KOSOVO STORIA/2 – Quando il Kosovo diventa albanese

di Matteo Zola

Il Kosovo, si è visto, è il centro religioso e culturale del popolo serbo dal giorno della battaglia della Piana dei Merli, quando il 28 giugno 1389 (giorno dedicato al culto di San Vito) l’ultimo principe serbo Lazan Hrebeljanovic combattè le truppe turche del sultano Murad I. I serbi ne uscirono sconfitti e da allora il Kosovo divenne un simbolo identitario e una speranza di rinascita.

Nel corso dei secoli la regione andò però spopolandosi, a metà del XVIII secolo era quasi disabitato. L’importanza religiosa del patriarcato di Pec (cuore dell’identità serba fin dai tempi di Stefano Namanja) andò perdendo importanza durante la cattività turca. A causa della sua posizione di confine il Kosovo era costantemente soggetto a incursioni da parte dei serbi rimasti vassalli del regno d’Ungheria contro i territori turchi e viceversa.

Di quello spopolamento ne giovarono gli albanesi che, relegati nelle circostanti zone montuose, cominciarono a insediarvisi in modo sempre più massiccio. Di fede cristiana (come l’eroe nazionale Giorgio Castriota Scanderbeg che nel XV° secolo si oppose agli ottomani) più tardi passarono in buona parte all’Islam attirandosi così l’ostilità dei pochi serbi rimasti che li vedevano come un corpo estraneo associandoli -a causa della religione- ai turchi, nemici di sempre.

Con la graduale trasformazione etnica del Kosovo viene così gettato il seme dell’odio che avrebbe tragicamente germogliato nei secoli successivi, specialmente con l’affermarsi dei nazionalismi.  I serbi infatti non abbandonarono mai l’idea che il Kosovo fosse terra loro, e non si sentirono affatto compensati dall’estensione sulla riva sinistra del Danubio, verso nord. A fine settecento infatti l’Austria, dopo anni di lavori di bonifica, consegnò ai serbi la Vojvodina -una terra che sarebbe presto diventata il granaio d’Europa.

La Vojvodina, per la precisione, non fu lasciata solo ai serbi. Nella nuove terre si insediarono genti proveniente dai quattro angoli dell’impero: tedeschi, slovacchi, ungheresi, rumeni, russi. Si delineò così quella composizione etnica che ancora oggi caratterizza la regione e le è valsa una relativa autonomia sia durante la repubblica federale jugoslava che oggi nello stato serbo.

La Vojvodina, così multiculturale (come si direbbe oggi) non sostituì mai nell’immaginario serbo il fascino corrusco del leggendario Kosovo, teatro della battaglia della Piana dei Merli.

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Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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3 commenti

  1. Ma questa è storia o disinformazione da BAR?! Incredibilmente un articolo senza gusto e tanto meno informativo! Chiamo l’attenzione al grande storico Matteo Zola di leggere di più e scrivere di meno, magari farebbe una meglio figura.

    • In primo luogo, nessuna pretesa di fare lo storico, poiché non lo sono. Fonte principale dell’articolo sono i testi di Jože Pirjevec, l ui, sì, storico. L’articolo è parte di una più ampia “Kosovo story” che spero abbia avuto la compiacenza di leggere prima di scrivere il commento. Commento non firmato, oltretutto. Mentre Matteo Zola il nome ce lo mette, e con quello la faccia. Se per caso sbaglia, poiché non è infallibile, è buona cosa farglielo notare ma con toni appropriati a quando si parla con sconosciuti poiché, no, non siamo al bar. Non in quelli cui s’offende gratuitamente l’interlocutore. Se lei ritiene utile ai nostri lettori un suo intervento, può scrivere un articolo e sottoporcelo. Le assicuro che, se scritto con misura (la stessa di cui manca il commento) verrà pubblicato senza indugio.

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