le bandiere dei due eserciti issate sulla fortezza di Jajce

BOSNIA: Jajce, due date per un'unica liberazione

Per Jajce, piccola città del cantone della Bosnia centrale, quelle di metà settembre sono giornate importanti, di commemorazioni e feste: si celebra l’anniversario della liberazione della città. Il giorno ufficialmente riconosciuto come data della liberazione è il 13 settembre 1995, giorno in cui le forze del HVO (Hrvatsko Vijeće Obrane – consiglio di difesa croato) sfondano le barricate che circondano il centro cittadino e mettono in fuga gli ultimi soldati serbo-bosniaci (operazione “Maestral”). Tuttavia, c’è chi contesta che quella non sia la vera data della liberazione sostenendo che si sia dovuto attendere fino all’indomani, il 14 settembre, per vedere arrivare l’Armija BiH, l’esercito ufficiale bosniaco, e liberare anche i territori e i paesi circostanti. Di fatto la liberazione dell’intera zona di Jajce, punto strategico durante la guerra a causa delle sue centrali idroelettriche, è il risultato delle operazioni congiunte dei due eserciti ed è quindi inesatto attribuirne la totale paternità all’uno piuttosto che all’altro schieramento.

Nei primi mesi della guerra la città venne sottoposta ad incessante assedio da parte dell’esercito della Republika Srpska per poi cadere definitivamente sotto il suo controllo fino all’estate del ’95, quando Dayton era ormai alle porte e gli eserciti bosniaco e croato erano galvanizzati dai recenti successi militari, rispettivamente nelle operazioni “estate” (liberazione dell’enclave di Bihać) e “tempesta” (liberazione della Kraijna).

La liberazione della città di Jajce ha comportato, come altrove, che la nazionalità dell’esercito liberatore divenisse da quel momento in poi quella ivi dominante, in questo caso quella croata. Questo ha contribuito a polarizzare ulteriormente la comunità, favorendo, per esempio, il ritorno innanzitutto della sola popolazione croata che ha quindi avuto modo di riorganizzare e amministrare la città secondo i propri dettami nazionali. È cosi che a Jajce, città liberata da un nemico comune, si festeggiano due date per la stessa vittoria: il 13 per i croati e il 14 per i musulmani. A due date, seguono diverse cerimonie, diverse iniziative, diversi monumenti ed ovviamente, diverse visioni della storia.

Il 13 e quindi il 14 settembre nella vecchia città reale non solo si festeggia la fine della guerra, ma soprattutto si rivendica il diritto di “proprietà” sul controllo della città. Città che, stando al dizionario daytoniano, presenta due “etnie” maggioritarie: musulmani e croati infatti rappresentano rispettivamente il 55% e il 45% della popolazione totale, facendo sì che istituzioni ed elezioni cittadine rispecchino fedelmente le proporzioni nazionali. Il fenomeno delle due scuole sotto lo stesso tetto è un ulteriore esempio di come questa immaginaria cortina di ferro divida una comunità di appena 26.000 abitanti.

Nella stessa situazione di Jajce, città il cui valore storico e naturale gli ha conferito il titolo di “Dubrovnik continentale”, si trovano decine di città e paesi: paradossalmente divisi sul ricordo di una vittoria comune. Fenomeni come questo sono figli della pulizia etnica imposta con gli accordi di Dayton: quando la rivendicazione dei diritti nazionali degenera nella pretesa di una presunta supremazia etnica.

Chi è Giorgio Fruscione

Giorgio Fruscione è Research Fellow e publications editor presso ISPI. Ha collaborato con EastWest, Balkan Insight, Il Venerdì di Repubblica, Domani, il Tascabile occupandosi di Balcani, dove ha vissuto per anni lavorando come giornalista freelance. È tra gli autori di “Capire i Balcani occidentali” (Bottega Errante Editore, 2021) e ha firmato due studi, “Pandemic in the Balkans” e “The Balkans. Old, new instabilities”, pubblicati per ISPI. È presidente dell’Associazione Most-East Journal.

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