GRECIA: Merry crisis and a happy new fear

L’abituale augurio natalizio che l’anglomania ormai ha reso internazionale, “Merry Christmas and a happy new year”, si rovescia sui muri di Atene in un cupo sarcasmo. Ma in Grecia crisi e paura ci sono davvero, e le vedi osservando i dettagli, guardando ad esempio quell’ombra densa che aleggia sopra la capitale. Il cielo, nero di fumo,  non è  il risultato dell’inquinamento industriale ma dell’equiparazione delle tariffe per il riscaldamento domestico a quelle del gasolio per auto. Così molti greci tornano a fare legna, da bruciare in camini o stufe improvvisate, e non è che Atene sia un bosco. Le soluzioni di fortuna si accompagnano a un incremento delle vendite di legname. “Fino a poco fa – spiega all’Ansa un commerciante di legname nel nord di Atene – in questa zona eravamo in tre o quattro a gestire un’attività del genere. Ora siamo una ventina e i clienti non mancano per nessuno. La politica è comunque quella di tenere bassi i prezzi, per provare a tenerceli stretti”. Le autorità sanitarie hanno già lanciato l’allarme per il possibile incremento di problemi respiratori.

Intanto numerose città e paesi della Grecia centrale e settentrionale, dove si sentono maggiormente i rigori invernali, devono ancora ricevere i fondi del governo per garantire il riscaldamento degli edifici scolastici per l’anno prossimo e molte scuole, come ha avvertito il sindacato degli insegnanti (Doe), rischiano di rimanere chiuse perché troppo fredde.

A proposito di automobili, anche quelle sono in diminuzione. Sempre più greci rinunciano all’auto e lunghe sono le code alle agenzie delle entrate, dove vengono restituite le targhe, perché non si è più in grado di pagare la tassa sulla circolazione o far fronte al caro benzina. Sono sessantamila le targhe restituite nel solo mese di dicembre. Altro piccolo segno di una grande crisi cui i greci, secondo un sondaggio, guardano con pessimismo convinti che nulla migliorerà nell’anno a venire.

E’ ripresa, non si sa fino a quando, la fornitura dei medicinali a credito agli assistiti dell’Ente nazionale per le Prestazioni di Servizi Sanitari (Eopyy) divenuta da settimane intermittente. Il Consiglio direttivo dell’Ordine dei farmacisti chiede però al governo il rispetto degli impegni assunti nei loro confronti e il pagamento dei debiti pregressi dell’Eopyy per il 2011 alle farmacie che ammontano a svariate centinaia di milioni di euro.

Il natale in Grecia è stato dunque all’insegna della tradizione, la tradizione della nostalgia. Come scrive Matteo Nucci in questo bellissimo articolo, molti sono già pronti a partire cercando all’estero lavoro e fortuna. Molti sono quelli che, già partiti, tornano per le festività. La Grecia rischia di perdere due generazioni.

Ma la crisi ha i suoi beneficiari. Il capo della potente Chiesa greco-ortodossa, l’arcivescovo Ieronymos, ha offerto ai fedeli la possibilità di coltivare terre di proprietà della Chiesa. ”Coloro che vogliono lavorare la terra greca, contribuire alla sicurezza alimentare del Paese e allo sviluppo di una moderna ed esportabile produzione agricola e di bestiame, devono sapere che quel poco che e’ rimasto delle terre della Chiesa è a loro disposizione”, ha detto. Insomma, anche sul monte Athos si mettono in affari, e non stupisce visto che il clero possiede gran parte delle terre coltivabili.

A beneficiare della crisi è anche chi, politicamente, ne fa occasione di violenza e impunità. Membri del partito neonazista greco Chrysi Avgì (Alba Dorata) hanno aggredito Dimitris Stratoulis, parlamentare di Syriza (sinistra radicale). Se a qualcuno capita per le mani “Marcia su Roma e dintorni” di Emilio Lussu ne faccia lettura, e qualche brivido sulla schiena è garantito.

Intanto è stata ultimata la costruzione del primo tratto della barriera di fossati e di filo spinato lungo 10,3 km e del costo di oltre tre milioni di euro che farà parte di una vera e propria muraglia anti-immigranti eretta da Atene sul confine greco-turco lungo il fiume Evros, nel Nord del Paese. Lo riferisce il quotidiano online Kathimerini. La costruzione della barriera e la presenza sul posto di 2.000 agenti di polizia hanno già contribuito alla riduzione dell’ingresso di clandestini. Clandestini che (come denuncia Amnesty International) una volta giunti in Grecia si trovano a essere “preda” di un Paese in crisi, incapace di far fronte al fenomeno e privo delle forze necessarie per accogliere i richiedenti asilo i quali, stipati in centri di raccolta sovraffolati e anti-igienici, vivono in un limbo che non interessa nessuno. La crisi è anche questo: spezzare i legami di solidarietà umana.

Un sondaggio rivela che la gran parte dei greci vuole un cambiamento radicale, sia politico che sociale. Il recente scandalo della Lista Lagarde getta benzina sul fuoco. Nella lista si fanno i nomi di grandi evasori fiscali, tra cui parenti dell’ex ministro delle Finanze Giorgos Papaconstantinou, colui che occultò la lista prima che il giornalista Kostas Vaxevanis la rinvenisse e pubblicasse sul suo giornale, Hot Doc, andando per questo incontro al carcere. Ma un cambiamento radicale i greci lo rifiutarono quando, pochi mesi fa, alle urne scelsero di eleggere a primo ministro quel Samaras che fu, insieme al suo partito Nea Dimokratia, uno dei protagonisti in negativo della crisi, responsabile di aver truccato i conti del Paese e di averlo trascinato in un gorgo di malaffare e corruzione.

Oggi i sondaggi danno in testa partito della sinistra radicale greca Syriza con il 22,7% delle preferenze, mentre il partito conservatore Nea Dimokratia (ND), guidato dal premier Antonis Samaras, segue con il 21,5%. Segue al terzo posto Alba Dorata con il 9,6%, il Pasok (socialista) con il 5,6%, Greci indipendenti (destra) con il 5,4%, il Partito Comunista di Grecia (kke) con il 4,7% e per ultimo il partito della Sinistra Democratica con il 4,5%.

La realtà che i cittadini greci ignorano, o fingono di ignorare, è che dalla via imboccata da Samaras non si torna più indietro. Persa ogni sovranità economica, il Paese è vincolato ai trattati internazionali firmati con la Banca centrale europea e il Fondo monetario internazionale. L’austerità non conosce marce indietro. Atene non risolverà i suoi problemi economici rifinanziando le banche, come sta avvenendo in queste settimane, né potrà ridurre sensibilmente il proprio enorme debito pubblico nei prossimi decenni. Fino a quando il popolo greco, mai domo nelle tante vicissitudini storiche, accetterà questo stato di cose? E quando smetterà, che accadrà? Il rischio è che dalla Grecia sorga una brutta alba per l’Europa.

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Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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Un commento

  1. Le elezioni di nove giorni fa hanno dato vita a un Parlamento tenuto in ostaggio da comunisti e post-comunisti (rispettivamente quelli del Kke e di Syriza) che vogliono ancora più spesa pubblica e non scendono ad alcun compromesso sui tagli da fare per salvare la baracca. Ora si torna al voto. E cosa si otterrà? Secondo i sondaggi, ci dobbiamo attendere una vittoria ancora più schiacciante di Syriza (prevista al 20%). E quindi che cosa vogliono gli elettori greci? Vogliono continuare ad essere assistiti. Anche con le casse dello Stato ormai vuote. Se non ce la fa Atene, pensano, ce la farà Bruxelles a mantenerci. E’ questo il pensiero che emerge da un sondaggio molto interessante, pubblicato appena ieri: l’80% (quasi la totalità) degli elettori di Syriza, partito che rifiuta l’austerity chiesta dall’Ue, vorrebbe restare nell’eurozona. Non sono disposti a pagare il prezzo della permanenza nella valuta unica, ma vogliono rimanerci. E perché mai, se non per essere aiutati dagli altri contribuenti europei? D’altra parte le formazioni di estrema sinistra greca non si sono mai dette “euroscettiche”. Semmai sono favorevoli ad una “altra” Europa: più “solidale”. E d’altra parte, il loro obiettivo era implicitamente condiviso dai partiti che sinora hanno governato (e affossato) la Grecia. Perché mai sono voluti entrare a tutti i costi nell’euro, pur non essendo pronti? Perché hanno addirittura deciso di truccare i conti, nascondendo a Bruxelles la vera entità del loro scialo? Perché, evidentemente, hanno pensato che, con gli euro al posto delle dracme, i creditori si sarebbero fatti più illusioni. E, in caso di fallimento, “mamma Europa” sarebbe venuta loro in soccorso. A spese di tutti gli altri Paesi membri, ovviamente.

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