Jasmina Tesanovic, clandestina in tre Paesi

«A Torino un venditore di strada africano fu picchiato e derubato da tre ragazzi, andò alla polizia a denunciare la violenza subita ma lo arrestarono perché clandestino». Jasmina Tesanovic va dritta al punto. «Io stessa sono  quasi clandestina in tre Paesi» afferma con un sorriso ironico, ma non troppo. Già perché Jasmina vive tra Belgrado, Torino e Los Angeles: «E in nessuno dei tre Paesi è facile essere del tutto “legali”, ci sono limitazioni e difficoltà di ogni sorta per ottenere visti e passaporto. Ma non basta, oggi in Italia un clandestino è non solo “illegale” ma “criminale”».

Jasmina Tesanovic è forse la giornalista e scrittrice serba più nota all’estero ma poco amata in patria per le sue posizioni in costante critica col nazionalismo di Milosevic, prima, e con il new deal di Tadic, adesso. Autrice tradotta in tutto il mondo, ha scritto romanzi, racconti, sceneggiature per il cinema e il teatro, usando il giornalismo come strumento di denuncia. Sposata con lo scrittore cyberpunk Bruce Sterling si divide tra il nuovo e il vecchio continente.

Jasmina, quando si trova a Torino, vive a San Salvario, quartiere multietnico che si allunga accanto alla stazione di Porta Nuova: l’ingresso della città, da cui entrano gli stranieri. Molti di loro restano però alla porta, e San Salvario dà loro rifugio tra il tempio valdese e la sinagoga. Oggi, tra sinagoga e tempio, c’è sempre una camionetta dell’esercito. «Il mio essere in bilico tra queste città mi permette di vivere la mia condizione come un privilegio. Certo, capita di sentirsi esclusi talvolta, ma io non sento il bisogno di appartenere a una nazione. E poi sono legata al femminismo e quello è transnazionale: ovunque ci sono donne che lottano e associazioni di attiviste». Non da ultima Donne in nero, organizzazione non governativa che la portò nel 2005 a seguire il processo degli Scorpioni, il gruppo paramilitare guidato da Ratko Mladic responsabile -tra le altre cose- del massacro di Srebrenica. Quell’esperienza Jasmina ha voluto tradurla su carta: Processo agli Scorpioni, scritto in inglese (non in serbo) e successivamente tradotto in italiano, è il seguito ideale del celebre pamphlet Diary of a political idiot scritto nel 1999 sotto i bombardamenti di Belgrado. «Mi sono trovata a fare la giornalista mio malgrado, a causa di quello che accadeva in Serbia e che non si poteva tacere. Quando sono andata via dalla Serbia è stato per sfuggire alla cappa di nazionalismo ed estremismo che si respirava nel mio Paese, in Italia però la situazione non è  tanto migliore, specialmente se non hai il colore della pelle giusto».

Jasmina fu una delle voci che seppero opporsi al regime di Milosevic. Poi vennero le bombe della Nato: «Abitavo nel centro di Belgrado in quei tempi. Nella cantina del mio palazzo viveva una donna zingara della mia stessa età. Beveva e fumava giorno e notte ed era la croce e la cocca dell’intero quartiere. Era una prostituta, ma anche la guardiana delle nostre macchine e  case. Durante i primi attacchi aerei, tutti siamo scesi nella sua cantina, a bere la sua grappa e condividere la nostra paura. Solo se discendi nella canalizzazione potrai ascendere ai cieli».

Oggi in Serbia c’è Boris Tadic, e gli spettri del nazionalismo sembrano lontani. E invece no. Jasmina decide di lasciare il suo blog a B92 perché: «Sono troppo nazionalisti». Nazionalisti? A B92? La radio che fieramente si oppose a Milosevic e ai suoi massacri in Kosovo? Ebbene sì: «Non c’è più spirito critico, sono tutti ubriachi di Tadic, che senz’altro sta facendo del bene al Paese ma non solo, intorno a lui c’è una rete di clientelismo che non si può tacere». E invece a  Blog B92 tacciono. «Il Paese è ancora gravato da mille problemi, economici e ‘mentali’, e al Blog B92 preferiscono parlare di borsette».

Ora Jasmina ha iniziato una vita nuova: «Non scrivo per nessuno, ho aperto un mio blog dove raccogliere i materiali di questi anni». Il nome del blog (Jasmina è una blogger ante-litteram e nutre una passione feroce per quanto è new media) è Virtual Vita Nuova, appunto. «Non scriverò in serbo, basta serbo. L’inglese è la lingua che ora mi rispecchia di più, universale, senza confini. Io stessa mi sento senza cittadinanza, esule e clandestina insieme». E questo non può che riflettersi nella sua attività di scrittrice. Una scrittrice senza lingua madre, né patria, che vive quella che Kundera ha definito ”l’intoccabile solitudine di uno straniero”: «Esprimo contenuti serbi in lingue diverse dal serbo. A volte gli editori mi fanno storie per questo, ma nella sovrapposizione delle lingue si creano associazioni mentali e metafore altrimenti impossibili. È questa l’originalità della mia scrittura. E se i miei libri verranno dimenticati per questo, non me ne importa nulla. Io sono apolide e al contempo cosmopolita, sono cresciuta in tre lingue, i miei erano diplomatici. E poi la letteratura nazionale tra pochi anni non esisterà più, ora c’è internet che supera le frontiere».

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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2 commenti

  1. Giorgio Biscotti (gerri)

    Carissima compagna della mia spensierata giovinezza. Spero che ti ricordi di me. Ti ho vista una volta in tv al tempo della guerra nel kossovo e mi sono disperato sapendo che il mio paese, ti stava bombardando. mi farebbe molto piacere ricevere una tua comunicazione oltre che per il puro piacere di sentirti anche per sottoporti un libro che, malgrado la mia scarsa dimestichezza con la penna, sono stato costretto a scrivere e che sspero di vedere pubblicato, nel quale racconto un’esperienza strordinaria accadutami al culmine di un viaggio in oriente.

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