LETTONIA: A dieci anni dall'adesione, cosa pensano i lettoni dell'UE?

Il 20 settembre 2003 il 67% dei lettoni votava sì all’ingresso della Lettonia nella UE. Oggi solo il 30% la considera una buona cosa, il 48% è indifferente. Ma le cose sono più complesse di quello che dicono i numeri.

Esattamente dieci anni fa, il 20 settembre del 2003, in Lettonia si svolgeva il referendum per decidere sull’adesione del paese baltico all’Unione Europea, in cui il 67% della popolazione espresse la sua volontà di fare della Lettonia una paese membro della UE.

Dieci anni dopo il quotidiano Diena prova a capire, intervistando politici, esperti e personaggi di rilievo di diversi settori della società, se i lettoni non hanno cambiato idea, e soprattutto quale sarebbe oggi il risultato di un referendum analogo. Oggi secondo alcuni sondaggi solo circa il 30% dei lettoni considera la UE una buona cosa, mentre il 48% si dice indifferente sulla questione, con il 43% dei lettoni che comunque non si considera cittadino europeo.

Ieri sempre Diena aveva ospitato già il pensiero di Andris Piebalgs, l’attuale membro lettone della Commissione UE.
“Troppo facile essere euroscettici – sostiene Piebalgs – quando si è già all’interno della UE, ma è molto più difficile trovare “euroscettici” in paesi che stanno al di fuori della UE e magari vorrebbero entrarci.”

Piebalgs stesso alla domanda se si sente prima lettone o europeo afferma: “Certo, se me lo domanda io sento di essere prima lettone e poi europeo, perché comunque l’identità nazionale di ognuno di noi ha una forza maggiore dell’idea di essere europei. Basta vedere quello che succede in Scozia o in Catalagna, nei movimenti indipendentisti. Ma si riduce sempre di più il numero dei cittadini della UE che sentono di non aver niente a che fare con il loro “essere europei”. In Lettonia è diverso, per la presenza di molti russi, che sostengono: io sono russo, sono un cittadino lettone, ma non sono europeo.”

Ma per Piebalgs le prospettive sono ottimistiche: le nuove generazioni in Europa sono molto più europeiste, già si muovono liberamente per l’Europa e hanno ormai sviluppato un senso di appartenenza comune. Anche in Lettonia “i giovani che sono nati già dopo l’indipendenza lettone, guardano al mondo con molta più libertà e con molto meno scetticismo”.

Imants Lancmanis, direttore del museo di Rundāle, nel 2003 prima del referendum si diceva già deluso dal fatto che la gente stesse a contare la percentuale delle cose positive o di quelle negative che avrebbe portato l’adesione alla UE, senza considerare l’importanza dell’Unione Europea nel salvataggio delle economie in crisi, i fondi strutturali, i fondi di coesione.

Ma anche oggi Lancmanis non ha cambiato idea sull’importanza della presenza della Lettonia nella UE: senza l’Europa ora saremmo molto più soli e più poveri, il pensiero di Lancmanis.
Con la schiena coperta e al sicuro all’interno della Nato e della Ue, conclude Lancmanis, è facile poter dire tanti “No” e sfogare la rabbia per le cose che non vanno, trovare nemici e capri espiatori, a cominciare dall’euro.

Per Ilze Lietuviete, ex direttrice della Casa della maternità di Riga, il problema psicologico per i lettone nell’approccio con la UE è quello di venire dall’esperienza sovietica. “Abbiamo un’esperienza negativa, quando eravano sottomessi ai diktat del Cremlino, per questo in ogni momento ci domandiamo se questo non possa succedere anche nella UE. Ma paragonare la UE all’Urss è improponibile. Per questo io sono a favore dell’Europa”. Questo era il suo pensiero al momento dell’adesione alla UE nel 2003, e le prospettive non sono cambiate dieci anni dopo.

Per la Lietuviete anche nel settore sanitario i progressi della medicina lettone sono legati inscindibilmente legati alla presenza in Europa. Anche se la sanità lettone è povera, solo dentro la UE può sperare di rafforzarsi economicamente e svilupparsi sul piano delle tecnologie, delle innovazioni e dell’alta qualità, non solo a Riga ma in ogni ospedale distrettuale.

Il ricercatore naturalista Māris Olte era contrario alla Ue nel 2003 e lo è sostanzialmente anche oggi, anche se ammette che è interessante avere frontiere libere e poter girare liberamente nel continente. Ma a suo dire troppi sono gli aspetti negativi della globalizzazione: l’eccessivo potere delle banche, dell’economia, della produzione, con ricadute negative anche sull’ambiente, oltre che dell’uniformazione della cultura, che porta ad un livello inferiore la qualità della produzione culturale europea.

Fonte e materiali da Diena.lv

Chi è Paolo Pantaleo

Giornalista e traduttore, Firenze-Riga. Jau rīt es aiziešu vārdos kā mežā iet mežabrāļi

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