TURCHIA: Dopo Gezi, Erdogan contro l'Europa

Un risultato chiaro, le proteste di Gezi Parki, sembrano averlo prodotto: Recep Tayyip Erdoğan e il suo governo musulmano-conservatore dell’AKP hanno voltato le spalle all’Europa, e l’Europa sta voltando le spalle alla Turchia. 

Solo tre settimane fa, il 30 maggio, i giornali titolavano: “Germania e Turchia rafforzano le proprie relazioni“, e il ministro degli esteri  turco Ahmet Davutoğlu spiegava: “le relazioni tra Turchia e Germania non sono da stato a stato, ma da popolo a popolo, annunciando la creazione di una struttura formale di meeting periodici tra i due ministeri degli esteri.

Il giorno dopo iniziavano le proteste a Gezi Parki e la violenta reazione dell’esecutivo turco, cui la cancelliera Merkel si dichiarava “scioccata“: “Ciò che sta succedendo in Turchia non è in linea con il nostro concetto di libertà d’espressione e di dimostrazione“. “Ci sono immagini terribili in cui si può vedere che l’approccio [della polizia] è stato troppo duro”. Nella repressione delle proteste era andata di mezzo anche la politica tedesca Claudia Roth, co-presidente dei Verdi, “gasata” di lacrimogeni assieme agli altri dimostranti, mentre la polizia turca usava gli idranti contro l’Ospedale tedesco di Istanbul.

Le reazioni formali dell’Unione Europea, ugualmente, non si sono fatte attendere. Il 7 giugno il Commissario UE all’allargamento, Štefan Füle, era ad Istanbul, a pronunciare un discorso sui “legami tra l’UE e la Turchia”Erdoğan era in prima fila ma, apparentemente, non indossava le cuffie per ascoltare l’interpretazione simultanea. Di ritorno a Bruxelles, Füle si era dichiarato “deluso per l’opportunità persa [dal governo turco] per raggiungere coloro che chiedono rispetto e dialogo inclusivo”, sollevando le reazioni di Erdogan. Il Parlamento Europeo ha poi votato il 12 giugno una risoluzione che esprime “preoccupazione per l’uso sproporzionato ed eccessivo della forza” e ” deplora le reazioni del governo turco e del primo ministro Erdoğan, la cui mancanza di volontà di fare passi verso la riconciliazione, di scusarsi e di comprendere le reazioni di un segmento della popolazione turca ha contribuito solo ad ulteriore polarizzazione”. Davanti all’assemblea di Strasburgo, la ministro degli esteri dell’UE, Catherine Ashton, ha affermato che “governi democraticamente eletti… devono comunque tenere conto dei bisogni e delle aspettative di coloro che non si sentono rapresentati. E dimostrazioni pacifiche sono un mezzo legittimo per tali gruppi per esprimere le proprie visioni”.

I politici turchi non l’hanno presa bene: a partire da Erdoğan, che poco prima del voto dell’Europarlamento ha dichiarato: “Non riconosco la risoluzione che sarà presa dal Parlamento europeo su di noi. Tale risoluzione non ha legittimità“, riferendosi ai “doppi standard” dell’Unione e alla mancanza di simili reazioni nei confronti di Francia e Regno Unito. “La gran Bretagna è uno stato membro. La Turchia è un paese in via d’adesione. Come vi permettete di adottare una tale risoluzione su di noi? Pensate che sia di vostra competenza?” Secondo il ministro degli esteri Ahmet Davutoğlu,la Turchia non si fà dare lezioni da nessuno“, accusando gli europarlamentari di “cercare di presentare dei gruppi marginali come innocenti manifestanti”. Secondo il suo ministero, la risoluzione dell’Europarlamento sarebbe “nulla e mai avvenuta”: 

La decisione del Parlamento (europeo) sulla situazione in Turchia è di una natura tale da nuocere ai nostri obiettivi comuni di rafforzare ed estendere la democrazia, e non ha relazione con la realtà. In tal senso, è nulla e mai avvenuta per noi.”

La risposta del ministro turco per gli affari europei, e capo-negoziatore dei negoziati d’adesione, Egemen Bağış, può essere definita tra lo scomposto e l’irrituale. Dopo aver avvertito che chiunque entrasse a piazza Taksim sarebbe stato considerato un terrorista, Bağış usando il sito ministeriale come sfogatoio ha emesso due comunicati contro il Parlamento Europeo e contro il giornale The Economist, velatamente minacciando l’Europa di non azzardarsi a sanzionare la Turchia attraverso dilazioni del processo d’adesione. Nel primo dei due, Bağış informa che

Nei giorni scorsi, abbiamo visto alcuni parlamentari e funzionari europei fare irresponsabilmente discorsi molto audaci e irrazionali…  L’utilizzo della piattaforma del Parlamento europeo per esprimere l’eclissi della ragione attraverso dichiarazioni sproporzionate, sbilanciate e illogiche potrebbe danneggiare la sua credibilità… Essi non dovrebbero diventare luoghi di una macchinazione nazionale ed internazionale ed essere ingannati dalla manipolazione e calunnia… La Turchia non è una repubblica delle banane… Non c’è violenza di Stato in Turchia… La Turchia ha il governo più riformista e più forte in Europa e il leader più carismatico e più forte del mondo. Se qualcuno ha un problema con questo, allora mi dispiace davvero. Solo per chi si sente sopraffatto, la guida del Primo Ministro Erdogan è un problema… Non permetteremo a lobby di interessi o a reti internazionali di attaccare l’integrità del primo ministro… E ‘assurdo che alcuni parlamentari e funzionari europei credano che la sospensione del processo di adesione della Turchia all’UE sarebbe una minaccia per la Turchia. Sospendere il processo di adesione della Turchia all’Unione europea è di fatto una minaccia non per la Turchia, ma per l’UE… All’interno di questo quadro, avvertiamo che adottare una posizione che ostruisce alcuni degli sviluppi positivi recentemente pianificati può portare le relazioni Turchia-UE a un punto di non ritorno.”

Nel secondo comunicato, rivolto specificatamente ad un articolo dell’Economist in cui Erdogan veniva ritratto in caricatura con le sembianze di un sultano ottomano, Bağış ricorda che

il Governo turco rende solo conto ai suoi cittadini. Noi non siamo disposti a ricevere minacce e ultimatum travestiti da editoriali… Erdogan è uno dei leader politici di maggior successo nell’emisfero occidentale… Le accuse contro il nostro governo sono infondate. Il termine ‘autoritario’ è una calunnia… Mando preghiere al sultano Selim, e spero che la scelta dell’Economist del ritratto fosse semplicemente il riflesso della sua solita ignoranza circa la Turchia, se non di cattivo gusto.”

Purtroppo non si scherza con le cancelliere, soprattutto in periodo pre-elettorale: due terzi dei tedeschi restano contrari all’adesione della Turchia, e lo stesso sostiene la piattaforma politica della CDU. La stessa comunità turca di Germania sembra più interessata all’economia domestica che all’integrazione europea di una madrepatria con cui hanno sempre meno legami. Così, giovedì, la Germania si è opposta all’apertura di un nuovo capitolo negoziale (quello sulla politica regionale) per l’adesione con la Turchia, come aveva annunciato di voler proporre la (ormai in scadenza) presidenza irlandese del Consiglio UE. Per ora il meeting di mercoledì 26 giugno tra UE e Turchia rimane confermato, in attesa di sviluppi

La mossa di Berlino congela lo status quo: un non-progresso che è una stasi totale. La Turchia ha avviato i negoziati d’adesione con l’Unione Europea nel 2005. Dei 35 capitoli negoziali, solo 13 sono stati aperti. 17 sono rimasti bloccati (da Cipro e dalla Francia, principalmente) e sono uno, quello su scienza e ricerca, è concluso. Nessun nuovo capitolo è stato aperto dalla presidenza spagnola del 2010. Nel secondo semestre 2012, con la presidenza a rotazione nelle mani della Repubblica di Cipro, la Turchia ha congelato le proprie relazioni diplomatiche con la presidenza del Consiglio UE. I negoziati con la Turchia sono ad un punto morto, mentre Ankara aveva già segnalato la propria insoddisfazione, indicando il 2023 come data finale per un ingresso nell’Unione.

C’è ora da aspettarsi una reazione da parte del governo turco, come minacciato. Questa potrebbe limitarsi alle relazioni bilaterali con la Germania, o arrivare fino alla sospensione formale dei negoziati d’adesione. “C’è il rischio di ulteriore alienazione tra la Turchia e l’UE”, ha sostenuto un funzionario UE, “e il rischio di una deriva della Turchia verso regimi più autoritari, con il rallentamento del processo di riforma”. Secondo Joos Lagendijk, ex europarlamentare olandese, “se Ankara sospendesse le relazioni con l’UE in reazione al veto tedesco, la pressione esterna per la democratizzazione scomparirebbe, e crescerebbe ulteriormente l’instabilità economica e finanziaria nel paese”.

Il rischio è esattamente che la situazione venga sfruttata, ad Ankara quanto a Bruxelles e nelle capitali europee, da coloro che non vedono occasione migliore per allentare ulteriormente i rapporti tra UE e Turchia, per compiacere le proprie opinioni pubbliche.

Inoltre, l’argomento della politica regionale avrebbe offerto all’UE una leva importante per discutere con Ankara a proposito di decentralizzazione e democrazia dal basso, qualcosa su cui l’unitaria e centralizzata Repubblica turca ancora deve lavorare.

Foto: Joseph Bautista, Flickr

Chi è Davide Denti

Dottore di ricerca in Studi Internazionali presso l’Università di Trento, si occupa di integrazione europea dei Balcani occidentali, specialmente Bosnia-Erzegovina.

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2 commenti

  1. Alessandro Santini

    °Il rischio è esattamente che la situazione venga sfruttata, ad Ankara quanto a Bruxelles e nelle capitali europee, da coloro che non vedono occasione migliore per allentare ulteriormente i rapporti tra UE e Turchia, per compiacere le proprie opinioni pubbliche.°

    Sara’ pure cosi’, ma a cosa serve portare per forza la Turchia nella UE? Abbiamo bisogno di un altro stato come l’Ungheria? E, una volta nella UE, la polarizzazione turcha si dissolverebbe e Erdogan diventerebbe un europeista convinto? Ovviamente no.

    Per cui, a chi serve la Turchia in Europa?

  2. Bonaiti Emilio

    Brevemente: A mio giudizio la Turchia, che geograficamente fa parte dell’Europa, potrebbe essere un ponte tra il nostro continente e il mondo islamico

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