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ARMENIA: Non parlarmi non ti sento, le tensioni tra Yerevan e Baku

Dopo l’esplosione del caso Safarov, che ha contribuito a peggiorare ulteriormente i rapporti già ampiamente deteriorati tra Armenia e Azerbaigian e a creare nuove tensioni nella regione, le relazioni tra i due paesi sono arrivate ai minimi storici.
L’estradizione dell’ufficiale azero, condannato in Ungheria per l’omicidio dell’armeno Gurgen Margaryan, ma graziato e accolto come un eroe nazionale appena giunto in patria, ha dato vita a un violento scontro verbale tra Yerevan e Baku, che non hanno relazioni ufficiali a partire dallo scoppio della guerra del Nagorno-Karabakh negli anni Novanta.  L’Armenia sembra avere finito la pazienza; lo stesso presidente Sargsyan ha annunciato che in caso di future provocazioni, se necessario, il paese si farà giustizia da solo, senza porsi lo scrupolo di usare la forza. Anche l’Azerbaigian è però pronto a mettere mano alle armi: il paese si sta infatti preparando ad un nuovo conflitto, e lo sta facendo ingrandendo il proprio arsenale, grazie all’acquisto di nuovi armamenti. Così, a meno di vent’anni da quel cessate il fuoco che ha posto fine alla sanguinosa guerra del Nagorno-Karabakh, costata migliaia di morti e dispersi da ambo le parti, il rischio è che si possa scatenare un secondo conflitto armato tra i due paesi.

Le paure di Sargsyan

Nonostante le reciproche provocazioni, l’Armenia vorrebbe però evitare di ricadere in un nuovo conflitto che, data la superiorità militare dell’avversario, metterebbe in ginocchio il paese. Per questo il presidente Sargsyan ha voluto denunciare la corsa agli armamenti che sta portando avanti il governo azero, giudicandola come il preludio di una nuova guerra. Secondo Sargsyan, l’Azerbaigian starebbe accumulando “un’orrenda quantità di armi, in preparazione ad un nuovo conflitto”, per questo dovrebbe essere fermato. Il presidente armeno ha aggiunto poi che l’Azerbaigian con questa mossa rischia di mandare all’aria tutti gli sforzi che sono stati fatti per riuscire a raggiungere un accordo sul cessate il fuoco durante il conflitto del Nagorno-Karabakh, accusando inoltre Baku di minacciare apertamente il popolo armeno.

Tra nazionalismo e odio reciproco

Secondo Sargsyan “sentimenti di odio nei confronti dell’Armenia stanno dilagando sempre più pericolosamente in Azerbaigian“, che per il presidente armeno “continua a professare una politica anti-armena, fatta di provocazioni e incitazione alla violenza”, prendendo come esempio il trattamento riservato a Safarov.
Ma se l’Azerbaigian fa leva sull’odio contro gli armeni, alimentando sentimenti nazionalisti e revanscisti, lo stesso odio viene usato dal governo di Yerevan, che a sua volta diffonde una forte propaganda anti-azera tra la propria popolazione, contribuendo a deteriorare i rapporti con Baku.

Lontani da una risoluzione

Più che difficile sembra quindi impossibile gestire qualsiasi tipo di dialogo tra le due parti, in un clima così teso e senza apparenti vie d’uscita. La corsa alle armi dei due paesi ne è la conferma: sembra che, invece di trovare un compromesso in grado di mettere d’accordo entrambe le parti, la questione possa essere risolta esclusivamente con l’uso della forza. Oltre ai tesi rapporti bilaterali, anche la risoluzione della questione del Nagorno-Karabakh sembra essere più che mai lontana: se infatti Aliyev, presidente azero, ha dichiarato tempo fa che alla piccola regione secessionista non sarebbe mai stata riconosciuta l’indipendenza, anche lo stesso Sargsyan sembra essersi rassegnato nell’aspettare un riconoscimento internazionale, dichiarando che sarebbe già un grande successo se il Nagorno-Karabakh non venisse in futuro reincorporato nuovamente nel territorio azero.

Da quando si è smesso di combattere di passi avanti non se ne sono fatti molti, e a dire la verità la guerra stessa non sembra essere mai terminata, in quanto soldati armeni e azeri continuano tuttora a spararsi a vicenda per difendere i propri confini, mentre nelle rispettive piazze si bruciano le bandiere nemiche. Attualmente, più che attendere la ripresa del dialogo tra i due paesi, ipotesi che sembra al momento irrealizzabile, bisogna sperare che venga evitato un nuovo conflitto armato nella regione.

Chi è Emanuele Cassano

Ha studiato Scienze Internazionali, con specializzazione in Studi Europei. Per East Journal si occupa di Caucaso, regione a cui si dedica da anni e dove ha trascorso numerosi soggiorni di studio e ricerca. Dal 2016 collabora con la rivista Osservatorio Balcani e Caucaso.

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