenegrini”, nonostante appartenessero ad una repubblica federata, poveretti, venivano spesso accorpati ai serbi e spostati a piacere come pedine di una grande “scacchiera di piazza”;
    – 4 le lingue: serbocroato, sloveno, macedone e ….?? Manca la quarta lingua… !? (beh spero sia l’albanese – lingua ahimè NON slava! ) ….Ho il VAGO sospetto che si volesse scindere vergognosamente il serbocroato….in “serbo e croato” !
    E se seguissimo tale ragionamento dovremmo allora concludere, che in realtà le lingue parlate fossero 6+1(albanese)= cioè 7;
    – 3 le religioni. Anche qui un altro errore. Le Religioni erano due: Cristianesimo ed Islam.
    Il Cristianesimo al suo INTERNO è diviso in vari rami…tra cui “cattolicesimo ed ortodossia” ! Entrambi sono confessioni di un’unica FEDE ! I diplomatici hanno “incredibilmente” definito Religioni due confessioni appartenenti alla stessa famiglia. Quest’ultimo dato sembrerebbe forse, il segno di una certa “impreparazione culturale” nell’affrontare adeguatamente alcuni temi dell’oriente europeo!
    -1 Tito: unico ed insostituibile.
    La YU ha continuato ad esistere con grandi difficoltà per altri 11 anni, il resto è storia che conosciamo.
    Mi chiedo ancora oggi, se tutto sia andato semplicemente per “come doveva andare” o se tutto sia andato per come “tanti estranei” hanno voluto che andasse!

  10. Gentilissima Nina, mi permetta di riportare un brano di uno ‘scrittarello’ che scrissi molti, ma molti anni fa: “La vita politica del paese fu precaria con frequentissime crisi, in due anni si succedettero sei governi, con quattro elezioni generali dal 1920 al 1927, fino ad arrivare nel gennaio 1929 allo scioglimento del parlamento e alla instaurazionen di una dittatura da parte di Alessandro Primo che nel successivo ottobre diede al paese il nuovo nome di Jugoslavia. All’origine della dittatura vi era stata l’uccisione a colpi di pistola da parte di un deputato montenegrino in pieno parlamento, nella seduta del 20 giugno 1928, di due deputati del Partito Contadino Croato e di Radic capo del Partito Repubblicano Croato. Alessandro pagò con la vita la sua politica anticroata. Nel 1934 in visita ufficiale a Marsiglia fu assassinato da nazionalisti croati guidati da Ante Pavelic, futuro capo dello stato croato. La situazione che si venne a creare fu lucidamente prevista da uno studioso italiano Giorgio Dainelli il quale nel 1929, dopo aver evidenziato le profonde differenze esistenti tra i popoli della Jugoslavia, scriveva: “[I serbi] uniti ai loro fratelli di sangue della Bosnia e della Erzegovina, adesso cercano di prevalere sui croati, del quali la formale e non completa unione politica non ha cancellati i diversi caratteri linguistici, religiosi, culturali e un antagonismo che spesso è inimicizia e talora odio”.
    Ultima perplessità era più “democratica” la Jugoslavia di re Alessandro o quella di Tito?
    A EnzoNicolò mi permetto di ricordare che nell’immediato primo dopoguerra la stessa domanda veniva posta dai futuri nazisti e nel secondo dopoguerra dai neofascisti.
    Concludo e definitivamente che oggi l’unico avvenire per i popoli della ex Jugoslavia é rappresentato dall’Unione Europea nella quale gli odi e il sangue accumulati vengano nel tempo stemperati.
    Qualcuno ha scritto che il sangue nella storia si secca presto.

    • Emilio,
      io non so quale possa essere il futuro dei Balcani con l’Ue o senza la Ue. E non riesco nemmeno ad immaginarmelo!
      Secondo molti la guerra era assolutamente Evitabile in quanto è stata orchestrata da interessi e forze straniere (come accade spesso).
      Secondo altri invece la guerra era INevitabile in quanto uno stato autoritario che tenti di disfarsi del suo totalitarismo o che “tenti di normalizzarsi” sia già destinato al conflitto civile (che non accade quasi mai, eccezion fatta per le endemiche guerre regionali presenti nel continente africano!).
      Sinceramente non ho una risposta…
      E’ vero che il sangue nella storia si secca presto, però quello jugoslavo forse è ancora troppo fresco!
      Non saprei davvero…

    • Distruttivo Emilio, devo ricordarle quale era la realtà degli anni 20. Mentre i parlamentari da tutta la Jugoslavia votavano la propria Costituzione, in Italia si assassinava Matteotti e si faceva la marcia su Roma, in Polonia si assassinava il Presidente della Repubblica Gabriel Narutowicz e Józef Piłsudski con un colpo di stato imponeva la dittatura, in Bulgaria si assassinava il Primo ministro Stambolijski e con due diversi colpi di stato in pochi anni venivano instaurate due dittature in successione (Cankov prima e Georgiev poi), in Grecia si succedevano 3 colpi di stato in 10 anni (dittature Pangelos, Kondylis, Metaxas), in Portogallo colpo di stato e instaurazione delle dittatura di Salazar, in Spagna Franco si apprestava ad istaurare il suo regime, in Ungheria c’era la dittatura di Horthy, anche in Romania il regime monarchico era costituzionale solo nella forma, in Lituania Smetona con un colpo di stato scioglieva il parlamento e iniziava la dittatura del partito fascista dei lupi di ferro, la Lettonia di lì a poco pure avrebbe sospeso la costituzione con un colpo di stato fascista con Ulmanis, idem l’Estonia con Laidoner, in Francia l’instabilità politica portò a 45 governi diversi in meno di 20 anni, e la Germania di Weimar scivolava verso il nazismo. In questo contesto la prima Jugoslavia era un’isola felice. Con molti nemici esterni che hanno sempre fomentato divisioni interne, a cominciare da Mussolini che nei prima anni 30 finanziò, armò e diede supporto logistico alla nascita degli ustascia, consentendogli nel 1934 di attraversare l’Italia per andare a Marsiglia a compiere l’attentato. Lei ricorda Ante Pavelic il quisling, io preferisco ricordare Ante Pavelic il dottore, tra i fondatori nel 1917 del Comitato Jugoslavo, prima vicepresidente dello Stato dei SCS e poi Presidente del Parlamento Jugoslavo nei primi anni 30, che lei definisce “anticroati” mentre furono solo un periodo in cui un partito (HSS) abbandonò volontariamente il Parlamento. I croati erano anche in altri partiti, specie nel Partito Democratico Jugoslavo di Ante Pavelic dottore, il partito di governo. Nel 1939 il lungimirante Pavle Karadjordjevic favorì il rientro del HSS non solo al parlamento ma anche al governo col patto serbo-croato Macek-Cvetkovic, con cui i croati del HSS ottenevano importanti ministeri (Ivan Subasic Ministro dell’interno), e con la rinnovata concordia nazionale del 1939 la prima Jugoslavia avrebbe anche evitato di essere coinvolta nella seconda guerra mondiale, se solo gli angloamericani nel marzo 1941 non avessero destabilizzato il Paese provocando un colpo di stato.
      p.s. democrazia non vuole dire elezioni multipartitiche ma governo del popolo, che si può espletare in diverse forme. Sia la prima che la seconda Jugoslavia erano democrazie, la seconda mi sembra più rispondente alla definizione di democrazia. Quanto all’avvenire degli jugoslavi, lo lasci decidere agli jugoslavi.

      • Una risposta breve sul P.S.: persino chi dà una definizione minimale di democrazia come metodo incruento di ricambio delle élite al potere non sarebbe affatto convinto che la prima e la seconda Jugoslavia possano essere definite tali.

        La definizione minima di democrazia comunemente accettata oggi è la seguente (“democrazia elettorale”).
        Sono democratici quei regimi che presentano:
        -Suffragio universale maschile e femminile
        -Elezioni libere competitive, ricorrenti e corrette
        -Pluralismo partitico
        -Diverse e alternative fonti di informazione
        In mancanza di questi criteri, si può parlare non di democrazia, ma di regimi autoritari di diverso tipo (le democrazie “popolari” non erano tali). Con l’aggiunta di ulteriori criteri, invece, si apre il dibattito sulla “qualità delle democrazie”.
        http://www.sociol.unimi.it/corsi/scienzapoliticasie_al/documenti/File/I%2520regimi%2520democratici.ppt

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