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ALBANIA: Verso le elezioni, nell'esasperazione dei cittadini

DA TIRANA A meno di due mesi dalle elezioni, il clima sociale in Albania è teso. Chiunque studi la storia del paese delle aquile sa che il suo passato è doloroso, segnato dal passaggio di varie occupazioni straniere sia da ovest che ad est, dalla resistenza per riconquistare la libertà, da un secolo di esperienza nazionalizzazione punteggiato da diversi spettri e regimi politici, incluso l’isolamento internazionale inflitto dalla dittatura comunista di Enver Hoxha, e dai recenti tentativi di consolidare la democrazia e raggiungere la terra promessa dell’Unione Europea.

In 20 anni di transizione, il paese è cambiato molto. La sua economia ha conosciuto una relativa crescita, grazie anche al lavoro degli immigrati albanesi all’estero che inviano rimesse in denaro alle loro famiglie. La disoccupazione interna e i salari molto bassi rispetto alla media europea (circa 300 euro netti al mese in media) restano una delle principali cause della fuga di braccia e cervelli.

Se si guarda al contesto sociale albanese, si notano nuovi edifici che spuntano come funghi, anche a scapito dell’ambiente, una popolazione giovane e ben connessa ai nuovi media, un gran numero di nuovi diplomati universitari, e la cronaca nera e rosa che occupa gran parte degli spazi in televisione e sulla carta stampata. Caffè e bar non hanno nulla da invidiare alle decorazioni dei migliori caffè nei paesi più sviluppati. Ma non siamo qui per parlare di belle facciate, quanto delle preoccupazioni e dei problemi latenti dei cittadini albanesi.

Gli albanesi si preoccupano per il governo del loro paese. Il sentimento condiviso da una larga parte della popolazione è che il governo Berisha non sia riuscito a mantenere la promessa di lottare contro la corruzione. Diversi scandali di  corruzione resi pubblici hanno minato l’immagine dei ministri e il funzionamento della pubblica amministrazione sembra essere diventato una piccola ricompensa per i meno meritocratici ma più vicini ai politici al potere. Mentre le belle portavoce del governo si affrettano a negare queste gravi accuse, apparentemente poco credibili per essere prese sul serio e condurre all’apertura di indagini giudiziarie, i cittadini devono pagare un prezzo pesante. A situazioni uguali, fa fronte un trattamento differenziato in base alle proprie risorse e ai propri legami coi politici al governo. Così, negli ospedali bisogna allungare la mancia per ricevere le cure.

La normativa nazionale sembra armonizzata alla legislazione dei paesi avanzati dell’Europa occidentale e dell’Unione europea, ma al momento dell’applicazione rimane lettera morta o solo parzialmente efficace a causa di una mancanza di volontà politica. In realtà, il problema è legato alla forte polarizzazione della società e le “élite politiche” ne sono responsabili. L’analisi del discorso politico sottolinea molta violenza, e la collusione dei media con la politica sembra formattare le opinioni delle masse. L’impegno in un partito politico è una sicura garanzia per trovare occupazione nel settore pubblico o per mantenerla mentre la disoccupazione continua a crescere in una crisi economica che ha travolto i paesi vicini (Grecia, Italia) già principali fornitori di lavoro e partner commerciali. Per avere successo è necessario rimanere nella propria minoranza, ignorare la propria libertà di coscienza, coltivare zitti il  proprio giardino, altrimenti ci si potrebbe trovare disoccupati a prescindere delle qualifiche.

I partner internazionali dell’Albania, gli Stati Uniti e soprattutto l’UE sostengono il paese verso le riforme, ma se si è facilmente disposti ad accettare le loro iniezioni finanziarie, si sorvola tuttavia sulle loro critiche e si accusa l’opposizione per i fallimenti. L’opposizione è continuamente screditata dalla maggioranza di governo. La tendenza non è la via della cooperazione anche laddove sarebbe necessario, come per approvare le leggi a maggioranza qualificata, quanto l’ostruzione o la politicizzazione delle istituzioni indipendenti come il Comitato elettorale centrale dove un membro dell’opposizione è stato rimosso in maniera arbitraria. L’integrazione nell’UE è usata come una risorsa politica per giustificare un comportamento particolare. L’UE è diventata di moda, ma soprattutto è usata per vendere dolci sogni ad un popolo che, tuttavia, non si lascia ingannare.

Il leader dell’opposizione Edi Rama è riuscito a restare moderato rispetto ai suoi predecessori e ha aderito una vasta coalizione per presentare agli albanesi un sofisticato programma politico. I media spesso si concentrano sull’eventuale alternanza politica più piuttosto che analizzare il contenuto del programma. Le elezioni si potrebbero così trasformare in un plebiscito a favore o contro il governo uscente.

Il 23 giugno gli elettori albanesi vanno alle urne per scegliere il governo che guiderà il paese per i prossimi quattro anni. Sono desiderosi di aderire all’UE e hanno fiducia nei loro partner internazionali. Per contro, non sono più così ingenui da cadere nelle stesse trappole dei politici populisti del governo uscente. E questi ultimi l’hanno capito, non è più sufficiente distribuire cibo e passare la cera su una facciata smorta di democrazia, di crescita economica, di occupazione e lotta contro la criminalità solo in campagna elettorale, anche se si mobilitano tutte le istituzioni pubbliche nella macchina elettorale, pratica vietata dal Codice elettorale. E’ un segno di disperazione per mantenere il potere a tutti i costi?

Anche sotto la minaccia della perdita del lavoro, non possiamo tornare indietro al periodo di soppressione della libertà. I nuovi mezzi di comunicazione aumentano solo i mezzi di espressione dei cittadini e cittadine albanesi. Garantirsi il loro controllo non è più così semplice.

Gli albanesi vogliono che la legge venga effettivamente applicata, che non debbano più fuggire all’estero per chiedere asilo politico inventandosi improbabili ragioni perché la vita nel proprio paese sembra insormontabile. Vogliono che i propri leader siano responsabili, che non lavorino a tempo parziale per espandere il proprio business personale, ma a tempo pieno al servizio del contribuente. E se questo non è il caso, allora che le istituzioni giudiziarie adempiano il proprio dovere costituzionale di portarli a rendere conto. Che l’accesso alla pubblica amministrazione non sia più in base a finti concorsi, ma sulla base della meritocrazia, che il servizio pubblico sia più efficace e veramente indipendente. Che la ricchezza nazionale non cada nelle mani di oligarchi vicini al governo, ma vi sia una chiara delega pubblica. Che la ricchezza della nazione sia ridistribuita in termini di occupazione e sviluppo, secondo il programma, in maniera solidale senza fare discriminazioni tra regioni o colori politici.

Le elezioni del 23 giugno saranno una cartina di tornasole per la democrazia albanese. Ci saranno molti osservatori stranieri e l’UE ha mandato inviati per valutare il processo. Questo è un esercizio difficile. Queste elezioni si svolgeranno sotto l’occhio vigile dei cittadini albanesi, titolari della sovranità nazionale e che non perdoneranno il minimo passo falso. In attesa del 23 giugno, quando il loro voto dirà di più.

Foto: Lee Phelps, Flickr

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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