L’indipendenza slovena, un gran ballo in maschera

L’indipendenza slovena fu una farsa, e la guerra dei dieci giorni la scena madre di un teatro la cui regia stava a Belgrado. Che gli sloveni fossero protagonisti, comparse o marionette, non è dato capirlo con certezza. Chi vuole ancora fare l’anima candida, e credere alla messa in scena di Davide contro Golia, faccia pure. Ma lo strappo tra Lubiana e Belgrado, in quel 1991, avviene grazie a una tacita comunità d’intenti tra le due parti. E all’insaputa della Croazia. Andiamo con ordine.

Sappiamo tutti che la Slovenia non interessava a Milosevic. In quel 1991 non si poteva ancora comprendere come dietro alle sue minacciose dichiarazioni sull’integrità dei confini jugoslavi ci fosse solo l’intenzione di conservare la fetta più larga possibile di Grande Serbia. E il separatismo sloveno è utile al disegno di Milosevic. Dal canto loro i dirigenti sloveni hanno giocato con le stesse armi dei serbi: hanno costruito l’alterità dei “mitteleuropei” sloveni rispetto ai  “levantini” serbi (si parlò persino di origini norvegesi del popolo sloveno); hanno nei caveu della Ljubianska Banka i risparmi dei serbi (e dei croati), che vedevano nelle banche del nord un porto sicuro per il loro denaro; hanno ripulito le loro facce dalle tracce del passato regime, di cui furono nomenklatura. Quella balcanica è fin dal suo prologo sloveno una guerra di maschere e finanza.

Certo, nei circoli internazionali era diffusa l’idea che in fondo la Jugoslavia non fosse altro che una grande Serbia, un Paese da preservare nella sua integrità anche a costo di appoggiare uno come Slobodan Milosevic. Accanto a questo elemento ideologico c’erano interessi geopolitici che spingevano le cancellerie occidentali per la conservazione della Jugoslavia: corridoio fra l’Europa comunitaria e la Grecia, strategica nel suo ruolo di cerniera tra est e ovest, si temeva che una sua disgregazione (in quel momento stava crollando anche l’Urss) avesse effetti distruttivi sul resto del continente. Un’indipendenza slovena (o, peggio, croata) erano da evitarsi.

La leadership slovena era allora rappresentata da Milan Kucan, presidente della repubblica federativa slovena dopo le elezioni libere del 1990 cui seguì il referendum per l’indipendenza, cui l’88% degli sloveni votò “sì”. Quando, il 21 giugno 1991, il segretario di Stato americano, James Baker, in visita a Belgrado dichiarò che gli Stati Uniti “non avrebbero incoraggiato né premiato la secessione” era evidente a Kucan che il suo paese si trovava solo. Anzi, Kucan comprese come il messaggio di Baker fosse un invito, forse involontario, a opporsi all’autodeterminazione slovena e croata. Poco dopo la visita a Belgrado di Baker, l’allora presidente federale della Jugoslavia, Ante Markovic, dichiarò in Parlamento che “l’Armata popolare (l’esercito regolare, ndr) era pronta a prendere le misure adatte” in caso di secessione. La tensione, evidentemente, era altissima. Il 25 giugno la Slovenia dichiarò la sua indipendenza. Ma la Slovenia non fu sola, al suo fianco, muta e invisibile, c’era la Serbia.

Quel giorno vennero invitati oltre mille giornalisti internazionali, quello che doveva essere l’atto eroico di Davide contro Golia andò in scena sotto centinaia di telecamere. Doveva sembrare un battesimo gioioso, una primavera del popolo. E lo fu, per il gregge dei giornalisti e per le rispettive opinioni pubbliche. E quando gli sloveni occupano i posti di frontiera (anche con l’Italia), le telecamere sono sempre lì: l’Armata popolare fa solo qualche scaramuccia, sa bene che ogni colpo sparato sarebbe andato in mondovisione. Conquistata la solidarietà internazionale, il primo Stato sorto in Europa dopo il 1946 cerca la legittimazione definitiva. Insomma, ci vanno dei morti, una guerra.

Come ottenerla? L’Armata popolare aveva mezzi corazzati, aerei, blindati. Il 28 giugno un attacco aereo jugoslavo colpì l’aeroporto di Brnik, la televisione e le barricate stradali. Molte però furono le diserzioni dei soldati sloveni dell’Armata popolare che si unirono ai connazionali nella lotta. Si susseguirono gli allarmi aerei per attacchi che non vennero mai, si diede la caccia ai cecchini sui tetti, che non c’erano. Si abbattè un elicottero, il 28 giugno, che riforniva di viveri la caserma dell’Armata popolare jugoslava in Lubiana: “trasportava armi”, fu la motivazione. Lo stesso giorno, a Nova Gorica, presso la “casa rossa” dove erano di stanza i soldati federali, scoppiarono violenti scontri che videro la morte di quattro soldati jugoslavi. Una cosa inconcepibile, fino aad allora, che jugoslavi potessero sparare su altri jugoslavi. Quello della “casa rossa” fu il simbolico avvio dell’identificazione dell’Armata popolare con la causa serba.

La risposta di Belgrado venne dal generale Veljko Kadijevic: “il sangue arriverà alle ginocchia”. Ma non era vero. Il 30 giugno venne l’ordine da Milosevic di non invadere la Slovenia. I generali dell’esercito jugoslavo furono costretti a ripiegare sulla Croazia, che aveva dichiarato l’indipendenza in concomitanza con la Slovenia. Lo stupore generale fu grande. La tesi di un accordo sottobanco tra serbi e sloveni trova una conferma storica nell’incontro segreto tra Milosevic e Kucan nel gennaio 1991 (documentato nel noto “The death of Yugoslavia” prodotto dalla Bbc e nelle memorie di Zimmermann, ex-ambasciatore USA), dove il primo garantisce al secondo che la Serbia non muoverà un dito per tenere dentro la Slovenia. In ogni caso, il risultato è ottenuto: Davide aveva vinto contro Golia.

Ma a tutti sfuggì che la trappola era scattata: Tudjman, che seppe solo seguire la Slovenia  nella dichiarazione di indipendenza ma non organizzare la difesa, si trovò con i separatisti serbi (da mesi armati da Belgrado) che sparavano sui croati disarmati. La guerra, quella vera, quella per la Grande Serbia, quella voluta e preordinata da mesi se non anni, quella vagheggiata dall’Accademia delle Scienze di Belgrado, si poteva finalmente combattere.

Grazie alla Slovenia (che fece, forse inconsapevolmente, il gioco serbo) la Jugoslavia collassò. Finalmente anche l’ultimo residuo di Stato federale, rappresentanto dal primo ministro federale Ante Markovic, si dissolse. La strada per Milosevic era spianata. Un decennio di sangue era inaugurato.

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Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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11 commenti

  1. Certo che il segretario di stato americano James Baker ha un senso dell’umorismo micidiale! gli stati uniti non avrebbero incoraggiato ne premiato la secessione?! ahhhhhhhhh beato chi ci crede…

    • però (non ci metto la mano sul fuoco) c’è la possibilità che davvero in quel 1991 gli usa non fossero ancora interessati alla situazione balcanica. Lo testimonia anche il fatto che lasciarono molto (se non tutto) nelle mani della diplomazia europea. Loro in quell’intrico così “europeo” non ci volevano mettere le mani. E anche alla guerra serbo-croata si interessarono poco o nulla. Fu con il conflitto in Bosnia, credo, che la musica cambiò….

      matteo

  2. ironia della sorte: quell elicottero abbattuto che trasportava viveri era guidato da uno dei pochissimi sloveni rimasti nell armata popolare!!!

  3. Separatisti serbi che attaccano civili croati innocenti???ma che guerra avete visto voi???
    E comunque gli USA hanno finanziato l’operazione tempesta con la quale l’esercito croato ha espulso 500000 serbi dalla krajina altro che poco interesse…

    • Ciao Nikola

      all’inizio della guerra i croati avevano poche truppe e pessimamente armate, mentre Belgrado preparava il conflitto da mesi, anche armando i connazionali in Krajna e in Bosnia. Va da sè che all’inizio i croati furono presi alla sprovvista. Poi furono armati, via Germania e Austria, anche dagli americani. E certo con l’operazione tempesta avvenne il contrario: furono i croati a sparare sui serbi, lasciati alla loro sorte da Belgrado. Ma l’operazione tempesta è del 1995, io parlo del 1991…

      • Prima della Germania e Austria, nel’92, furono armati dall”italia” e dalla ”Russia”.
        Strano che voi che vi occupate delle mafie non lo sapete.
        Cmq volevo dire che mi è piaciuta questa risposta,
        fin’ora sig.Matteo mi è sembrato PR della mitomania serba ma forse mi ricrederò 🙂

    • Nikola, da 90-100 000 siete appena arrivati a 500 000? 😀
      Nessuno mai mi ha risposto alla domanda perchè questa gente non è tornata in Croazia?
      Se è per lo stesso motivo per cui è andata: perchè non vuoleva vivere in Croazia?
      O per paura di essere processata per quello che ha fatto in 4,5 anni??
      Quanto ricordo, Croazia, nel ’95 o ’96, ha fatto la legge che abolisce il terrorismo e la ribellazione armata dei serbi (non i crimini gravi ovvio) quindi non capisco perchè questa gente non torna nelle loro case e non chiede i propri diritti, perché lo puo fare.
      O perchè Serbia li tiene ancora, dopo 17 anni nei centri profughi e come i cittadini di secondo grado?

      • Forse non tornano perché hanno paura di essere totalmente “croatizzati”, oppure perché nel frattempo tutte le loro case e proprietà sono state vendute. Io mi sento di credere di più a Nikola, Anton e a chi, essendo jugoslavo, ha potuto sentire e vedere le cose, piuttosto che alle notizie ufficiali ormai trasformate in retorica, che già a quei tempi erano poco chiare e visibilmente sbilanciate. I primi ad armarsi e a fare la voce grossa, andando a minacciare anche gli stessi loro concittadini croati che non erano nazionalisti, furono proprio i nazionalisti di Tudjman, e questo è un fatto. Che poi ci fossero anche i nazionalisti serbi e musulmani a fare la loro parte è altrettanto chiaro: ma i croati diedero il via, e del resto nessuno era interessato a mantenere la Jugoslavia. Primi fra tutti, il FMI, che voleva il pagamento dei prestiti concessi negli anni Ottanta, gli USA, che vedevano un’ottima occasione per piazzare un altro po’ di basi militari in Europa, e la stessa Comunità Europea, più attenta a costruire l’unione finanziaria che quella dei cittadini della futura Europa. Oggi i nodi tornano al pettine, gli errori dell’Europa le si ritorcono contro, ma leggendo i giudizi categorici e di parte di persone come Chiara temo che si sia imparato ben poco dalla storia…

  4. Matteo ciao. Non so quanto appassioni ancora, ma il tuo testo mi sembra ottimo. Il tempo è galantuomo ma precisare i fatti reali e non le baggianate che infuriano ancora ( e che si stanno ripetendo pari pari in Ucraina) è sempre di grande conforto. Riguardo ai Serbi di Croazia io penso che siano stati i più sfigati tra le vittime. Prima convinti che i Croati li avrebbero mangiati facendone cevapcici, poi militarizzati e convinti che sarebbero divenuti i primi grandi eroi della Grande Serbia, poi abbandonati dalla scomparsa dell’esercito della Republika Srpske Kraijne, infine sospinti a piedi fino in Serbia dove non li voleva nessuno e forse ci sono ancora campi profughi di serbocroati in Serbia. Credo che grande vergogna vada all’ONU di John Kenneth Galbraith (mi sembra fu lui) che supervisionò l’esodo biblico legalizzando una colossale pulizia etnica di nativi delle Kraijne da molti secoli verso il nulla. Franjo Tuđman si fece sorprendere e i croati di Zara avevano solo i fucili da caccia anche se comprarono subito armi da Cosa Nostra, ma alla fine della guerra avrebbe dovuto sottomettersi alla legge ONU e tenersi i Serbi senza cacciarli e poter così divenire prima e meglio membro della comunità civile. Invece gli fu permesso di desertificare le Kraijne. Oggi quei Serbi di Croazia non tornano e se ne vede qualcuno andando da Bihac verso Livno, che ha rifatto il tetto alla casa in mezzo al nulla o alle rovine rimaste. Che tornano a fare dopo 20 anni, invecchiati e con i figli che di certo non ne vogliono sapere. Odiano i Croati, questo è certo. Ma furono complici passivi di oltre 3 anni di guerra da Gospic a Maslenica, da Zara alle porte di Spalato etc etc… Senza parlare della Slavonia.

    • Caro Claudio

      ti ringrazio. Condivido la tua analisi sui serbi di Krajna. Vittime prima del proprio governo, poi della pulizia etnica e infine della comunità internazionale. Complici, certo, anche. Ma complice come può esserlo un burattino.

      Matteo

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