Ekatarina Velika

Ricordando Magi. Gli Ekatarina Velika, icona del rock jugoslavo

Il 18 settembre di ogni anno, gli appassionati di musica di tutto il mondo commemorano la scomparsa di Jimi Hendrix, avvenuta in quella data del 1970. Proprio lo stesso giorno, nei paesi dell’ex-Jugoslavia si ricorda la scomparsa di un’artista che, pur non avendo cambiato la storia della musica come Hendrix, rappresenta una vera leggenda del rock jugoslavo, ancora oggi straordinariamente popolare. Stiamo parlando di Margita “Magi” Stefanović, la tastierista degli Ekatarina Velika (conosciuti anche con l’acronimo di EKV), gruppo protagonista della scena musicale jugoslava negli anni ’80 e ’90.

Proprio il 18 settembre scorso ricorreva il decennale della morte di «Magi», che è stata ricordata con diverse iniziative, concerti, mostre, articoli, programmi tv e radio nei vari paesi dell’ex-Jugoslavia. Inoltre, migliaia di fan hanno tempestato i social network di video, testi e immagini di Margita e degli Ekatarina Velika. Nata a Belgrado nel 1959, promettente musicista di pianoforte sin dall’infanzia, nell’autunno 1982 Margita Stefanović entrò come tastierista negli Ekatarina Velika, gruppo che proprio in quell’anno muoveva i primi passi nella scena underground belgradese.

La New Wave alla conquista della Jugoslavia

Da lì a poco gli EKV pubblicarono «Katarina II», il primo dei sette album in studio pubblicati in 12 anni di carriera, e iniziarono a girare per concerti e registrazioni in tutta la Jugoslavia, conquistando presto il favore del pubblico e della critica. Il loro genere di riferimento rimase sempre la New WaveNovi Val in serbocroato – arricchito dall’apporto vocale dell’eclettico cantante Milan Mladenović, dagli effetti ipnotici della tastiera di Magi e dai testi poetici e riflessivi scritti da entrambi. Nell’ascoltarli, non si può non pensare ai Cure o ai Litfiba di cinque lustri fa. Ma ripercorrendo la dodecennale carriera degli EKV, si notano importanti variazioni, dalle sonorità post-punk degli inizi (un esempio in Radostan dan, 1984) al rock vivace e orecchiabile di fine anni Ottanta (come Ljubav, 1987), per poi chiudere con la malinconia «darkeggiante» e un po’ struggente degli ultimi dischi (un pezzo su tutti: Anestezija, 1993).

Gli Ekatarina Velika furono senz’altro tra i maggiori esponenti (qualcuno si ostina a definirli i più grandi) di quell’ambiente musicale straordinariamente vitale e creativo che fu il rock jugoslavo degli anni ’80. Una scena che, oltre ai grandi nomi del pop-rock più convenzionale (tra i principali, ovviamente, i Bijelo Dugme di Goran Bregović), vantava un ricchissimo universo alternativo, giovanile e controculturale, distribuito tra le varie città di quel paese allora unito. Solo per citarne alcuni: gli zagrebesi Azra e Haustor, i sarajevesi Zabranjeno Pušenje e Bombaj Štampa (e proprio Sarajevo vide la luce del movimento culturale «Novi Primitivizam»), i belgradesi Idoli, Električni Orgazam e, appunto, gli Ekatarina Velika. Tutti questi gruppi fecero molta strada e sono considerati icone cult ancora oggi, anche da parte di chi non era nato a quei tempi.

In ambito musicale, la Jugoslavia degli anni ’80 visse una sorta di sincretismo: da una parte, c’erano gli impulsi artistici che venivano da ovest (e che, contrariamente ad alcuni paesi dell’est, non si schiantavano contro la cortina di ferro); dall’altra parte, esplodeva una controcultura giovanile fieramente autoctona e spontanea, che approfittava delle crescenti aperture derivanti dal declino del regime comunista, ma che allo stesso tempo assorbiva le tensioni sociali di un paese travolto dalla crisi economica e politica, gravido di inquietudini. In un’intervista del 1989, Margita Stefanović così commentava la fine degli anni Ottanta: «È ora che finiscano una volta per tutte. Gli anni Ottanta mi sembrano una lunga discesa. Scendi, ma ogni gradino è sempre più alto, sempre più lentamente e irrimediabilmente, giù…». E alla domanda «Come ti immagini tra dieci anni?», rispose: «Non posso vedere. I gatti socchiudono gli occhi quando guardano al futuro».

 EKV, dal declino alla leggenda senza frontiere

Canzoni come Ti si sav moj bol, Budi sam na ulici e Par godina za nas sono veri inni del disagio e del turbamento di un’intera generazione. Proprio quelle inquietudini collettive fanno da sfondo alle melodie tormentate degli EKV, ai loro testi sempre più intimistici e melancolici, e alle loro rispettive esperienze personali. Il cantante Milan Mladenovic morì improvvisamente nel novembre 1994, a soli 36 anni, per un tumore al pancreas, tre mesi dopo quello che sarebbe stato l’ultimo concerto della band. Gli EKV cessarono le attività e quattro anni più tardi il bassista Bojan Pećar (che insieme a Milan e a Margi aveva formato il nucleo storico del gruppo) fu stroncato da un infarto. Magi si sarebbe dedicata per qualche tempo a nuovi progetti musicali tra cui il memorabile «EQV», un duo dance-ambient che, tra le altre cose, si dedicò alla riedizione in chiave elettronica dei pezzi di maggior successo degli EKV. Tuttavia, dopo la scomparsa di Milan (a cui seguì quella del padre), Margita sprofondò nella depressione e nella dipendenza dalla droga – cosa che peraltro aveva già segnato gli altri membri degli Ekatarina Velika – e si ritirò progressivamente dalle scene, fino al 18 settembre 2002.

La scomparsa di Magi, ultimo membro originario degli EKV ancora in vita, consegnò l’eredità musicale ed artistica del gruppo alla leggenda. Senza tempo, ma soprattutto senza frontiere: gli Ekatarina Velika godono oggi di una popolarità incontrastata e diffusa in ciascuna delle repubbliche ex-jugoslave, come è testimoniato dalla presenza continua dei loro pezzi nelle radio, dalle diverse cover-band esistenti, dalle numerose repliche del documentario «Kao da je bilo nekad» («Come se fosse stato una volta», titolo dell’emozionante documentario dedicato alla band, nonché di una loro celebre canzone) sui rispettivi canali tv serbi, bosniaci e croati. Al cantante Milan Mladenović, figlio di un matrimonio misto serbo-croato, è stata intitolata una piazza di Belgrado, una via a Podgorica e un’altra gli sarà presto dedicata a Zagabria, come richiesto con petizioni firmate da migliaia di fans.

Uno dei pezzi più famosi della storia degli EKV è senz’altro Zemlja, un implicito inno anti-nazionalista che, non a caso, il gruppo scelse di cantare a Yutel za mir, il grande concerto contro la guerra e il nazionalismo tenutosi a Sarajevo nel luglio 1991. La canzone recita così:

Questo è il paese per noi

questo è il paese per tutta la nostra gente

Questa è la casa per noi

questa è la casa per tutti i nostri bambini

[…] Nel paese vedo la salvezza

Dal sogno mi sveglia una voce che non conosco

Mentre i rami accarezzano i nostri corpi

Mentre le ombre ci preparano un riparo

Sento: ‘torna indietro’,‘resta qui’,

Sento: ‘torna indietro’, ‘perdonami’,

‘non te ne andare, non te ne andare, no’. “

EKV – Zemlja

Chi è Alfredo Sasso

Dottore di ricerca in storia contemporanea dei Balcani all'Università Autonoma di Barcellona (UAB); assegnista all'Università di Rijeka (CAS-UNIRI), è redattore di East Journal dal 2011 e collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso. Attualmente è presidente dell'Associazione Most attraverso cui coordina e promuove le attività off-line del progetto East Journal.

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Un commento

  1. Un articolo veramente interessante! Potreste anche scrivere della scena musicale dei paesi dell ex cortina di ferro come Polonia, DDR o Cecoslovacchia. Poi non sarebbe male anche dare supporto alle giovani realtá musicali dell est!

    Inoltre potreste parlare anche del cinema europeo come della New Wave cecoslovacca degli anni 60 con registi come Miloš Forman o Jiří Menzel e soprattutto dell odierno cinema romeno oltre che del fantastico cinema scandinavo che pero è piú north che east.

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